Yangshuo

Il volo per Guilin è durato un’ora, e in fase d’atterraggio si vedevano le famose colline carsiche che hanno ispirato poeti e pittori cinesi di tutti i tempi. Ho abbandonato i viali ombrosi della città per dirigermi a Yangshuo, attraversando una campagna verde smeraldo, costellata da campi di grano appena arati e campi di riso, con contadini e bufali al lavoro. Le sinuose colline facevano da sfondo, così si susseguivano questi rilievi gli uni addossati agli altri, che da lontano ricordavano i denti di una sega.

Questo paesaggio quieto e bucolico mi fa venire in mente il viaggio nel Guangxi del 1992. Tutto sembra immutato, ma i miei ricordi si sono subito smarriti quando, dopo un’ora e mezza d’autobus sono arrivato a Yangshuo. Non c’era più una semplice fila di case e una strada polverosa: adesso Yangshuo era linda e pulita, attenta alle esigenze dei turisti cinesi e occidentali. Ma mentre Guilin rimane orientata sul turismo di massa dei viaggi organizzati, Yangshuo è più raccolta, e rivolta a una clientela più individuale.

Per dormire la scelta è caduta sul Faulty Tower Hotel. All’imbrunire sono andato alla gran piazza dove arrivano i bus, che a quest’ora si popola di decine di bancarelle. Non mi sono fatto scappare l’occasione di cenare qui, anche Anna Rita era entusiasta dell’idea, così abbiamo mangiato in quest’enorme ristorante collettivo. Gamberi di fiume color granata, che una volta cotti, diventavano di un rosso acceso quasi fiammeggiante, verdure saltate in padella, noodles e riso in bianco per accompagnare le pietanze. Dopo cena sono tornato in albergo, perché c’era un’umidità assassina che ti mandava in corto circuito.

L’indomani ho preso il bus per Xingping, il posto migliore per iniziare un’escursione in barca sul fiume Li, perché la navigazione da Yangshuo a Guilin è controcorrente, dura dodici ore e può essere noiosa. Invece il percorso fluviale da Xingping a Yangdi è più spettacolare. Ci sono tre possibilità per percorrere il fiume: grandi barconi, piccole imbarcazioni strette e allungate, zattere in bamboo con al centro un baldacchino, che ricorda quello degli antichi dignitari. Sotto il regale alloggiamento ci sono due o quattro sedie. Queste barche sono attivate da piccoli motori fuoribordo, e il barcaiolo si aiuta nella navigazione con lunghe pertiche. La mia barca ospita una decina di turisti, una soluzione alternativa rispetto agli enormi barconi che si susseguono ininterrottamente gli uni dietro gli altri. Sono così numerosi, che più che su un fiume, sembra di viaggiare in autostrada.

Tutto sembra identico a quattordici anni fa: l’affollamento delle grandi barche cariche di cinesi che fanno di tutto fuorché guardare il paesaggio, l’enorme appetito dei gitanti, golosi di frutta e spiedini di carne, che scattano fotografie e ridono fragorosamente tra loro. Ci siamo fermati al villaggio di Yangdi e i venditori ci sono subito corsi incontro, per venderci souvenirs e bibite. Alcune donne portavano su un’asta di bamboo due cormorani, si facevano fotografare e poi era possibile farsi immortalare con il bilanciere e gli uccelli sulle spalle. Naturalmente nessuno dei gitanti cinesi si è fatto scappare l’occasione. La Cina meridionale e centrale è famosa per la pesca con il cormorano, una pratica millenaria dove l’uccello è addestrato a tuffarsi, per poi tornare sulla barca con il pesce appena catturato nel becco. Un anello o una corda stretta attorno alla gola, gli impediscono di inghiottirlo, e in questo modo il pescatore recupera il pesce.

Tutto attorno domina un colore verde brillante che ricorda la giada. Il verde è onnipresente: dalle colline carsiche ricoperte di verzura, alle rive con gli enormi cespugli di bamboo. Alcuni cespugli formano vere e proprie foreste, altri alti e isolati svettano tra quelli più bassi. Anche l’acqua nei punti più profondi è verde smeraldo, ha lo stesso colore delle alghe, raccolte dai contadini per sfamare i bufali. E’ una giornata evergreen che incanta per i cieli, l’acqua e le montagne. Dopo la gita, sono salito sulla collina RaoZhai che domina Xingping: sono solo 200 metri d’altezza e 1159 gradini scavati nella pietra, ma si fanno sentire tutti. Si suda molto, non tanto per la fatica ma per l’umidità, e quando ci si ferma a riposare, si suda ancora di più! Dalla cima c’è un bel panorama, disturbato dalla foschia e dalla cappa di calore.

