Poi sono stato all’ashram di Sri Aurobindo. Costui, dopo avere abbandonato la politica
L’ashram si trova all’interno di una bella costruzione bianca in stile coloniale. Entrare qui, non mi ha suscitato particolari emozioni, al contrario dei molti visitatori indiani ed occidentali che sembrano in trance. Occorre seguire un percorso che porta alla samadhi, la tomba di Sri Aurobindo e della Madre. E’ un enorme rettangolo di marmo tappezzato di fiori colorati, e nell’aria predomina l’odore del gelsomino. La calma è irreale, sembra che non voli nemmeno una mosca, molti s’inginocchiano e pregano con la testa china sul marmo della tomba, altri, seduti nella posizione del fiore di loto, meditano ad occhi chiusi, fissando il vuoto. Sono scettico ed osservo senza capire: per questo modo di pregare, nel vedere i seguaci e gli addetti all’ashram vestiti in modo lindo e impeccabile, con una cura meticolosa per il loro portamento, in un Paese dove pochi curano il proprio aspetto. Anche il posto sembra
asettico e ti fa dimenticare di stare in India. Non si possono scattare
foto, ma nel negozio dell’ashram
Alla sera, la chiesa dell’Immacolata Concezione era uno sfavillio di luci colorate, come i sari delle donne che pregavano: più che in India sembrava di stare in Sud America. Ho cenato sulla terrazza del Bambolo Hut, con piatti a base di pesce e birra Kingfisher, poi sono tornato alla guest house in modo rocambolesco. Il biglietto da visita che ho mostrato al guidatore dell’autorickshaw, riportava l’indirizzo di un piccolo albergo che non era il mio! Purtroppo non sapevo ritrovarlo, perché il posto non era centrale e le strade erano buie. Ero stizzito, pensavo che come al solito, il guidatore non sapeva portarmi a destinazione, poi, dopo lunghe discussioni, si è scoperto l’arcano. Stamattina, un addetto della guest house dove ero andato a chiedere alloggio, mi aveva indirizzato da un altro affittacamere. Qui, la tenutaria mi aveva dato un biglietto da visita che era del posto visitato in precedenza. Quando nel cuore della notte, ho
bussato alla vera guest house per chiedere informazioni, ho trovato il
ragazzo di stamattina. All’inizio ha fatto finta di non capire, poi dopo
diversi conciliaboli, degni di una commedia di De Filippo, è salito
sull’autorickshaw e mi ha portato nel posto giusto. Ero furibondo, ma la
tenutaria di fronte alle mie rimostranze non ha battuto ciglio. Una storia
simile è capitata la mattina successiva, ieri avevano assicurato che la
colazione era compresa nel prezzo della stanza, oggi invece era un extra. Di
primo impeto, è uno
Mamallapuram Oggi, il viaggio prosegue verso Mamallapuram (88 km.), cittadina famosa per il “tempio della spiaggia” dedicato a Shiva, edificato dai Pallava nel VII secolo, l’unico superstite di sette templi erosi dalle acque dell’oceano. Per dormire, ho scelto l’hotel Surya, una scalcinata guest house gestita da uno strano tipo, un albergatore scultore, che passava il tempo alla reception, mentre i suoi aiutanti lavoravano alacremente nell’intagliare statue. A Mamallapuram gli artigiani sono specializzati nel lavorare la pietra e ovunque, osservi uomini armati di martelli, scalpelli e pialle che danno forma a statue d’ogni grandezza. Lavorano tutti: dagli adolescenti agli uomini maturi, li riconosci perché sono sporchi di polvere bianca e ricordano i panettieri. Ognuno ha un compito ben preciso: c’è chi taglia i grossi blocchi di pietra grezza, chi maneggia pialle elettriche per abbozzare i lineamenti per i futuri Dei del panteon indù, chi fa gli ultimi ritocchi. Altri, costruiscono gli strumenti di lavoro: scaldano in un crogiolo le punte degli scalpelli, e le estraggono quando un’estremità è incandescente, così modellano un’acuminata punta, che servirà per scalfire la pietra. Tutte le botteghe propongono queste creazioni e artisti e venditori, cercano di invogliarti all’acquisto. Il materiale preferito è il granito, seguito dalla steatite: per chi non apprezza il genere, è sempre possibile consolarsi con la mercanzia dei commercianti Kashmiri! Sono andato al “tempio della spiaggia”,
in granito, con due torri aguzze (shikhara). Non l’ho trovato
particolarmente affascinante, se non per il fatto che si trova a ridosso del
