Nella mia memoria il posto è rimasto immutato: tutto è identico ma irreale, perché è difficile accettare che una scuola possa diventare un luogo di sterminio. Guardi le aule, i corridoi e le scale senza poter credere a quello che è successo. Il mio disagio è stato minore perché sapevo già cosa mi aspettava, mentre chi come Anna Rita vede il posto per la prima volta, rimane traumatizzato.

La visione delle celle, dei letti dove i prigionieri erano torturati, delle migliaia di foto in bianco e nero fatte dai Khmer Rossi ai prigionieri, con facce che mostrano stupore, rassegnazione e paura, è come se rendano immortali le vittime trucidate tra queste mura. Si può assistere alla proiezione del documentario “Bophana”, girato nel 1996 dal regista franco-cambogiano Rithy Panh, che narra la storia Hout Bophana, una ragazza che s’innamora di Ly Sitha, un leader regionale dei Khmer Rossi. Entrambe sconteranno questo “crimine” con il carcere e l’inevitabile condanna a morte a Tuol Seng.

Ma ancora più scioccante è stato il filmato che mostra l’incontro tra un pittore, imprigionato qui e il suo carceriere. I dipinti si trovano all’interno di questa scuola e mostrano le atrocità commesse in quegli anni. Nel documentario il pittore chiede al suo carceriere se quello che mostrano i quadri sia vero: costui non nega nulla delle torture, spesso sorride, per nulla turbato nel trovarsi di fronte alla sua vittima. Alla fine dell’incontro i due si salutano quasi come vecchi amici.

E’ possibile visitare il sito del Centro di Documentazione della Cambogia http://www.dccam.org, un’organizzazione indipendente che sta catalogando i documenti di quel periodo per tramandarli alle generazioni future, e leggere il libro: “Il Cancello” di François Bizot. Nel 1971 l’autore, impegnato nella ricerca di vecchi documenti nella regione d’Udong, è catturato nella giungla da un drappello di Khmer Rossi, che per tre mesi lo tengono in catene in un campo di prigionia. Grazie alla perfetta conoscenza della lingua khmer, Bizot riesce ad instaurare un insolito rapporto con il giovane inquisitore Duch e ad ottenerne la sua fiducia, tanto da essere il solo occidentale a salvarsi.

Duch è colui che nel 1975 diventerà il comandante della scuola-prigione di Tuol Sleg e che si renderà responsabile di quarantamila esecuzioni. Gli occidentali che non riusciranno a scappare dopo la conquista del Paese da parte dei Khmer Rossi, troveranno rifugio dietro il "cancello" dell'ambasciata francese a Phnom Penh. Bizot farà da interprete e intermediario fra il console francese e gli uomini del nuovo regime durante i negoziati, che permetteranno ad oltre mille persone rifugiatesi nell’ambasciata, di tornare nei loro paesi d’origine.

La serata mi ha regalato un brivido, perché ho appreso dai giornali che ieri c’è stato un colpo di stato in Thailandia. I militari hanno destituito il premier Thaksin Shinawatra che si trovava in visita ufficiale alle Nazioni Unite. Con un annuncio letto alla televisione thailandese, anche il re Bhumibol Adulyadej ha espresso il suo appoggio politico alla giunta militare. Il golpe era descritto come pacifico e incruento, perciò domani vedrò di persona quale sarà la situazione a Bangkok. Già alle sette di mattina c’era un gran caos per le strade della città, e per raggiungere l’aeroporto c'è voluta più di mezz’ora. Nessun problema per raggiungere Bangkok e l’albergo, l’Honey Inn in Sukhumvit road.

Bangkok

Nella capitale non c’era nessun sentore del colpo di stato, solo qualche soldato armato di mitra che pattugliava gli incroci più importanti. Al braccio aveva un drappo di colore giallo, che dimostrava la sua fedeltà al re, perché questo è il colore del sovrano. Anche la popolazione indossava magliette gialle, ed ad ogni angolo di strada si vendevano questi articoli con lo stemma della dinastia Chakri vicino al cuore, oltre a bandierine e foto della famiglia reale. Questo era il segnale che anche i sudditi erano con re Bhumibol.