Tornato a Yangshuo sono stato al parco della città, un polmone verde che ospita colline dal nome poetico, come collina del granchio, collina dalla testa di drago, picco del loto verde. La peculiarità del posto è che i forestieri devono pagare l’entrata. Non vale la pena di pagare il biglietto, perché le colline attorno alla città sono più belle, ma se si è ugualmente interessati alla visita, basta passare per le entrate secondarie, dove non ci sono guardiani. Ho cenato in un ristorantino all’aperto, con anatra accompagnata da castagne d’acqua e lumache di fiume, le specialità del posto, assieme al pollo alla birra. Nulla era veramente appetitoso: stasera Anna Rita ha scelto meglio di me, ordinando semplici melanzane e riso in bianco.

L’indomani avevo appuntamento con una guida chiamata Ping, conosciuta mentre camminavo lungo la Xi Jie, la via principale di Yangshuo, che mi aveva proposto una gita in bicicletta lungo sentieri poco battuti, tra colline e campi di riso. Ping mi aveva mostrato un quaderno con i commenti dei viaggiatori che aveva portato con sé, e tutti erano rimasti soddisfatti. La bicicletta era una riproduzione “made in China” di un modello americano: nel complesso non era male, ma mancava di olio e manutenzione al cambio, e il sellino era basso, a misura di cinese più che d’occidentale. Abbiamo pedalato per viottoli di campagna con la maglietta fradicia per l’umidità, costeggiando i fiumi Li e Yulong. La fatica è stata ripagata dal paesaggio: colline calcaree, campi di riso colore smeraldo e piantagioni d’arance verdi.

Arrivati nei pressi della Collina della Luna, forse il picco più famoso del circondario, perché è a forma d’arco con un buco quasi perfetto nel mezzo, abbiamo rifiutato le stressanti proposte di Ping: fare rafting sul fiume Yulong a bordo di zattere lunghe e piatte o visitare le grotte acquatiche del Buddha nero. Ci sono grotte dedicate ai turisti occidentali e cinesi. Nelle prime è possibile camminare tra stalattiti e stalagmiti, nuotare nei fiumi sotterranei e fare un bagno nel fango. Ho visto foto che mostravano visitatori soddisfatti e infangati da capo ai piedi, che facevano pensare più a maiali che ad uomini. In quelle per i cinesi invece, le grotte erano illuminate da luci multicolori, il cui gioco produceva un effetto discoteca, che mandava in estasi i visitatori dagli occhi a mandorla. Non avevo voglia né di rotolarmi nel fango, né di sentirmi un rafter, così, nonostante le insistenze di Ping, che avrebbe intascato una piccola commissione, ho iniziato la salita verso la Collina della Luna.

Subito ti prende in consegna una donna che porta a tracolla una scatola di polistirolo. Ti marca a vista, appena ti fermi a prendere fiato, ti fa aria con un ventaglio e cerca di venderti le bevande che ha nel contenitore. Ti segue con ostinazione fino a quando non compri qualche cosa, poi scompare soddisfatta e va alla ricerca di un nuovo turista. Anna Rita ha sofferto tremendamente la salita, ha sudato fino a diventare bianca come un cencio. Il cuore le batteva come il motore di una Ferrari e le gambe sono diventate instabili e ballerine. La poverina si fermava ogni dieci passi, a nulla servivano gli sventolii della donna con il ventaglio. Ad un certo punto si è seduta e non ne ha più voluto sapere di continuare, ma dopo la crisi passeggera l’ho incontrata in vetta. In cima tutto era identico come a quattordici anni fa: mi ricordavo perfettamente l’arco nella montagna e il bel paesaggio. C’era un po’ di foschia e in lontananza si sentiva il rumore di un temporale in arrivo.

Ho fatto appena in tempo a scendere e a rifugiarmi a casa di Ping, che è iniziata la pioggia. Abbiamo pranzato con la sua famiglia, mentre fuori si scatenava il finimondo. Il marito aveva preparato germogli di bamboo, zucchine e pollo lesso. Ping comandava il marito a bacchetta, ma era più morbida con i due figli, più interessati alla TV e al telefono cellulare che agli ospiti. Il viaggio di ritorno è trascorso sotto una pioggia battente. E’ stato un vero peccato perché il paesaggio, grazie alla pioggia, era ancora più lucente di stamattina, ma in queste condizioni, difficile da apprezzare. Il tour in bicicletta è stato al di sotto delle attese, sicuramente a causa del tempo perturbato. Ho cenato con spiedini di carne cucinati sui carboni ardenti, il cuoco era d’etnia Uighur e li arrostiva su lunghe e strette griglie, proprio come nella regione cinese dello Xinjiang.

Longj Titian

L’indomani dopo quattro ore di autobus, ho raggiunto alcune tra le più belle risaie terrazzate di tutta la Cina, che si trovano nella zona delle colline di Longj Titian, il cui nome significa: “Terrazze dalla spina dorsale del drago”. Il posto non è facile da raggiungere autonomamente, così mi sono aggregato ad un tour organizzato, uno di quelli che fanno l’escursione giornaliera da Yangshuo, per non dovere tornare a Guilin, e da li cambiare ancora bus per Longsheng e per le risaie. I villaggi più interessanti sono quelli di Ping An e Dazai, collegati da strette stradine di sassi e raggiungibili tra loro, con una camminata di tre o quattro ore.

 

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