Il giorno seguente mi sono diretto al quartiere delle “trentasei strade”, è un mercato all’aperto dove si può trovare qualsiasi cosa. Stradine e vicoli erano intricati e identici tra loro: spesso mi trovavo senza accorgermene al punto di partenza, e come in un giocoso labirinto, rifacevo più volte il medesimo percorso. Con un moto taxi, la scelta ideale per affrontare il caotico traffico di Hà Nôi, mi sono fatto accompagnare al mausoleo di Ho Chi Minh. La figura dello Zio Ho è sempre presente nell’iconografia classica comunista: dai manifesti giganteschi che lo raffigurano un pò ovunque, agli svariati monumenti innalzati in sua memoria. Ha una faccia sorridente e rassicurante, come quella di un nonno in compagnia dei suoi amati nipoti.

Il percorso di avvicinamento al mausoleo è cervellotico e pieno di divieti: per qualche oscuro motivo non è possibile attraversare o passeggiare per la piazza, così per raggiungere l’entrata occorre fare il periplo dell’intero complesso. Qui si devono consegnare borse, telefoni e macchine fotografiche, altrimenti il metal detector inizierà a suonare e si dovrà tornare al deposito bagagli. Poi occorre rimanere incolonnati sotto il sole feroce della mattina, fino a quando si è accompagnati all’entrata da una guardia d’onore vestita di bianco. E’ anacronistico stare immobili con nessuno davanti a te, in attesa che qualcuno ti prenda in consegna! Il caso ha voluto che fossi il primo del gruppo, così mi è toccato condurre con passo lento e marziale un gruppo di cinesi provenienti dalla città di Harbin, fino all’entrata del mausoleo. Qui le guardie sono aumentate, fino a diventare una ogni cinque metri: questo assembramento mi faceva sorridere e il mio umore contrastava con l’atmosfera solenne del posto. Lo Zio Ho era rannicchiato in un sarcofago di vetro, era minuscolo, con le mani affiancate sul petto e i capelli striati di bianco, tanto da ricordarmi un roditore stecchito.

La mattinata è continuata all’insegna delle rimembranze storiche. Prima sono stato al museo di Ho Chi Minh, un gigantesco edificio di cemento in stile sovietico, ricco di foto, testimonianze e motti dipinti alle pareti come: “Vivere, combattere, lavorare e studiare, sono l’esempio mostrato dallo Zio Ho”, che enfatizzava le epiche vittorie su francesi e americani. Poi al museo dell’esercito che conteneva vecchi residuati bellici come aerei, elicotteri e carri armati.

Dopo questa full immersion non ne potevo più di lezioni di storia, così davanti all’onnipresente bia hoi, ho consumato un piatto di trippa, una pietanza che non mi sarei mai aspettato di trovare a queste latitudini. Anna Rita era schifata della mia scelta, ma si è solo limitata ad indirizzarmi qualche occhiata di disapprovazione. Poi sono stato al Tempio della Letteratura, sede della prima università del Paese, istituita nel 1070 per educare i figli dei mandarini. Ci sono curiose lapidi che poggiano su una tartaruga in pietra, che indicano i nomi degli antichi laureati.

La sera sono stato allo spettacolo che si tiene al teatro delle marionette d’acqua, dove si esibisce la compagnia Thang Long. www.thanglongwaterpuppet.org Rispetto a quattro anni fa, lo spettacolo è cambiato: ci sono meno scene legate alla mitologia e una maggiore modernità nelle scenografie e nelle forme dei burattini. E’ sempre rappresentata la scena dell’imperatore Le Loi che restituisce la spada magica alla tartaruga d’oro del lago Hoan Kiem, ma ci sono anche draghi che giocano con la palla e burattini che nuotano a stile libero, fanno una capriola e si mettono a nuotare a dorso.

In una bancarella ho acquistato della porchetta con una fantastica pelle croccante che faceva venire l’acquolina in bocca e una macedonia di frutta fresca tropicale, condita con latte condensato. Assieme alla frutta ti davano una grande scodella di ghiaccio grattugiato: l’ideale per rinfrescarsi. Anna Rita invece, ha preferito tornare al ristorante di ieri sera, scegliendo insalata di papaia e granchio al ginger con verdure.

L’indomani sono stato alle poste, per spedire i 18 chili d’acquisti fatti in questi giorni, tempo previsto per la consegna: tre mesi. Stamattina Anna Rita aveva il desiderio di salire un cyclo – pousse, la scenografica carrozzella a pedali che ormai porta in giro quasi solo turisti, perché i cittadini di Hà Nôi, utilizzano scooter o moto taxi. Viaggiare sul sedile di un taxi a pedali rappresenta l’elogio della lentezza, si procede così piano da avere una prospettiva diversa, anche rispetto a quando si cammina o si è in sella ad una moto. Cambia anche la cognizione del tempo: attorno a te tutto è frenetico, mentre tu non hai orario, tutto si dilata. Questo ritmo lento permette di osservare ciò che sfugge al viaggiatore che deve semplicemente coprire la distanza fra due punti. Il cyclo come metafora della vita, perché per capire che cosa sia veramente importante, occorre rallentare.

