Non è semplice comunicare, interpretare le risposte e farsi capire. Il discorso, pur riducendosiVietnamDiario_9.jpg (51097 byte) a poche battute, può protrarsi all’infinito e nel bel mezzo della conversazione non puoi liquidare l’interlocutore con uno sbrigativo arrivederci. I ragazzi invece, ti chiedono quanto vale l’orologio che hai al polso e se è di marca giapponese. Quando capiscono che sei italiano, s’interessano al mondo del calcio e ti parlano d’Inzaghi, Maldini e Totti. Non è inusuale sentirsi dire ”Del Piero è nel mio cuore”. A quel punto abbozzi un mezzo sorriso, non sapendo cosa rispondere!

Ho camminato fino al teatro dell’Opera, un bell’edificio in stile francese costruito nel 1911. Se non fosse per la bandiera rossa che sventola sul pennone, potresti immaginare di trovarti a Parigi, nella Ville Lumière. Il suo nome è “Nha Hat Lon” vale a dire “Casa dei grandi compositori”, dal balcone che dà sul Viale Ly Thanh Tong, i Viet Minh, il 16 agosto 1945, annunciarono la liberazione dai giapponesi. Ho preso un moto taxi abusivo, chiunque possiede un mezzo e vuole arrotondare lo stipendio si colloca in prossimità degli incroci e cerca di attirare la tua attenzione. In qualunque posto si vada, si paga sempre la stessa cifra. Mi sono fatto portare alla stazione dei treni e ho prenotato una cuccetta per Lao Cai, dove andrò la prossima settimana.

Il flusso di moto e biciclette è continuo e incessante e assedia la città dall’alba fino al tramonto. La strada è una jungla e i conducenti non guardano in faccia a nessuno, i semafori sono un orpello inutile e la precedenza la conquista chi osa maggiormente, i sensi unici invece, sono un invito ad infrangere le regole. Spesso qualcuno cade, si rialza, raccoglie la propria mercanzia sparsa sull’asfalto e riparte. Se invece si verifica un incidente, si forma un crocchio di persone attorno al luogo del misfatto eVietnamDiario_10.jpg le discussioni diventano interminabili.

Nei baracchini per strada le bevande sono raffreddate con grossi blocchi di ghiaccio e talvolta sono tiepide, così sono entrato in un supermercato per comprare qualche cosa di più fresco. Le bottiglie erano allineate sugli scaffali refrigerati ma mancava l’elettricità e ho lasciato perdere.

A piedi mi sono diretto verso il Tempio della Letteratura (Van Mieu), l’unico grande monumento sopravvissuto dell’Hà Nôi pre coloniale, fondato nel 1070 dall’imperatore Ly Thanh Tong e dedicato a Confucio. Qui nel 1076, fu fondata la prima università del Paese per istruire i figli dei mandarini: rimangono 82 steli montati su gusci di tartaruga con i nomi di 1.036 laureati, ma dal 1802 l’imperatore Gia Long trasferì l’università a Hue, la nuova capitale. Il tempio di forma rettangolare, ha cinque cortili separati da alti muri e collegati da corridoi e portici. Le costruzioni hanno nomi poetici come “Padiglione delle Pleiadi” e “Portico dei buoni risultati”: all’entrata c’è un’antica iscrizione dove si dice che i visitatori non possono entrare a cavallo. Il tempio è un’oasi di verde e tranquillità, ci sono coppiette di innamorati, c’è chi chiacchiera o legge il giornale, l’aria è impregnata dell’odore mieloso dei fiori e in lontananza senti il rumore dei clacson.

Ho conosciuto Kung, una studentessa della scuola di giornalismo che mi ha fatto le solite domande: di fronte a quella sul mio stato civile, ho detto che ero vedovo e Kung ha risposto con un “sorry”. Davanti allo stadio Hang Day c’era un bar all’aperto dove mi sono fermato a bere due Bia Hoi. Ero seduto su uno sgabello basso, una soluzione ideale per i vietnamiti di esile costituzione, ma non per gli occidentali.VietnamDiario_11.jpg Mentre sgranocchiavo noccioline americane e mangiavo un “non so che” avvolto in foglie di banano, guardavo la vita di strada che mi scorreva davanti e pensavo di essere uno spettatore che si godeva la scena senza pagare il biglietto. Per le strade le moto scorrazzavano all’impazzata e i marciapiedi erano affollati da gente che mangiava in ristorantini improvvisati e che tornava verso casa.

Dopo una granita con frutta candita e gommosa mi sono incamminato verso il “Camellia II”. All’alba ero per strada: la città si stava svegliando e i negozianti iniziavano ad aprire le botteghe ed a spazzare i marciapiedi. C’era chi faceva tai chi ed alcune vie erano occupate dai venditori di frutta provenienti dalle campagne. Alcuni frutti erano sorprendenti: “custard apple” simili a pigne, mangostani dal colore porpora, “longan” piccoli e tondi e “dragon’s fruit” buffi da vedere. Fuori sono rosa shocking, dentro sono bianchi con tanti puntini neri che ricordano il gelato alla stracciatella. Verso le otto, venditori e compratori hanno abbandonato i marciapiedi. Le venditrici di baguettes trasportano il pane in ceste sopra la testa o in sacchi di juta, aiutandosi a tenerle in equilibrio con la mano destra. Ne ho mangiata una ancora calda, imbottita con paté, burro e uno strano prosciutto rosa e ho bevuto un the, servito in bicchieri grandi quanto un ditale. Era amaro, di un colore giallo carico e caldissimo. Da domani lo berrò freddo con l’aggiunta di ghiaccio, come la maggior parte dei vietnamiti.

