Tra i vestiti delle spose dominava il bianco, ma c’era anche chi indossava un tubino da pin up color rosa shocking, un abito giallo canarino e uno azzurro che ricordava la fatina turchese, mentre quelli degli sposi erano più banali. Mi sono divertito a scattare foto alle coppie e alla troupe, meravigliato per i meccanismi e il perfetto tempismo di questo matrimonificio vietnamita. La spossante umidità invogliava nel dissetarsi continuamente con bevande colorate non identificate, ingurgitate fino all’ultima goccia, ghiaccio compreso. Ho particolarmente apprezzato un intruglio color verde marcio dal vago sentore di the, e l’immancabile caffè vietnamita.

La sosta successiva è stata al Palazzo della Riunificazione, una moderna costruzione del 1962 che ha ospitato la sede del governo del Vietnam del sud fino al 30 aprile 1975, data che segnò la fine della guerra con gli USA. Quel giorno, la fotografia del carro armato dei Vietminh che abbatté la cancellata di ferro battuto del palazzo, fece il giro del mondo. Il palazzo fu voluto dal famigerato presidente Ngo Dinh Diem che non riuscì a vederlo finito, perché morì assassinato tre anni prima della sua conclusione. Al suo posto si insediò il nuovo presidente Nguyen Van Thieu, fino al giorno della resa.

Si visitano molte sale che occupano i tre piani del palazzo: la sala del presidente, i suoi appartamenti, la stanza da gioco con il bar, il cinematografo e i sotterranei con un vasto sistema di gallerie e centri per le telecomunicazioni. Il palazzo che è rimasto esattamente com’era, mantiene un’atmosfera emozionante, ma senza alcun’attività lavorativa è malinconicamente vuoto. Molte sale sono state arredate in stile vietnamita o secondo i gusti in voga negli anni sessanta. Alcune sono così attuali, che non sanno di vecchio o di stantio.

Anche il pomeriggio è stato dedicato alla storia. Ho visitato le sale del museo dei residuati bellici, che una volta si chiamava: “Museo dei Crimini di Guerra Cinesi e Americani”, il cui nome è stato cambiato per motivi diplomatici. In gran parte è dedicato alla guerra con gli USA e ai crimini dei soldati americani descritti sempre come feroci aguzzini. Anche l’opuscolo informativo distribuito all’ingresso, che s’intitola “Some Pictures of US Imperialists Aggressive War Crimes in Vietnam”, non lascia dubbi sul materiale esposto.

Per ironia della sorte, il museo sorge nei locali, che un tempo ospitavano la sede dei servizi informativi americani. Inequivocabili sono i barattoli di vetro che conservano feti e neonati con evidenti malformazioni fisiche e le foto dei bambini nati deformi grazie all’uso di defolianti chimici, usati con generosità per privare i guerriglieri Vietcong della mimetizzazione delle foreste e del raccolto dei campi di riso. Si calcola che dal 1961 al 1971 siano stati utilizzati 72 milioni di litri d’erbicidi e 400.000 bombe al napalm, le cui tossine hanno inquinato per decenni il suolo del sud del Paese. Tra le misture d’agenti tossici usati, il più conosciuto è sicuramente l'agente orange, chiamato così per via del colore dei bidoni in cui era trasportato, un erbicida alla diossina dagli effetti micidiali che provoca il cancro e alcune disfunzioni immunitarie. Gran risalto fotografico è dedicato al massacro di My Lai, quando il 16 marzo 1968 i soldati statunitensi della Compagnia Charlie, uccisero 347 civili tra vecchi, donne e bambini. Sono tutte immagini raccapriccianti che fanno passare la voglia di farsi fotografare vicino agli aerei, elicotteri e carri armati qui esposti.

A cena sono stato in uno dei tanti ristorantini all’aperto che spuntano al calare della sera nelle vicinanze del mercato di Ben Thanh. Stasera ho scelto gamberi alla piastra, molluschi in salsa d’aglio e verdure miste, cotte negli enormi wok, che sfrigolano e alzano alte fiammate sotto i fornelli sempre accesi.

L’indomani sono andato al tempio Cao Dai di Tay Ninh e ai tunnel di Cu Chi. Uscire dal traffico della città è stata un’impresa, perché il minibus era in balia delle moto (a Saigon sono più di quattro milioni), così ci sono volute 3 ore per fare i 100 chilometri che mi separavano dal tempio principale di questa strana religione.

Il Caodaismo o Cao Dai, (nome ufficiale: "Chiesa della Terza Rivelazione") cioè "luogo elevato", o secondo altre versioni "Grande Palazzo" è una religione fondata nel 1926 a Tay Ninh. I fondatori di questo culto sostenevano di avere ricevuto, nel corso di una seduta spiritica, una rivelazione da Dio, il quale ordinò loro di creare una nuova religione che mescolasse vari elementi di dottrine religiose, sia orientali che occidentali. Ma la storia di questa Chiesa, inizia nel 1919, quando Ngo Van Chieu, un funzionario dell'amministrazione coloniale francese, e spiritista praticante, coordinava una serie d’esperimenti con diverse ragazze medium. In varie sedute, si manifestò un'entità chiamata Cao Dai, che si presentò come la somma divinità. Sempre in una seduta spiritica, la notte di Natale del 1925, fu indicato che si doveva procedere alla fondazione della Chiesa e che l'anziano mandarino Le Van Trung, doveva diventare il primo pontefice.

