La sera siamo andati a vedere uno spettacolo folcloristico: nello spiazzo del paese cera un palco con tante lampadine colorate, gli spettatori erano seduti sotto un tendone che stava in piedi grazie a degli instabili puntelli. Seduto fra il pubblico, attorniato da donne e da uomini ubriachi che tentavano di offrirmi un sorso di Whisky, ho solo intravisto le danze perché ero calpestato in continuazione da una moltitudine dindiani che cercavano di conquistare un posto migliore: lo spettacolo è stato un continuo vedi e non vedi. La vera festa non era qui, ma dove cerano le bancarelle che attiravano gente da tutta la valle, che osservava con occhi rapiti la mercanzia esposta e la zona del Luna Park. Ci sono giostre e giochi, la gente sgrana gli occhi come il Pinocchio del Paese dei Balocchi: cè il gioco delle tre tavolette dove il banco vince sempre e i giocatori sono condannati a perdere, cè una specie di roulette dove gira una ruota che al posto dei numeri, ha i semi delle carte. Gli Indiani puntano sui semi dipinti sul tavolo verde, poi la ruota inizia a girare, cè il gioco dabilità dove ti danno un cerchietto con il quale devi centrare gli oggetti, chi centra il bersaglio vince una scatola di biscotti o qualche rupia. Sotto un tendone cè un cinematografo allaperto e gli spettatori che non possono permettersi il biglietto, tentano di sbirciare, cè unattrazione dove la gente sale a bordo di un galeone che una volta in movimento, oscilla come un pendolo. Dee, Hawkins ed io siamo andati a dormire vestiti, ormai mi sto lasciando andare: non mi rado da giorni e ho deciso che mi farò tagliare la barba a Manali o a Leh, i calzoni sono quelli indossati alla partenza e la camicia è la stessa da Recong Peo. La notte è passata veloce ed alle sette ero in piedi, a colazione abbiamo bevuto tè salato allungato con lo tsampa (farina dorzo) che diluito nel tè, assomiglia ad un omogeneizzato per neonati. Con la pentola a pressione (un utensile comune in tutte le cucine indiane), avevano preparato i thuppa e per ben tre volte ho fatto il bis. Ho portato in tavola il barattolo di Nutella e come nella pubblicità televisiva, oggi è stata una gran festa, poi Hawkins è andato in cucina, ha messo un asciugamano sulla porta e con la scusa della meditazione si è messo a lavare i piatti sporchi. Dopo colazione sono andato in piazza, alla fontana pubblica, cera una lunga fila di persone con secchi e taniche, mi hanno permesso di riempire la mia bottiglia senza fare la coda, mi sono lavato con lacqua gelida. Ki Gompa Con la pancia piena ho iniziato a camminare in direzione del Ki Gompa, mi aspettano quattordici chilometri di strada, per passare dai 3.600 metri di Kaza ai 4.116 metri del monastero: la giornata è limpida con un cielo blu che più blu non si può e con le nuvole bianche che si rincorrono nel cielo, non potrei chiedere di più! Cè un solo autobus il giorno diretto al Ki Gompa che parte da Kaza e prosegue per Kibber, un paese arroccato ai 4.270 metri daltezza. Ho incontrato una capra che belando mi ha seguito per un po, poi dopo tre ore di cammino sono arrivato ai piedi del Gompa e sono entrato in una locanda per bere un chai. Da qui lo vedo irradiato dai raggi del sole, sembra appollaiato come unaquila sul suo nido irraggiungibile e risplende di luce propria, una luce resa più accecante dalle case bianche dei monaci. In compagnia di un monaco, ho preso una scorciatoia e sono arrivato alla meta in debito dossigeno e con la lingua penzoloni: la visita al Gompa è stata divertente, coinvolgente, incredibile ed indefinibile, sicuramente la cosa più bella che mi sia capitata fino a questo momento del viaggio. Sono andato sul tetto del monastero da dove si aveva una vista che spaziava a 360 gradi sulle montagne innevate, sulla valle e sui campi di tsampa. Le spighe continuamente mosse dal vento ricordavano le onde del mare. Alcuni monaci suonavano le lunghe trombe tibetane, altri rappezzavano i cappelli gialli da cerimonia (simili a quelli degli ambasciatori) perché domani verrà in visita un Lama: ho iniziato a familiarizzare con i monaci, è stato un bel momento con una ventina di loro che mi osservavano con curiosità. Ero assetato, mi hanno offerto del chai, un monaco è tornato non con una tazza, ma con una gran teiera. Non facevo nemmeno in tempo a terminare di bere che lui me la riempiva nuovamente: non penso di avere mai amato il tè come oggi. Era un continuo guardare i monaci e un continuo ridere assieme, cerano facce di tutti i tipi, monaci con facce carismatiche e monaci dallaspetto più semplice, li osservavo con curiosità e loro mi guardavano nello stesso modo, nei loro occhi cera una luce particolare ed era come se leggessero nellanima. Mi hanno offerto da mangiare, cerano riso e tsampa, ho scelto lo tsampa, perché così mi sembrava dessere più vicino a loro. E arrivato un enorme piatto di farina dorzo, non avevo molta fame e mi dispiaceva impastarlo tutto (per renderlo più digeribile si aggiunge del chai alla farina). Poiché non volevo sprecare tutto quel ben di Dio, ho fatto un po di spazio al centro del piatto e ho iniziato timidamente