Queste montagne furono il principale
problema per gli Usa, infatti, quando i Vietcong Nel pomeriggio siamo
andati a vedere il ponte Hien Luong sul fiume Ben Hai, qui passava la Strada n°
1, la più importante che attraversava il Paese e rappresentava la linea di confine
tra i due Vietnam divisi dalla DMZ. Lultima sosta è stata ai tunnel di Vinh Moc
situati a ventotto chilometri a nord dalla DMZ. La popolazione e i Vietcong costruirono in
tredici mesi tre chilometri di tunnel con cunicoli sotterranei, usati come rifugio per
sopravvivere ai bombardamenti. I tunnel hanno tre livelli di profondità (12, 15 e 23
metri) e dodici entrate, da cui si accede dalla spiaggia e da botole mimetizzate con
foglie. Tra il 1966 ed il 1971 ospitarono fino a trecento Vietcong, sessantadue famiglie e
nacquero diciassette bambini. I tunnel, servivano anche a nascondere il materiale bellico
che di notte era trasportato sullisola di Con Co. Nonostante i bombardamenti a La giornata è stata superiore alle attese: non ho visitato fortificazioni o resti tangibili dei campi base, ma grazie allimmaginazione, ai libri consultati, alle mappe topografiche e alle cartoline depoca, la visita alla DMZ è stata appassionante. Anche stasera sono stato a cena del Dr. Trau Vui e poi allisola di Hen, dove mi ha fatto assaggiare una specialità di Hue: granatina dolce con granoturco. Mentre camminavo verso lalbergo, ero continuamente avvicinato dai guidatori di cyclo pousse che sottovoce mi proponevano massage, girl, bum bum. Mi sono svegliato presto grazie alla luce che entrava dalle finestre, anche qui, come in tutto il sud est asiatico non esistono tapparelle e le tende sono trasparenti. Con la moto ho costeggiato uno dei tanti canali della città fino ad unansa del Fiume dei Profumi dove erano ormeggiate alcune chiatte. Ero davanti ad un girone dantesco con uomini, donne e bambini impegnati a scaricare sabbia e pietre. Sotto il peso dei bilancieri in bamboo, gli operai camminavano con un passo sciancato che faceva venire in mente quello dei marciatori. Era una processione continua che terminava quando la chiatta era vuota per poi passare alla successiva. Il materiale era ammucchiato in cumuli di sabbia e sassi, qui altri uomini, con badili lo caricavano sui camion. Nel guardare la scena grondavo di sudore, era unimmagine arcaica che contrastava con i bus carichi di turisti che vedevo passare sullaltra sponda del fiume. Continuando, ho incontrato strade contornate da alberi di bamboo che si piegavano ad arco e formavano tunnel verdi, sentieri che portavano ad abitazioni, templi abbandonati, campi ed orti: una scoperta più affascinante di quella delle tombe degli imperatori Nguyen. Ho fatto uno spuntino con una baguette ripiena di ravioli trasparenti, gamberetti, salse gialle, erbe e peperoncino. Hue ha il primato nella
costruzione dei non bai tho, i cappelli conici, così sono passato per i quartieri di
Phuoc Vinh e Vinh Loi. Si dice che a questattività, antica di oltre quattro secoli,
lavorino più di settecento famiglie. Ogni persona fabbrica dai tre ai quattro cappelli il
giorno. Seguendo il canale Mi sono fermato al mercato di Dong Ba che si tiene in un gran capannone: cè un odore pungente da mescolanza di prodotti che sotto il sole del mezzogiorno ti stordisce, poi ho preso il minibus diretto a Hoi An (centoquaranta chilometri). Si percorre la Strada n° 1, che è tutta dritta e si costeggia il mare della Cina meridionale. Il traffico scarseggia, non cè nessuna macchina, solo bus di linea e camion che trasportano sabbia. A trenta chilometri da Da Nang siamo transitati per i tornanti aguzzi del passo Hai Van (Oceano di nubi), fa parte della catena montuosa Truong Son e si raggiunge unaltitudine di 496 metri: in inverno il passo divide climaticamente nord e sud. Nel quindicesimo secolo, segnava il confine tra il Vietnam ed il regno di Champa e durante la guerra con gli USA, il vecchio forte francese era utilizzato come bunker dallesercito del sud. Si sale a passo duomo, spesso ci si ferma e si rallenta per i lavori in corso e laiutante dellautista deve scendere per mettere grandi cunei di legno sotto le ruote del minibus. Questo è il momento atteso dai venditori che assalgono gli automezzi con i cestini da viaggio contenenti generi di conforto. In prossimità della cima si viaggia a senso alternato e ci si distrae volentieri a guardare in lontananza il mare, le spiagge deserte e le colline ricoperte da una fitta giungla dalberi di bamboo, eucalipti e frangipani. Hoi An In quattro ore sono arrivato a Hoi An e ho preso una stanza allHotel
Vinh Hung 2, in Nhi Trung Street. In città, i conducenti dei bus avevano una fretta
terribile e cercavano di esorcizzare il traffico a Lindomani ho noleggiato una moto e per colazione mi sono fermato in un ristorantino dove cuoceva un grosso maiale allo spiedo. Cera un gruppo di guidatori di cyclo pousse, euforici perché era domenica e non si lavorava. Più che mangiare bevevano, continuando a riempire i bicchieri, piccoli come ditali, con grappa di riso. Ho respinto i numerosi inviti ad unirmi a loro, limitandomi alla birra Halida, imbottigliata a Hue con tecnologia danese, così recitava letichetta. Mi hanno raccontato che passavano la mattina dei giorni di festa a bere, mentre il pomeriggio crollavano sotto leffetto dellalcool. La domenica vietnamita mi faceva venire in mente i nostri anni cinquanta, dove Domenica voleva dire fare una passeggiata, mangiare un gelato e andare al bar con gli amici. Hoi
An, lantica Faifo, fu un fiorente porto dal XVII al XIX secolo. Gli abili
commercianti cinesi e giapponesi crearono un quartiere allinterno della città, poi
arrivarono gli europei alla ricerca di seta, porcellana, pepe, madreperla e lacca.