Ho camminato a lungo, toccando molti dei luoghi simbolo della città: il Wat Saket, fatto costruire da Rama III alle pendici della Montagna d’Oro, una collina artificiale alta 80 metri dalla quale si osserva uno dei più bei panorami della capitale. Poi ho fatto un salto a Kao San Road, chiamata anche “backpacker ghetto”, la strada preferita dai turisti squattrinati o per chi si atteggia così, fino al grande spiazzo chiamato Sanam Luang, utilizzato per le cremazioni reali e per fare volare centinaia di aquiloni. Da qui mi sono diretto verso il palazzo reale, le cui cupole dorate brillavano sotto il sole del tramonto, fino al quartiere indiano di Pratunam e a quello cinese.

Dopo la cena con un fantastico granchio al curry e pad thai, i noodles cucinati con limone e noccioline tritate, ho camminato per Sukhumvit road. Di giorno questa strada è congestionata per il tanto traffico, che procede lentamente tra l’incombenza dei grattacieli e dei piloni della metropolitana soprelevata, che tolgono la luce del sole. Di notte la strada si trasforma e si colora grazie alle luci al neon dei ristoranti e dei locali per massaggi. Ci sono bancarelle che occupano i marciapiedi per vendere cibo e finto abbigliamento firmato, orde di turisti nord europei dalla pelle arrossata dal sole, coppie miste di farang e thai ladies, agguerrite freelancers, accattoni e personaggi che ti propongono affari d’ogni tipo, autisti che ti porterebbero in capo al mondo, ma che preferirebbero fermarsi al primo salone per massaggi e intascare così una lauta commissione.

L’indomani sono andato a Silom Road, una delle grandi arterie commerciali della città.  Più che i bei negozi, guardo le bancarelle che preparano i pasti per la pausa pranzo dei lavoratori. L’offerta spazia dal dolce al salato: zuppe, spaghettini, tramezzini, carni arrostite, spiedini, dolciumi, frutta presentata artisticamente, senza dimenticare la gran quantità di bevande, dal caffè ai succhi di frutta. Dopo pranzo le bancarelle spariscono, per riapparire il giorno successivo.

Con il vaporetto ho percorso il Chao Praya spingendomi oltre al ponte Rama VIII, per vedere dall’acqua la sagoma del Wat Arun e del palazzo reale. Il fiume è congestionato per il via vai dei traghetti e in questa acqua putrida c’è anche chi tenta di pescare. Dopo un massaggio tradizionale molto energico ho cenato al ristorante di ieri, bissando il granchio al curry e sono tornato in albergo sotto un acquazzone tropicale.

Il sabato è stato dedicato al Weekend Market di Chatuchak che si tiene in un’area attrezzata ogni fine settimana. Si può trovare di tutto ed è difficile non farsi fagocitare da questo posto, tra le centinaia di negozi e bancarelle che vendono tutti le stesse cose. E’ talmente grande che sarebbe un azzardo rimandare un acquisto in un momento successivo, perché ritrovare il negozio potrebbe rivelarsi impossibile. Bisogna trattenersi anche dal non acquistare troppo: il problema non è di portafoglio, ma di riportare a casa tutto quello che si potrebbe comprare.

A mano a mano che passano le ore scompare la lucidità, affiora la stanchezza dovuta al caldo e all’umidità, i  pacchetti e i pacchettini degli acquisti iniziano a pesare, la gente aumenta e si formano tremendi ingorghi pedonali. Aumenta anche il mal di piedi e ad una certa ora del pomeriggio inizi a capitolare, perché il mercato ha la meglio sulla tua resistenza fisica. Chatuchak è anche il paradiso per gli amanti della cucina orientale. Gli odori ti accompagnano ovunque e c’è una scelta mostruosa, io sono andato sul classico: papaya salad e pollo fritto.

Dopo un’ultima visita a Siam Square e ai suoi grandi centri commerciali collegati da passaggi pedonali sopraelevati, sono tornato in Sukhumvit road per recuperare i bagagli e andare verso l’aeroporto, perché stanotte mi aspetta il volo per l’Italia. Sull’aereo rileggo i miei appunti e mentre Anna Rita dorme, penso già alla prossima avventura.

 

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