Hong Kong

Hong Kong era una piccola isola prossima alla costa meridionale cinese, abitata da pochi pescatori, poi nel1842 fu ceduta al Regno Unito che ne fece una colonia. Da allora cominciò la sua fortuna, diventò un porto molto attivo e si ingrandì grazie all’acquisto nel 1863 dell’adiacente penisola di Kowloon e degli altri territori (New Territoires), presi nel 1898 in affitto dalla Cina. Poiché il contratto d’affitto aveva una validità di 99 anni, nel 1997 la colonia è tornata alla Cina, assumendo lo status di regione ad amministrazione speciale, con particolari forme di autonomia.

La barca corre veloce sull’acqua color verde bottiglia, si naviga tra piccole isole e pescherecci, poi a poco a poco hanno iniziato a distinguersi i grattacieli dell’isola di Hong Kong, con l’inconfondibile sagoma della sede della Bank of China che ricorda la lama di un coltello: 74 piani di vetro azzurro e acciaio, che di notte sembrano lame trasparenti di luce. L’edificio fu progettato da Ioh Ming Pei, l’architetto della National Gallery of Art di Washington e della piramide del Louvre di Parigi.

Con la MTR, la metropolitana, ho raggiunto la penisola di Kowloon fino a Nathan Road. Stranamente gli alloggi più economici si trovano qui, in due complessi chiamati Mirador Mansions e Chungking Mansions, anonimi palazzi di una ventina di piani che offrono un gran numero di pensioni. I primi due piani ospitano negozi gestiti da arabi ed africani, molto differenti dai lussuosi centri commerciali che si trovano nelle vicinanze. Ho scelto la Cosmic Guest House www.cosmicguesthouse.com al dodicesimo piano dei Mirador Mansions, perché il posto ha una buona reputazione, sicuramente migliore di quella dei Chungking Mansions, popolati da facce inquietanti, con scale e anfratti sporchi e ascensori sempre occupati. La stanza è modello bonsai, con due letti agli angoli, doccia e sanitari minuscoli: praticamente la cucina di casa mia è più grande di questo posto.

Con il MTR sono stato a Mongkok Road, anche qui è un’orgia di vetrine luminescenti, dove svettano enormi cartelloni pubblicitari e insegne al neon con ideogrammi arcobaleno. La gente è un fiume in piena che si dirige ovunque, affolla i negozi di elettronica alla ricerca di cellulari e lettori Mp3 dell’ultima generazione, popola centri commerciali tutti acciaio e vetro, con scale mobili così alte da sembrare rampe di lancio. Queste cattedrali del consumismo sono ammalianti e ti fanno tornare un po’ bambino, ma sono anche un rifugio per godere della gelida aria condizionata, che per qualche attimo, sembra cancellare l’onnipresente umidità.

La sera sono andato al molo Tsim Sha Tsui, da dove partono i traghetti della Star Ferry per l’isola di Hong Kong e mi sono unito alla gente che viene qua per passeggiare e scambiare quattro chiacchiere. Questa zona fu ridisegnata nel 1978, grazie all’abbattimento della stazione ferroviaria di Kowloon, di cui ora sopravvive solo la torre dell’orologio, per lasciare il posto a musei e centri culturali. Oltre la baia ti abbaglia un concentrato di luci e tecnologia: a rigor di logica tutto ciò dovrebbe essere scontato e poco emozionante. Ma gli occhi, davanti alle sagome dei grattacieli luminosi e delle colline sovrastanti, sono come ipnotizzati. Cemento, acciaio e watt, regalano una fantastica emozione dissacratoria, simile a quella che ho provato nel guardare lo sconfinato Grand Canyon.

L’indomani sono andato all’ambasciata del Vietnam che si trova sull’isola di Hong Kong, in Wan Chai Road 230, il quartiere che ispirò il romanzo di Richard Mason: “Il mondo di Suzie Wong”, adattato nel 1960 a film con William Holden e Nancy Kwan. Negli anni cinquanta e sessanta Wan Chai era conosciuta in tutto l’oriente come un quartiere a luci rosse, frequentato dai soldati americani in congedo dalla Corea e dal Vietnam, e Suzie Wong esercitava e viveva proprio qui. Ho richiesto un ”Express visa”, un visto che mi hanno consegnato in dieci minuti, valido per quindici giorni, più costoso di quello che permette di rimanere nel Paese un mese, ma per averlo ci volevano tre giorni lavorativi. Richiedere il visto per il Vietnam a Hong Kong permette di risparmiare un bel po’ di tempo: il viaggio è appena agli inizi, e in Cina avrò un problema in meno da risolvere.

