Matho Gompa

Alla mattina, non ho mancato l’appuntamento  con il bus per il Matho Gompa. Leh non è una città sporca e sommersa dalla spazzatura, ma c’è tanta polvere. Tutti cercano di fare pulizia con piccole scope costruite con rami di legno intrecciati, ma così alzanograndi nuvole di sabbia ed ammorbano l’aria. Arrivato al Gompa, sono salito sul tetto per ammirare il panorama, quando ho sentito un suono di trombe e di tamburi provenienti dal tempio, mi sono precipitato al suo interno, era in corso una Puja. Si trattava di una Puja un po’ speciale perché ero l’unico straniero. I monaci pregavano dondolando gravemente il capo, nelle tante pause si sentiva solo il rumore del vento e lo sgranare dei rosari buddisti. Un novizio, che aveva un barattolo di tsampa, ha riempito le ciotole dei monaci, uno di loro ha fatto una palla e me l’ha offerta, ho iniziato a masticarla, ma era indigesta da deglutire. Mi hanno portato una tazza di tè salato fatto con burro e tsampa, che in Ladak si chiama gur-gur.

Dopo la fine della Puja, il monaco portiere, che aveva alla cintola un pesante mazzo di chiavi, mi ha introdotto nelle più nascoste stanze del Gompa. Ho visitato il piccolo museo dove c’era uno yak impagliato, l’antica libreria, Thangka vecchi di oltre seicento anni, maschere lignee e sciabole utilizzate nelle danze rituali. Mi sono poi incamminato verso il monastero di Stakna, si vede in lontananza e dista cinque chilometri. Ho attraversato un deserto di pietre percorso da torrenti, che sembrava non dovesse mai finire. Le scarpe continuavano ad affondare nel fango e mi fermavo per immergere il cappello nell’acqua fresca. Il sole era allo zenit, la vista abbracciava sia le montagne che i Gompa di Tikse, Matho e Stakna.

Stakna

Debilitato per il caldo, ho trovato una scuola e ho chiesto di entrare sia per visitarla che per avere un po’ d’ombra. C’erano una ventina di bambini che mi guardavano con meraviglia e curiosità e continuavano a fare lo “spelling” delle parole scritte sulla lavagna: “lion, lamp, leaf e lemon”. Arrivato in vetta ho chiesto ad un monaco se era possibile avere un chai, questi ha scosso la testa, mettendomi in mano il biglietto d’ingresso. Dopo la visita al Gompa, il monaco “bigliettaio” me ne ha offerta una tazza. Dal tetto il panorama abbraccia la valle dell’Indo, la L.P. dice: “From the roof are the best moonscape views to be had of Ladakh”.

Dopo aver attraversato un ponte sull’Indo, ho preso un minibus per Leh, davanti ad una fetta di torta della “German Bakery” ho scritto e affrancato le cartoline. In India l’affrancatura dei francobolli è una lotta persa in partenza, questi quadratini, oltre ad avere un retrogusto terribile non si attaccano mai, così si continua a leccare la parte gommata fino a quando la poca colla si esaurisce. Ne ho chiesta un po’ al cameriere, è tornato con un cucchiaio la cui punta n’era intrisa e ho terminato l’operazione. Tornato all’Oriental Guest House ho rifatto lo zaino e dopo un piatto di riso e vegetali sono andato a dormire. Domani andrò a Lamayuru e il bus partirà all’alba: Lamayuru si trova sulla strada per Srinagar, ospita uno dei Gompa più famosi e spettacolari del Ladakh, costruito su uno sperone roccioso, con attorno montagne che cambiano continuamente colore.

Lamayuru

Alle quattro del mattino era ancora buio pesto, mi sono incamminato verso la stazione dei bus ed ho incontrato una ronda di soldati e un gruppo di cani che annusavano tutto quello che trovavano per terra. Sul tetto del bus, i passeggeri sistemavano lentamente le loro cose. Seduto accanto a me, c’era un mussulmano che dormiva brontolando ed un altro con una gobba che lo faceva assomigliare al “Gobbo di Notre Dame”, magari porterà fortuna! Ci siamo fermati alla stazione di servizio della “Indiane Ladakh gas service”, tutti guardano la pompa di benzina come se fosse un oggetto misterioso.

La strada verso Lamayuru è proprio bella: dove scorre l’Indo (che ha un colore caffelatte) è come se la valle fosse percorsa da una “autostrada verde” formata da pioppi e da alberi d’albicocco, invece quando si abbandona il fiume ci sono montagne grigie e rosse, il cielo è di un blu incredibile. Ci siamo fermati a Kalsi per uno spuntino: c’era il solito riso con vegetali, fra i quali, come in una mitica creazione di Fabergè troneggiava un uovo sodo. Risaliti sul bus abbiamo aggredito i primi tornanti del passo Fatu La (4.147 metri), spesso ci si ferma per i lavori di manutenzione alla strada ed i mezzi incolonnati fanno “grandi sgasate” per tenere il motore su di giri e non farlo spegnere.