Cè il famoso ponte coperto, costruito nel 1593 che collega il quartiere giapponese
con quello cinese e numerose tombe di mercanti stranieri. In città si riunivano le
corporazioni dei cinesi, dei cantonesi, delle comunità del Fujian, di Hainan e Chaozhou.
Le sale dove si riunivano (hoi quan), consentivano ad ogni gruppo di conservare le proprie
tradizioni ed erano un punto di ritrovo per gli affari. Nelle tre strade principali ci
sono circa seicento residenze storiche: visitarne almeno una è un obbligo. Gli esterni
sono in mattoni, gli interni sono ricchi di porte e paraventi intagliati, mobili in ebano,
stucchi e soffitti a guscio di granchio e i tetti con tegole concave e convesse yin e
yang. Ultimi per descrizione, ma non per importanza, i luoghi di preghiera: pagode, chiese
e cappelle familiari. Tutta larchitettura della città risente di molteplici
influenze, con aspetti che ricordano il vecchio continente e lestremo oriente. Hoi An è anche famosa per labilità delle sartorie, dove in poco tempo si confezionano vestiti su misura: donne di tutte le età ti fermano per strada e tinvitano a visitare gli atelier. Al mercato mi sono fatto fare due paia di pantaloni, ma tutta la cittadina è un grande bazar che invoglia allacquisto. Ho camminato per gli argini delle risaie, guardando i contadini che trebbiano il grano e che pescano nei canali, poi ho cenato in un ristorantino con lumache cotte in un sugo al peperoncino e ginger: un accostamento da mozzare il fiato. Pochi vietnamiti bevono Bia Hoi, i più pasteggiano con un liquore di riso servito in grandi caraffe. My Son Lindomani andrò a My Son, lantica capitale del regno dei Champa che si trova in una valle verde ed isolata, a sessanta chilometri da Da Nang. I Cham sinsediarono nella regione tra il II ed il XII secolo e nel IV secolo My Son subì linfluenza artistica indiana, come le città dAngkor in Cambogia, Bagan in Birmania, Ayuthaya in Thailandia e Borobudur a Java. I Cham erano un popolo dagricoltori e pirati che attaccavano le navi nel mar cinese e abili combattenti, sempre in guerra con i Khmer e i vietnamiti, fino a quando furono assoggettati da questultimi nel XVII secolo. Erano anche noti per i loro santuari: le torri (khan), costruite in mattoni cotti tenuti insieme da resina. Larchitettura delle torri era semplice: un ingresso rivolto ad ovest sormontato da un portico ornato con sculture elaborate, un tetto di forma piramidale e una cella rettangolare centrale con alte pareti. My Son era la capitale religiosa, mentre Simhapura era quella politica. Contava più di settanta templi costruiti tra il IV ed il XIII secolo, ora ne rimangono meno di venti. Durante la guerra Non sono le condizioni ideali per una visita, ma la nebbia bassa e la pioggia che rende lucente il fogliame aggiungono un alone misterioso al posto. Il terreno è tappezzato da colonne, capitelli a forma di fiore di loto, lingam, parti di antichi fregi triturati dal logorio dei secoli e dalle intemperie. Si cammina tra torri dedicate ai re Cham, a Shiva e statue senza testa scolpite nella pietra arenaria. La sensazione è di vedere unaccozzaglia di detriti e torri mozze che si reggono in piedi a fatica. Questo è quello che si prova al primo impatto, ma quando locchio si abitua a questo paesaggio di rossi e verdi, si aprono nuove prospettive e il singolo capitello e la singola scultura sono ammirati nella loro unicità e non come parte del sito archeologico.
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