Ho Chi Minh City

Dopo una rinfrescante bia hoi, sono andato all’aeroporto Noibai che si trova a 35 chilometri dal centro dalla città, dove mi aspettava il volo per Ho Chi Minh City (HCMC), l’ex Saigon, chiamata così dal 1975, l’anno della conclusione della guerra del Vietnam. Con l’autobus n° 152 ho raggiunto il quartiere di Pham Ngu Lao, caratterizzato da una lunga via e da stradine laterali: l’ideale per chi dispone un budget limitato o è un viaggiatore low cost.  E’ un susseguirsi di piccoli hotel, negozi di souvenirs, agenzie di viaggio che propongono tour da uno o più giorni, ristorantini che offrono cucina vietnamita e internazionale. Il quartiere è una sorella minore di Kao San Road a Bangkok.

La scelta per il pernottamento è caduta su un albergo a conduzione familiare, l’Hotel Madam Cuc 184 (MC 184), http://madamcuchotels.com/en/ con un ottimo rapporto qualità prezzo, e uno staff gentile che mette a disposizione frutta e caffè, a qualsiasi ora del giorno. Ho Chi Minh City è differente da Hà Nôi: è meno pittoresca, più moderna e con ampi viali. Si nota una maggiore ricchezza, un modo di vestire meno spartano e più curato: al confronto gli abitanti di Hà Nôi sembrano dei provinciali. Però si cammina volentieri per la città, tra l’allegro caos, tra i rumori delle strade, tra i tanti negozi e ristorantini che cucinano le prelibatezze del mare.

Ho raggiunto la piazza che ospita l’Hôtel de la Ville, il vecchio municipio ora trasformato nella sede del Comitato del Popolo e l’Hotel Rex, con la famosa terrazza frequentata dai corrispondenti della stampa estera, durante la guerra con gli USA. Dopo aver cenato con una saporita baguette, ho terminato la serata facendo quattro chiacchiere in una piccola bottega che vendeva liquori distillati dalla proprietaria. Ho assaggiato distillati di riso, banana e albicocca, ma il pezzo forte erano quelli di serpente. C’erano grossi vasi in vetro che contenevano vino di riso e serpenti d’ogni taglia, con gradazioni alcoliche diverse. La specialità della casa era il Cobratonic, a base di cobra. Sono molti i negozi che vendono vino con serpenti in bottiglia (ruou ran): tale l’abbondanza è data dai tanti allevamenti di rettili, che si trovano sul delta del Mekong. Sembra che il ruou ran abbia proprietà tonificanti e si dice che curi qualsiasi disturbo.

L’indomani mi ha svegliato la luce morbida e abbagliante che entrava dalle finestre. La prima sosta è stata al mercato coperto di Ben Thanh, che si trova a ridosso dell’Hôtel de la Ville, conosciuto ai tempi dei francesi con il nome di Les Halles Centrales, un posto enorme dove non è possibile non fare acquisti. La visita al settore dell’abbigliamento si è rivelata abbastanza stressante, perché ad ogni bancarella i venditori ti accoglievano con un mellifluo sorriso e mentre tentavano di sbarrarti la strada, chiedevano “Sir, what is you looking for?”, così cercavi di tirare dritto, incrociando il meno possibile i loro sguardi. Più rilassanti invece, erano i banconi dedicati agli ortaggi, alla carne e al pesce e i magnifici ristorantini, ideali per rinfrescarsi con le eccellenti spremute alla frutta e il caffè freddo vietnamita, dal sapore intenso e deciso.

Poi sono stato al museo di Ho Chi Minh City, che si trova all’interno di un grigio edificio costruito nel 1886 in stile neoclassico, per ospitare il governatore della Cocincina. Il posto non mi ha detto granché, molto più interessanti invece, erano le coppie di sposi venute appositamente qui per fare le foto di nozze. Gli sposi venivano  presi in consegna da una troupe: c’erano due fotografi, un operatore video, uno stuolo di tuttofare che trasportavano le pesanti attrezzature, c’era chi si dedicava alla disposizione delle luci e al trucco della sposa. Le coppie si sottoponevano docilmente ad una lunga seduta fotografica, resa più impietosa dall’umidità della giornata. C’era la foto con l’altalena, con i cespugli in bamboo, con l’auto d’epoca e con la sposa che suonava il violino. Poi si passava agli scatti all’interno con lo scalone d’onore, il lampadario in cristallo e le ampie sale con gli stucchi dorati. I tempi erano strettissimi, perché dopo ogni foto toccava lasciare il posto ad una nuova coppia che attendeva il proprio turno.

 

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