Dopo sei ore di viaggio e 124 chilometri percorsi, ecco Lamayuru, il posto più a nord del viaggio, definito così dalla L.P.: “It’s the location that makes it special”. Ho celebrato l’arrivo con due tazze di chai: sono contento, commosso ed orgoglioso di essere arrivato qua, ma soprattutto di esserci arrivato con i miei mezzi, dopo giorni di “bus giocattolo”, di pranzi saltati e di spuntini a base di riso e dhal, di chai, d’alberghetti senza luce con le lenzuola sporche, di docce gelate e di continui risvegli all’alba, ma molto più contento ed appagato del gruppo di turisti francesi seduti al mio fianco, pronti a partire per un trekking verso Padum. Sono vestiti con abbigliamento tecnologico, dotati d’attrezzature da alta montagna e scortati da guide sorridenti, agghindate con giubbotti alla “Indiana Jones”. Dispongono di una carovana di jeep, schierate come un battaglione pronto a mettersi in moto, bevono Coca Cola e pranzano “al sacco” con tramezzini e uova sode.

Ho preso alloggio al dormitorio del monastero: i monaci stavano preparando piccole palle di tsampa per la Puja, uno mi ha invitato nella sua cella, dove mi ha offerto albicocche secche dure come cemento, ho ricambiato con quelle fresche acquistate stamattina a Kalsi. Richiamato dal suono di una campana, sono andato a vedere da dove provenivano i rintocchi: erano quelli della cucina del Gompa che annunciava il pranzo. Mentre osservavo i monaci che arrivavano alla spicciolata, sono stato invitato ad unirmi a loro e naturalmente ho accettato. Tutti mangiavano rumorosamente con grande appetito ed il rutto era libero.

Ho passato il pomeriggio nel salire e nello scendere sulle alture che sovrastano Lamayuru per godermi la vista del Gompa, poi ho assistito alla Puja serale. Come a scuola, i monaci seduti nelle prime file prestano attenzione, quelli più arretrati sembra che pensino ad altro, i novizi invece continuano a colmare le tazze con tè al burro. I monaci hanno iniziato ad intonare ripetutamente gli “Om” ed il Mantra “Om mani padme hum”, ora finalmente sento recitare questi versi e non li vedo solo scolpiti sui mani, cioè sulle pietre, che da giorni incontro in prossimità dei Gompa. Dopo la fine della Puja, i monaci hanno continuato a suonare le lunghe trombe e le conchiglie rituali, infine, stanco ma felice, sono tornato al dormitorio e mi sono infilato nel sacco a pelo.

Dopo la preghiera mattutina delle sei, cui ha anche assistito un cane, che scorrazzava allegramente fra le gambe dei monaci, ho abbandonato Lamayuru, un posto dove tutti hanno sempre avuto un sorriso per me, mi hanno fatto da guida e mi hanno invitato alla loro mensa senza chiedere nulla in cambio. Mi sono incamminato verso la strada principale per trovare un passaggio per Likir. Mentre risalivo per il sentiero, sentivo i rumori della civiltà, i clacson contrastavano con il suono delle campanelle usate stamattina nella Puja. In lontananza si sentiva prima flebile, poi sempre più forte il rantolo degli automezzi provenienti dal passo Fatu La. Con la mente, cercavo di immaginare quale mezzo sbucasse da dietro la curva: pensavo alla possibilità di avere un passaggio. Dapprima ne ho chiesto uno ad una delle  autobotti provenienti da Srinagar che in due giorni arrivano a Leh, questo è l’unico modo per fare arrivare la benzina in Ladakh. Poiché non ho avuto fortuna con l’autostop, ho preso un autobus proveniente da Kargil.

Il tempo è nuvolo e cade qualche goccia di pioggia, le montagne sono tristi, grigie e anonime. Dal finestrino del bus, si vede la strada fino al fondovalle, assomiglia ad una pista di biglie costruita nella sabbia. Ha iniziato a piovere seriamente e un indiano tutto contento mi ha detto: “First time to rainning in Kasmir!”. Non è il massimo, se piove, potrebbero chiudere la strada per Manali ed io devo tornare a Delhi in autobus. Sono arrivato a Saspul con due nuove compagne di viaggio, Eva e Dorian, una tedesca ed una canadese.

Likir

A piedi abbiamo raggiunto Likir e ci siamo accasati alla “Norboo Guest House”, definita così dalla L.P.: “Hospitable and pleasant, whit a large, authentic Ladakhi kitchen!”. La cucina della Guest House è caratteristica, al centro c’è l’antica stufa con le stoviglie che occupano un’intera parete del locale. Gli ospiti sono tutti qua, è rilassante stare seduti con il gatto tigrato, accovacciato fra le gambe conserte che non ti permette di scrivere, mentre fuori piove ed il tempo passa lentamente. Nel pomeriggio ho camminato per le strette stradine del villaggio. Sono in un posto sperduto: attorno c’è solo qualche casa, i campi dorati d’orzo, ruscelli e montagne con una spruzzata di neve fresca. Verso sera il cielo si è aperto ed a poco a poco, grazie ad un vento poderoso, ampi squarci di cielo si sono conquistati a viva forza la loro fetta di blu, il sole ha fatto capolino ed i campi di tsampa risplendevano di un colore giallo carico.

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