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Poiché il bus per Nako partirà in ritardo, ho fatto colazione con chai
e biscotti.
Ordinare un chai è semplice, più
difficile è riuscirlo a bere, infatti, è preparato al momento, ci vogliono svariati
minuti sia per la bollitura, sia per riuscire a mandarlo giù perché è bollente, e
siccome si beve in bicchieri minuscoli
ne dovresti sempre ordinarne almeno due. Dopo
colazione ho acquistato il biglietto per Nako: il bigliettaio possiede tanti blocchetti e
ad ognuno corrisponde un prezzo diverso, oggi ne ho avuti ben nove. Il bus è il solito
ordinary, siamo partiti dopo avere sistemati i bagagli sul tetto e dopo le
prove effettuate dellautista, per saggiare la bontà dei freni. La strada corre
parallela allo Sutlej, un fiume sacro che nasce in Tibet dal lago Mansarovar. Alla prima
sosta ho mangiato chapati al burro: si prende la
focaccia ancora calda e le si mette sopra un pezzo di burro salato che con il caldo fonde.
Questa strana crêpe è servita in piatti dalluminio ammaccati e fra il piatto e la
piadina cè limmancabile foglio di giornale. Gli altri avventori invece,
prediligono piatti fumanti di riso al curry. A poco a poco la vegetazione è scomparsa,
siamo alti rispetto alla valle e continuiamo a fare il pelo ed il contropelo
al ciglio della strada, spesso ci si ferma perché è interrotta ed occorre liberare la
carreggiata, gli operai intervengono a mani nude. Altre volte cè un check point per il controllo dei passaporti, così napprofitto per scrivere.
Dopo
cinque ore abbiamo raggiunto unaltitudine di 3.200 metri, il paesaggio con montagne
sassose senza alberi è lunare e ricorda il Tibet, fa caldo e affermeresti che la temperatura si
addice più a regioni Sahariane che a zone montane. Faccio questi ragionamenti
meteorologici davanti ad un gustoso piatto di riso e dhal. Osservo la locanda che ci ospita, gli
occupanti del bus seduti attorno ai tavoli ammassati al centro della stanza, mangiano riso
e dhal serviti in enormi piatti
dalluminio. La locandiera tibetana ed il suo piccolo aiutante, continuano a passare
ed a colmare i piatti che lentamente si svuotano. Dalla cucina è un continuo andirivieni
di riso, messo a mani nude nei piatti, il dhal
invece è versato con un mestolo: questo banchetto sembra addirsi più ad una conviviale
mangiata fra amici che ad un frugale pasto Himalayano.
Poi il bigliettaio ha
suonato il fischietto, questo è stato il segnale della partenza, appena ho messo piede
sul bus il bigliettaio mi ha detto: Nako it's here!, mi sono guardato attorno,
ma a 360 gradi vedevo solo aspre montagne. Eravamo a Yangthang, Nako invece, era ad oltre
sette chilometri di distanza e dovevo coprire 650 metri di dislivello per arrivare alla
meta. Tutti mi avevano assicurato che la frana si trovava a Nako, invece la strada era
bloccata in direzione opposta appena a tre chilometri da qui, ma questo lavrei
scoperto lindomani. Con gli zaini in spalla ho iniziato ad aggredire, prima con
foga, poi con minore slancio, la salita verso Nako con ventotto chili sulla schiena.
Era
da poco passato mezzogiorno e continuavo a bagnare il cappello per mantenere al fresco la
testa, laltitudine iniziava a farsi sentire, ero oltre 3.200 metri
daltitudine. Un uomo mi ha superato, portandomi lo zaino più piccolo per qualche
centinaio di metri, ho avuto il tempo di salutarlo con un namaste ed è scomparso. Più avanti ho
incontrato solo un camionista al quale ho gridato Nako, lui mi ha fatto un
cenno di sì con il capo ma ha accelerato, poi più nessuno. La strada continuava a
salire, gli zaini erano pesanti come zavorre di piombo e laria si faceva
sempre più rarefatta. Ho iniziato ad aumentare le soste e dovevo fermarmi a respirare
ogni venti o trenta metri, sono riuscito ad arrivare alla meta in meno di due ore.
Nako
Appena
arrivato a Nako, ho bevuto lacqua fresca e gelata che proveniva da una delle tante
sorgenti sotterranee, dopo numerose docce alla testa accaldata ho trovato
lunica Guest House esistente, arroccata nel punto più alto del paese. Non
cerano stanze perché il posto era in ristrutturazione, però sono riuscito ad
ottenere un charpoy nel corridoio. Per lavarsi
non cera che limbarazzo della scelta, andavano bene uno degli innumerevoli
ruscelli che scorrevano nelle vicinanze. Nako è un villaggio tibetano proprio come te lo
aspetti: ci sono le montagne brulle che sanno tanto di Tibet (il confine è vicinissimo,
la Cina è davanti a me), ci sono i campi dorzo, resi ancora più dorati dalla
accecante luce del sole, le case con le finestre quadrate e i templi con le bandiere di
preghiera agitate dal vento. Anche qui sembra di essere in unaltra
dimensione, sia per i luoghi che per la pace e la tranquillità del posto. Ho
conosciuto una coppia dIsraeliani che mi ha dato utili informazioni: ho saputo che
la strada è interrotta sotto Yangthang ed occorre prendere un sentiero. Bisogna prima
scendere per la valle del fiume Sutlej e poi risalirla, si arriva a dodici chilometri da
Chango, che dista ventidue chilometri da Tabo, la mia prima meta nello Spiti. Ho cenato
nella cucina della Guest House, seduto a gambe conserte attorno alla stufa: la
cena consisteva in chapati e zuppa di patate e
piselli. Dopo avere osservato una bella stellata mi sono coricato a scrivere, le pile
della torcia elettrica si sono scaricate e mi sono messo a dormire.