mare. L’erosione del vento, gli spruzzi dell’oceano e le piogge l’hanno
seriamente
Ai piedi della collina che domina Mamallapuram, si trova un gran bassorilievo in pietra chiamato “la discesa del Gange” (27 x 7 metri), una scultura incompiuta con decine di personaggi, dove asceti ed animali selvaggi si mescolano a creature celesti. Rappresenta il sovrano di Ayudhya che supplica Shiva, affinché faccia scendere sulla terra il fiume Gange. Tutta la collina è ricca di mandapa, grotte rupestri e cinque templi scolpiti in altrettanti monoliti di granito rosa, chiamati ratha, perché nella forma, ricordano i carri processionali, che si rifanno all’immagine dei primi santuari in legno. Stasera ho mangiato pesce e bevuto birra in riva all’oceano, poi sono tornato alla guest house dello scultore. Anna Rita si è svegliata dopo avere sognato panini caldi al prosciutto,
così, nel raccontarmelo, mi ha fatto venire una fame tremenda. Dopo
un’ultima passeggiata sulla spiaggia, ho preso il bus per Kanchipuram (66
km.), una delle sette città sacre dell’India. Tutte le altre si trovano nel
nord del Paese (Ayodhya, Haridwar, Varanasi, Mathura, Ujjain e Dwarka), e
sono dedicate ad un solo Dio, mentre Kanchi, com’è qui chiamata Kanchipuram,
è dedicata a Shiva e Vishnu. La credenza indiana, associa l’origine della
vita con i cinque elementi della creazione, cosicché Shiva, viene adorato
anche sotto forma di lingam. Il Prithvi-lingam di sabbia e coperto di
metallo del tempio Sri Ekambaranathar di Kanchipuram rappresenta la terra,
l’Akash-lingam del tempio di Shiva Nataraja di Chidambaram lo spazio,
l’Appu-lingam del tempio Sri Jambukeshwara di Trichy l’acqua, l’Agni-lingam
del tempio Arunachaleswar di Tiruvannamalai il fuoco e il Vayu-lingam del
tempio Sri Kalahasti
Kanchipuram Dei mille templi originari, costruiti a Kanchipuram sotto la dinastia Pallava, ne rimangono meno di duecento: il più bello è il più antico è il Kalisanatha, dedicato a Shiva “Signore del monte Kailash”, la dimora degli Dei. Mi ha fatto da guida un bramino, la cui famiglia lavora come “guardiana del tempio” da diverse generazioni, mostrandomi gli ambienti bui e il lingam prismatico della cella, antico di più di duemila anni. Il luogo dimostra l’età, ma la pietra arenaria affascina: molte sculture sembrano vive e fanno sognare. La porta centrale e il gopura a forma di piramide sono stati coperti di stucco sotto la dominazione inglese, così possiedono un colore bianco accecante che male contrasta, con il rosa ed il marrone della pietra arenaria. Ben diversa è stata la visita al tempio Sri Ekambaranathar dedicato a Shiva, un tipico esempio di tempio fortezza con torri-porta e alte mura di cinta, iniziato a costruire sotto i Pallava e terminato dai Chola e dai Vijayanagar. Appena ho tolto le scarpe, sono stato assalito da un gruppo di donne che mi hanno costretto a partecipare ad un rito propiziatorio: il fine di questa puja era quello di arrecare felicità e benessere a me e ai miei cari. Una donna ha iniziato a salmodiare in modo cantilenante e ogni volta che chiedeva il nome di uno dei membri della famiglia (padre, madre…), metteva una manciata di chicchi di riso soffiato sotto una statua di Ganesh. Il rito è terminato strappando un fiore e lanciandolo in aria. Ad Anna Rita invece, è toccato un rito bene augurante per avere un figlio: la “sacerdotessa” continuava a toccarle la pancia. Appena ci siamo svincolati dalle erinni, si è materializzata una guida abusiva che ha continuato a seguirci, dicendo che non voleva essere pagata e che faceva questo lavoro per pura passione, definendosi anche lei un “custode del tempio”. Ovunque c’erano cartelli che indicavano di prestare attenzione alle false guide, così quando ce ne siamo liberati, gli abbiamo regalato due penne, un gadget sempre apprezzato in India. Fino a poco tempo fa, al centro del tempio, c’era un albero di mango
carico di frutti e d’anni Ho cenato al ristorante Saravana Bhavan dell’hotel Jayabala International, sembra uno sciogli lingua, ma vale la pena venire qui: su tutto, il riso agli anacardi e i funghi al curry. Anche la stanza dell’Heritage Inn è bella e pulita. Gastronomia 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 | Diari Index |
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