I caodaisti credono in un unico Dio, il quale ha fondato le principali religioni del mondo, quali Buddhismo, Taoismo, Confucianesimo, Cristianesimo, Islamismo e Induismo. La pratica religiosa caodaista si fonda su preghiere, culto degli antenati, non violenza, anche se fino ad un recente passato, la Chiesa Cao Dai aveva delle proprie milizie armate private, che hanno svolto un ruolo nelle varie guerre civili indocinesi, ma anche sul vegetarianesimo, allo scopo di ottenere una rinascita favorevole tramite la reincarnazione o, meglio ancora, entrare in paradiso e sottrarsi al ciclo di vita e di morte. I santi o spiriti guida nel caodaismo sono diversi. Tra loro ci sono la divinità indiana Krisna, il mitico-preistorico conquistatore tartaro dell'Indocina, nonché inventore delle arti marziali, l'imperatore Huang Vong, Mosè, Buddha, Laozi, Confucio, Gesù, Maometto, Sant'Antonio Abate, Giovanna d'Arco, Victor Hugo, il poeta cinese, celeberimmo in tutta l'Asia, Lì-Tai-pe ed il presidente cinese Sun Yat Sen. Dio invece è rappresentato come un occhio divino.

Il caodaismo presenta un'organizzazione sacerdotale simile a quella della Chiesa Cattolica con un papa, cardinali, vescovi e preti, inoltre, caso più unico che raro tra le fedi che hanno, in qualche modo, un legame con la Bibbia, i medium. Alle donne è permesso di raggiungere la carica di cardinale. I seguaci credono che la dottrina, il simbolismo e l'organizzazione del caodaismo siano stati comunicati direttamente da Dio, esattamente com’è stata guidata da Dio la costruzione del tempio di Tay Ninh. Attualmente i seguaci del caodaismo in Vietnam sono tra i 7 e gli 8 milioni, a cui si aggiungono 30.000 fedeli sparsi nel resto del mondo.

Il tempio Cao Dai di Tay Ninh si trova al centro di un’area, che copre un chilometro quadrato. E’ una piccola città all’interno della quale ci sono un ospedale, scuole, dormitori e templi minori. E’ tutto colorato e colpisce per la diversità di stili che lo compongono: all’esterno ricorda una pagoda cinese, ma possiede due campanili e una cupola, proprio come una chiesa cattolica e sul portico d'ingresso c’è un grande occhio divino. All’interno invece, ci sono tre navate che fanno ancora venire in mente una chiesa. Qui la brillantezza dei colori e le policromie rinviano ad un tempio tibetano o ad una pagoda indù. Il soffitto è un trompe d'oeil che raffigura un cielo azzurro con le nuvole, mentre le colonne rosa che sorreggono la struttura, sono avvolte da draghi verdi e al posto dell’altare c’è un enorme globo blu con al centro l’occhio divino. Nel libro "L'americano tranquillo", lo scrittore inglese Graham Greene, che per un certo periodo aveva considerato la possibilità di convertirsi al caodaismo, scrive del tempio: ”Cristo e Buddha guardano in basso dal soffitto del tempio in stile Fantasia Disneyana in salsa orientale, con draghi e serpenti in technicolor”.

A mezzogiorno si svolge la grande preghiera e i sacerdoti indossano abiti dai colori sgargianti e strani cappelli con al centro l’occhio divino, i fedeli invece vestono di bianco. L’impatto cromatico è gradevole, con queste macchie di colore che prendono possesso del tempio. Officianti e fedeli sono divisi in settori secondo il colore degli abiti indossati: occupano dei quadrati perfettamente simmetrici che risaltano per il colore dei vestiti. Sono seduti allineati in quattro per fila, e quando s’inginocchiano, ricordano i fedeli mussulmani che si prostrano in moschea. C’è un corridoio rialzato che corre sopra le navate e che permette di muoversi liberamente per  osservare meglio la funzione. Guardo i riti, che sono accompagnati dalla musica e dal suono del gong: sono affascinato da questo ambiente, ma non capisco quello che succede. Di primo acchito sembra una “non religione”, perché la cosa che colpisce maggiormente sono i vestiti e i colori del tempio: uno scenario più adatto ad un musical che ad un luogo di preghiera.

C’è stato tempo anche per visitare una fabbrica d’oggetti laccati: gli operai lavorano il legno costruendo scatole, sottobicchieri, tavoli e sedie. Utilizzano una tecnica che prevede l’uso della madreperla e dei gusci delle uova. Ogni singolo pezzo di legno subisce un’infinità di lavorazioni, come la sabbiatura e i ripetuti rivestimenti di lacca, per poi essere lucidato, al fine di portare alla luce gli intagli con i gusci d’uova, cosicché si forma un mirabile contrasto tra la brillantezza della lacca e i gusci spezzati, che dà l’impressione di un mosaico in bianco e nero.

Al pomeriggio sono stato ai tunnel di Cu Chi, a 70 chilometri da Saigon, simili a quelli di Vinh Moc visitati nel viaggio del 2002, che sono tra i pochi che si prestano ad essere utilizzati come attrazione turistica. Sono costituiti da una vasta rete sotterranea di gallerie, usate negli anni 40 dai guerriglieri Viet Minh, durante la lotta contro i francesi e durante gli anni 60 e 70 dai Viet Cong nella Guerra del Vietnam.

 

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