Oggi è Ferragosto.
Spero che sia un Ferragosto memorabile, coronato con larrivo al
millenario monastero di Tabo. Sembra impensabile che in Italia sia Ferragosto: rito
vacanziero per eccellenza, venerato da chi rimane in città con
limmancabile gita fuori porta e il pantagruelico pranzo modello
natalizio, rito che deve essere santificato a tutti i costi. Qui
cè poco da santificare, sempre in movimento, su e giù fra
autobus giocattolo e passeggiate oltre i 3.000 metri, però si ha
loccasione di vivere esperienze impareggiabili. La sveglia è stata resa piacevole
da una fumante tazza di chai, poi sono salito
sul bus per Yangthang, che mi porterà esattamente dove ero arrivato ieri con
lautobus. Prima di partire, il driver continuava a fare delle sgasate
terribili, la cabina di guida si è riempita di fumo e siamo stati costretti a scendere.
Mentre il guidatore faceva queste prove daccelerazione, di frenata e retromarcia,
guardavo con timore lo strapiombo alto più di trecento metri, che terminava nello Sutlej.
Arrivato a Yangthang non cera nessuno che doveva raggiungere Chango o Tabo, ho
cercato di avere qualche informazione per capire
dove andare. Tutti quelli che incontravo mi dicevano di passare per il villaggio di
Mailing e di scendere a valle da li, ma ricordavo che gli Israeliani lo avevano
sconsigliato per via delle continue frane. Ero preoccupato perché nessuno mi diceva di
prendere la National Road fino a dove la strada era interrotta, comunque ho
deciso di andare di lì. Nel frattempo le montagne iniziavano a colorarsi di rosa e il
sole faceva capolino dietro i picchi innevati. Sono arrivato alla frana, dove iniziava il
sentiero, ero solo come un cane, ho deciso di abbandonare la strada e scendere
a valle. Allinizio è stato facile perché il cammino era ben segnato, poi ho perso
le tracce e sono finito a fianco del canalone da dove provenivano rumori sinistri e più
in alto, in una nube di polvere, continuavano a susseguirsi le frane. Ero sconfortato,
avevo perso la pista, non cera anima viva, così mi sono deciso a tornare indietro.
La salita è stata faticosa, gli zaini erano troppo pesanti, il sole iniziava a riscaldare
le rocce ed ero grondante di sudore. Ho scelto la via più breve, che passava per una
pietraia, formata da massi enormi.
Dopo molti sforzi sono arrivato ad un Check
Post dellesercito Indiano. Il capoposto, un sergente che parlava un inglese
Oxfordiano mi ha offerto una cup of tea, mi ha detto: Sit
down, please e mentre gli esponevo il problema è giunto un attendente con tè e
biscotti. Da quel momento la sorte mi è stata amica, il militare mi ha trovato una guida di nome Lobyang. Allinizio costui
correva ed io riuscivo a stargli dietro a malapena (indossava semplici ciabatte con
linfradito), per il primo tratto la strada era quella percorsa meno di unora
fa, poi abbiamo abbandonato il sentiero e siamo scesi per una pietraia, una pista senza
tracce che da solo non avrei mai trovato. Con Lobyang, soprannominato Norgay
Tenzing (il famoso sherpa che con Hilary aveva scalato lEverest), abbiamo
affrontato un dislivello di trecento metri e siamo scesi fino al fiume, poi dopo aver
guadato un paio di torrenti (nei quali sono finito dentro) è iniziata la risalita. Ogni
tanto Lobyang si fermava e diceva che aveva bisogno dossigeno, penso che lo facesse
per pietà nei miei confronti, infatti, quando ci fermavamo, si accendeva un bel bidi. Quando è terminata la traversata, è
iniziata lattesa di un qualche cosa che mi permettesse di raggiungere
Tabo.
Mi sono trovato di fronte ad un capolinea fantasma che sfociava nel
nulla, non cera niente, a parte una ruspa immobile e silenziosa. A mezzogiorno è
arrivato un bus, da lontano vedevo dei piccoli puntini che si muovevano e che a poco a
poco si ingrandivano, erano le persone che stavano percorrendo il sentiero fatto nella
mattinata. Nel pomeriggio, quando ormai non cerano più sedili liberi,
lautobus è partito verso Tabo. Le donne della Sangla Valley, una valle
vicina, hanno distribuito generi di conforto: spicchi di mele, fette di cetrioli e chicchi
di pannocchia abbrustoliti. Dopo la fermata di Chango per il controllo del passaporto e
dellInner Line Permit, cè stato un nuovo controllo a Sumdo, al
confine fra il Kinnaur e lo Spiti. La valle ha iniziato a stringersi ed il
guidatore, forse per non annoiarci, continuava ad esibirsi in manovre
emozionanti, ritardando ancora una volta, l’appuntamento con il fondovalle,
che anche per oggi, sembrerebbe evitato. Ha iniziato ad annuvolarsi ed è scesa qualche goccia di
pioggia, a questo proposito la L.P. diceva: “Between June and
October, the days are sunny and the evenings are cold”.
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