Poi sono andato al Central Plaza, un edificio di 78 piani tra i più alti della città, dove è possibile prendere l’ascensore per salire fino al 46° piano. Il panorama è mozzafiato e fa tremare le gambe. Sembra di toccare i grattacieli con un dito, e da quest’altezza le macchine ricordano le automobiline giocattolo. Con il MTR sono tornato nella zona di Central, con i grattacieli che non permettono al sole di fare capolino nelle strade, i tanti negozi, i centri commerciali, le vie piene di persone che ricordano brulicanti formicai, con Stanley Street, la famosa strada dei negozi d’apparecchi fotografici, dove si risparmia oltre il 40% rispetto all’Italia. Ottimo pranzo con cibo abbondante, in un locale frequentato da impiegati ed operai, ma posto poco gradito da Anna Rita, non ancora abituata ai modi poco oxfordiani dei cinesi, dove il risucchio e il prolungato uso degli stuzzicadenti rappresentano la quotidianità.

Tutta l’isola è ricca di passaggi pedonali sopraelevati e di scale mobili che permettono di evitare l’attraversamento delle strade. E’ molto utile una serie di venti scale mobili chiamate “Central-Mid-Levels Escalator”, che risale la collina del Victoria Peak per ottocento metri. Ogni giorno il sistema è utilizzato da quarantamila persone: al mattino, quando la gente va al lavoro funzionano in discesa, mentre di pomeriggio vanno in salita. E’ singolare questo tour sul tapis roulant, perché permette di osservare strade e quartieri dall’alto. Finalmente si vede un’Hong Kong diversa, meno formale e ingessata, dove i grattacieli si diradano, per lasciare spazio al verde tropicale. Sono poi ridisceso verso Central costeggiando la collina, utilizzando un complesso sistema di scale di cemento che tagliano la montagna fino all’imbarcadero, dove ho preso il ferry che mi ha riportato a Kowloon.

Le luci della sera mi hanno portato al mercato notturno di Temple Street, che si trova in una via parallela a Nathan road, conosciuta con il nome di Golden Mile, il miglio d’oro, chiamato così per l’opulenza dei suoi negozi. Le bancarelle offrono abbigliamento ed orologi contraffatti, souvenir ed elettronica a poco prezzo. Un posto ideale per fare quattro passi e qualche acquisto, se non si prosegue il viaggio in Cina o nei paesi limitrofi. Nelle vie laterali, ci sono invitanti ristorantini all’aperto che si animano al crepuscolo. Al tramonto vengono sistemati tavoli e sedie, si mangia tra i pedoni e si osserva la vita di strada: è un bel colpo all’occhio che trasmette allegria, ma anche un buon rifugio per placare l’appetito. La cena con molluschi, gamberetti in salsa piccante, riso fritto e verdure è stata ottima. Anche Anna Rita nonostante il tanto aglio è rimasta soddisfatta.

L’indomani sono tornato con il ferry sull’isola di Hong Kong, e ho iniziato a camminare con il naso all’insù per il distretto di Central. Impedibili sono il grattacielo della Bank of China e il Lippo Centre, un edificio a specchio multiforme che ricorda un cubo dalle tante sfaccettature. Il grattacielo della HKSB (Hong Kong and Shanghai Bank), poggia su piloni giganteschi e ha il pavimento trasparente. E’ possibile passare sotto la banca, per poi riemergere dalla parte opposta, guardando gli impiegati che lavorano ai piani superiori. E’ un ambiente senza privacy, di solo acciaio e vetro. Questa soluzione è stata raccomandata da un consulente in materia di Feng Shui che per facilitare il flusso del chi, ha previsti gli alti piloni, la posizione dell’entrata rivolta verso il molo dello Star Ferry, vale a dire il principale approdo all’isola, quella delle scale mobili e dei leoni che custodiscono le entrate.

Poi sono salito sul Peak Tram, la famosa funicolare che porta in cima al Victoria Peak, la collina che sovrasta l’isola. Si sale con il treno a cremagliera viaggiando tra le case, sembra quasi di toccare le abitazioni e si riesce anche a dare una sbirciatina nei salotti delle case. Quando termina la città, ci s’immerge in una bella vegetazione tropicale e appaiono in lontananza i grattacieli dell’isola e, oltre il canale, la penisola di Tsim Sha Tsui. Centinaia di grattacieli appiccicati tra loro, danno l’impressione che non ci sia più posto nemmeno per uno spillo. E’ possibile passeggiare per la collina immergendosi nella natura, rivolgendo un occhio al caos di Hong Kong e un altro alla baia, non ancora contaminata dall’uomo. Sotto di noi sale un rombo, un rumore simile al tuono: è la vita di città. Ho terminato la giornata visitando i meravigliosi shopping center e dando un ultimo saluto alla luci notturne della baia.

L’indomani sono  andato al molo da dove partono i traghetti per la Cina (la mainland come la chiamano qui). Il terminal è efficiente e funzionale, con tanti negozi che permettono di ammazzare il tempo in attesa del traghetto. Arrivare in Cina con la barca veloce, invece che con il bus o il treno è stata un’esperienza originale e fuori del comune. La barca arriva direttamente all’aeroporto di Shenzen e nell'attesa del volo per Guilin, ho fatto quattro passi per le strade periferiche della città: c’era veramente poco da vedere, a parte tanta polvere, quartieri in costruzione e un’umidità devastante.

 

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