Sono tornato a Hoi An in barca, navigando il fiume Bon. Il tempo non era dei miglioriVietnamDiario_51.jpg e la luce bassa e le nuvole appiattivano tutto. Nel pomeriggio ho preso il bus per Da Nang (trentasette chilometri). Ho dovuto pagare un prezzo triplo rispetto a quello normale e nonostante le proteste, tutti facevano finta di non capire. Questi raggiri mi fanno venire in mente i film di Totò come “Tototruffa” o “Guardie e ladri”, all’inizio mi arrabbio, poi ci rido sopra.

Da Nang

Ho raggiunto l’albergo con un cyclo – pousse, il guidatore si faceva strada tra il traffico suonando un campanello ed il più delle volte, forse in ossequio alla sua fatica, otteneva la precedenza. Ho scelto l’Hotel Da Nang, un edificio che dimostra tutti i suoi anni, costruito per ospitare il personale americano nel periodo della guerra. La camera mezza sfasciata rappresenta un pezzo di storia ed è la peggiore sistemazione di tutta la vacanza, con lenzuola grigie, acqua fredda e scarafaggi rossi che scorrazzano lungo il pavimento di moquette plastificata.

Ho cenato al Café Lien e la proprietaria mi ha presentato le figlie in cerca di marito. Il gioco consisteva nella scelta di quella che avrei dovuto sposare, me la sono cavata dicendo che la notte mi avrebbe portato consiglio. Ho dormito di gusto, nonostante le rumorose pale del ventilatore e un risveglio improvviso dovuto ad uno scarafaggio che mi camminava sulle gambe. Di buon mattino sono andato a fare colazione, invece del pho o di una baguette ho scelto un curioso piatto: uova al tegamino, bistecca e verdure arrostite, una portata ordinata da tutti gli avventori. Ero l’unico a bere caffè ghiacciato, gli altri bevevano il the slavato contenuto nelle caraffe.

Mentre le cameriere passavano tra i tavoli con vassoi colmi di profumate baguettes, mi sono fatto assalire dalla malinconiaVietnamDiario_52.jpg da ultimo giorno di Vietnam. Vorrei viaggiare senza avere una data di ritorno prestabilita, concedendomi tutto il tempo necessario per viaggiare “On the road”, assimilando e fagocitando lentamente tutto quello che mi scorre davanti agli occhi.

Sono poi andato a visitare la principale attrazione della città: il museo Cham, realizzato nel 1915 dalla Scuola Francese dell’Estremo Oriente. E’ un bell’edificio di colore giallo che si trova sul lungomare e raccoglie circa trecento sculture in pietra arenaria e terracotta ritrovate tra il VII ed il XV secolo provenienti dal regno di Champa. Mi si è avvicinato un vietnamita soprannominato Monsieur Louis, un pensionato che si è inventato un lavoro come guida all’interno del museo. Un bel sito sul museo è all'indirizzo  http://perso.club-internet.fr/gilkergu/champa/museecham/museecham.htm I pezzi migliori provengono da Dong Duong (Indrapura), Khuong My, My Son, Tra Kieu (Simhapura) e Thap Mam (Binh Dinh). Nelle sale sono rappresentate sculture antecedenti e successive l’anno mille. I capolavori del primo periodo (dalla fine del VII secolo fino al IX), riflettono l'era più prosperosa del regno di Champa.

C’è l’altare di Tra Kieu utilizzato per il culto di Shiva, il Dio creatore e distruttore dell'universo. Le statue dei primi re Champa invece, hanno grandi occhi, nasi enormi e labbra spesse. Queste sculture che mostrano tutta la loro vitalità e l’aspetto imponente, si rifanno alla credenza che le forze sovrannaturali sostenevano i re durante l’era Buddista. Il secondo periodo, successivo al X secolo, rappresenta l’inizio del declino dei Champa i cui accadimenti hanno influenzato anche l'arte. I motivi decorativi con animali sono più elaborati, quelli con gli uomini sono più aridi eVietnamDiario_53.jpg smussati e vanno perdendo le caratteristiche espressive del periodo precedente. Infine ci sono i manufatti scoperti a Thap Mam che vanno dal XII al XIV secolo: sculture di grandi animali, makara (mostri marini) e garuda (uccelli mitologici) che ornavano templi e torri.

Dopo la visita ho comprato dei dolci tondi e quadrati che si preparano in occasione del Thrung Tu, il festival di metà autunno, che si tiene il quindicesimo giorno dell’ottavo mese lunare. In occasione di questa festa, nel 1284, il generale Tran Hung Dao guidò i vietnamiti alla vittoria sui Mongoli. La festa ricorda anche l’approssimarsi della fine del lavoro di mietitura nei campi ed è un’occasione per mostrare l’amore dei genitori nei confronti dei bambini cui si regalano dolci e lanterne di carta da portare in processione. Le lanterne rappresentano la luminosità, mentre la processione simbolizza il successo nella vita. Da giorni vedo i bambini che si ritrovano festanti agli angoli delle strade: indossano maschere e danzano al suono dei tamburi all’interno di draghi di stoffa.

In aeroporto, mentre VietnamDiario_54.jpgaspettavo di imbarcarmi per Bangkok mi chiedevo cosa mi avesse attratto di questo Paese. Era l’idea di tornare ad una “civiltà arcaica”, l’idea di scoprire “nuove frontiere non tecnologiche” o il cercare di rendermi simile ai locali mangiando una scodella di pho o bevendo una Bia Hoi? In questo mondo pulsante dove tutti lottano per migliorare la propria esistenza, ho apprezzato la cordialità di chi ti regala sempre un sorriso e gli incontri con persone schiette che vivono in un mondo non ancora contagiato dall’economia di mercato e dal consumismo.

In Vietnam non sai cosa siano noia e solitudine e ogni giorno affronti esperienze nuove. Inizi a percorrere una strada o un itinerario prestabilito, segui suoni e odori e lasciandoti guidare dall’istinto rivoluzioni il programma. Ho trascorso giornate frenetiche e piena di scoperte e solo adesso mi accorgo che sono volate in un soffio.

 

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