Oggi andrò alla Montagna dei Profumi che si trova nel distretto di My Duc, a sessanta chilometri da Hà Nôi. Il viaggio in bus dura due ore, poi si prende una barca a remi che in un’ora e mezza ti porta ai piedi dellaVietnamDiario_13.jpg montagna e si inizia a salire a pedi. Al villaggio di Huong Son siamo saliti su piccole barche di ferro e le rematrici erano tutte ragazze giovani. Mi trovavo a disagio in questa situazione, come quando sono costretto a prendere un cyclo – pousse, se posso, evito questi mezzi di trasporto. Ho visto anche donne muratore e donne che asfaltavano le strade: forse in Vietnam, per chi fa lavori umili è stata raggiunta la parità dei sessi.

La gita lungo il fiume Yen, tappezzato di fiori di loto con attorno montagne calcaree e campi di riso è stata interessante. Abbiamo visitato la Pagoda che porta in Paradiso (Thien Tru), poi siamo saliti fino alla Pagoda dei Profumi (Chua Huong Thich). La salita non era faticosa, il problema era l’umidità. Ho fatto il percorso tutto d’un fiato, ogni cinquanta metri c’erano i venditori di bibite che t’invitavano a fermarti, non erano asfissianti come quelli del lago Hoan Kiem, ma poco ci mancava. In vetta sono rimasto deluso perché la pagoda era una gran grotta buia con un altare dedicata alla Dea della Misericordia: mi aspettavo tutt’altro. Ho conosciuto due ragazze di Hue che parlano francese e si sforzano di utilizzare l’accento con la “r” moscia, ma poiché non riescono a pronunciarla, tra un “très jolie” e l’altro, il divertimento è assicurato.

E’ poi ricominciato l’assalto delle venditrici di cartoline, cappelli conici e braccialetti. Tutte ci chiedevano di comprare qualche cosa, dicevano che non avevano soldi per sfamare i figli: non so se fosse vero, ma tutto ciò metteva un velo di tristezza e disagio alla gita. Abbiamo raccolto qualche migliaio di Dong per la guida che ci aveva accompagnato, ma una ragazza tedesca ha obbiettato che lasciare denaro, è comeVietnamDiario_13.jpg accettare l’idea del “baksish” richiesto degli indiani. La questione è stata affrontata da un punto di vista etico con un acceso dibattito. Gli undici dollari americani che abbiamo lasciato alla guida rappresentano una somma non trascurabile, perché un impiegato pubblico ne guadagna venti al mese.

Stasera Hà Nôi è tutta uno scintillio di luci, le case e gli alberi sono addobbati con lampadine colorate e alle finestre e ai balconi delle case sventola la bandiera nazionale. Ovunque ci sono cartelloni inneggianti alla giornata di domani, all’anniversario dell’indipendenza, avvenuta il 2 settembre 1945, quando l’ultimo imperatore Bao Dai abdicò e Ho Chi Minh si proclamò presidente della Repubblica Democratica del Vietnam. Le strade sono invase da persone che passeggiano e che si accalcano nei ristorantini improvvisati. Sui marciapiedi si comprano spiedini di carne, seppie essiccate e tanta frutta, mentre i venditori di gelati di marca “Thuy Ja” fanno grandi affari. Mi hanno colpito le persone in fila alle gelaterie e i marciapiedi attorno al lago Hoan Kiem ricoperti d’incarti multicolori. Nell’aria c’è un sapore di festa con tanti bambini, palloncini colorati e maschere di cartapesta con facce da scimmia: come nelle feste di paese, manca solo l’odore delle frittelle e dei salamini. Nessuno è qui per celebrare l’anniversario dell’indipendenza e a nessuno interessa il suo significato politico, questa è un’occasione per festeggiare e sentirsi vivi.

Nella grande Piazza Cau Go, davanti al lago Hoan Kiem, c’era un palco dove si esibivano giocolieri, trapezisti e ragazze che salendo le une sulle altre, formavano una piramide umana: gli spettatori più fortunati erano seduti sui rami degli alberi, gli altriVietnamDiario_14.jpg utilizzavano le selle di moto e bici. Tutti volevano avvicinarsi al palco e il caos era totale. In un’altra piazza si esibivano il coro dell’esercito e cantanti vestite con Ao - dai colorati: le melodie erano melanconiche e per nulla allegre. Ho cenato con involtini primavera e una tazza di pho bollente insaporito con pezzi d’aglio, poi sono andato a dormire.

Oggi è l’anniversario dell’indipendenza, gli uffici pubblici e le scuole sono chiusi, invece i mercati e i negozi sono in piena attività ed il volto della città è quello frenetico di tutti i giorni. Ho visitato la cattedrale di San Giuseppe, costruita nel 1886 in stile neo gotico. La religione principale è il Taoismo, ma i cattolici sono circa otto milioni. La piazza che la ospita è austera e severa come la chiesa: è un angolo di vecchia Europa nel sud est asiatico. Sono stato assalito dai questuanti che stavano accovacciati sul marciapiede e appena mi hanno visto, hanno fatto uno scatto da atleti centometristi.

 

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