ad impastare. I monaci mi dicevano di impastare con più vigore, fino a quando uno di loro mi ha preso il piatto dalle mani. In men che non si dica ha fatto grandi palle, riscuotendo lapprovazione degli altri monaci. Avevo davanti a me un enorme piatto di palle, ho iniziato lentamente a mangiarne una o due, ma erano dure da inghiottire, tutti mincitavano a trangugiare le più grosse e a deglutirle. Un monaco corpulento ha preso una palla, in un sol boccone se lè infilata in bocca, subito si sono alzati grandi mormorii dapprovazione. Il monaco, sicuramente più allenato di me, faceva una certa fatica nel deglutirla. Nel pomeriggio ho preso il bus proveniente da Kaza e sono andato a Kibber, un paese definito come il centro abitato più alto al Mondo. Sono salito sul tetto del bus e per stare più comodo stavo allinterno della ruota di scorta. Allandata ero solo, in compagnia delle montagne e dei picchi innevati sempre più vicini. A Kibber la gente diretta a Kaza per il festival ha preso dassalto il bus, ben presto non cera più posto nemmeno per uno spillo. Negli occhi dei locali cera unallegria contagiosa, il viaggio di ritorno è trascorso fra canti e continui saluti a coloro che lavoravano nei campi: come in un rewind ho visto il percorso fatto stamattina e lho apprezzato ancora di più. Sono tornato alla mia casa, la tipica abitazione tibetana con le finestre squadrate che per forma somiglia ad un cubo. Ero impolverato, cotto dal sole e stanco, ma felice per la giornata appena conclusa. Dopo avere visto le bellissime ed emozionanti foto che Hawkins aveva fatto alla gente dello Spiti, ho preparato lo zaino per la partenza di domani verso Manali. Durante la serata Dee e Hawkins hanno preparato una sorpresa per Sonam, si trattava solo di un piatto di semolino, ma limpegno e lamore col quale lo hanno preparato lo hanno reso speciale. Anchio ho voluto fare una piccola sorpresa: una tavoletta di cioccolato. In questi due giorni trascorsi con la famiglia di Kaza sono stato un ospite gradito, fra noi si è creata unintimità quasi familiare. Dopo cena è arrivato il momento del commiato, domani mi sveglierò presto perché il bus partirà alle quattro di mattina. Mi dispiace abbandonare questa valle, questa famiglia, Dee e Hawkins, ma il mio viaggio deve continuare. La giornata doggi mi ha ripagato della fatica, delle piccole disavventure e del tempo nuvoloso dei giorni passati, che rende anonima questa valle, esaltata dal sole e dai cieli blu. Adesso mi sento carico come una pila al litio, sicuramente non avrò visto tutto quello che riescono a vedere coloro che arrivano fino a qui con le jeep a noleggio, ma lincontro con i monaci del Ki Gompa e il viaggio sul tetto del bus verso Kibber sono emozioni che non si dimenticano facilmente. Mi sono svegliato alle tre di notte per paura di perdere il bus, non avevo quasi chiuso occhio ed ero andato a dormire vestito. Avevo già preparato lo zaino e per risparmiare tempo non avevo usato il sacco a pelo, ma le coperte trovate nella stanza, ad ogni prurito pensavo ai pidocchi od alla scabbia. Armato di torcia elettrica sono partito verso la stazione dei bus, per le strade cè solo qualche cane che abbaia alla luna. A questora Kaza ha un aspetto insolito, non cè il brulicare di gente e il brusio continuo che si protraeva fino a tarda notte, tipico dei giorni di festa. Dopo un quarto dora di cammino, sotto un cielo stellato dalgida lucentezza, sono arrivato alla biglietteria. I tanti bus sembrano dinosauri addormentati, ci sono viaggiatori e persone infagottate nelle coperte che dormono sui gradoni della sala daspetto. Sono salito sul tetto del bus a caricare i bagagli, cè una processione continua di gente che sale e accatasta merci dogni tipo: copertoni dauto, taniche, sacchi con sementi, valigie. E ancora buio e per orientarsi serve la torcia elettrica. Alle quattro e mezza siamo partiti, le montagne sembravano delle sagome di cartone con alle spalle uno sfondo nero, nelloscurità ho riconosciuto le luci del Ki Gompa, poi si è fatto giorno. La valle, vista dal finestrino è molto stretta e regala panorami mozzafiato: la neve, i ghiacciai e i picchi innevati sono vicinissimi. Ci sono molti yak, animali grandi e maestosi simili ai bisonti che si trovano solo a queste altezze: una mandria pascolava tranquillamente davanti al bus, è stata unimpresa farla spostare. Dopo numerosi colpi di clacson, gli yak hanno iniziato a correre come cavalli imbizzarriti nel pieno della giovinezza, disperdendosi ai bordi della strada. Ci siamo fermati al passo Kunzum La (4.551 metri), la vista spazia su tre vette dalle quali scendono ampie colate di ghiaccio, ogni veicolo deve fare un giro, un Parikrama attorno al tempio, per ricevere la benedizione degli Dei. La strada per Manali e una pista, non esiste asfalto ed ogni tanto si passa fra muri di neve alti più di cinque metri. Dopo un pranzo a base di riso e dhal abbiamo raggiunto la vetta del passo Rothang (3.978 metri) avvolta dalle nubi, poi il tempo si è guastato ed è iniziata a cadere una fastidiosa pioggerellina.
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