Alla mattina mi sono incamminato verso il centro per trascorrere l’ultima giornata a Taipei, ho fatto colazione con tè e hamburger, volevo mangiare “dim sum” che avevo visto ieri in un ristorante della zona, ma non sono riuscito a ritrovare il posto. Ho assaggiato due dolci caldi di pasta sfoglia ripieni di creme ai sapori orientali, uno aveva il colore dei fiori di loto e l’altro era verde pallido, li ho trovati squisiti, forse per il gusto un po’ occidentale. I dolci riscuotono un gran successo e sono venduti in pasticcerie e sale da tè alla moda, per il bell’arredamento, gli specchi e le tante luci, assomigliano a gioiellerie.

Con il “MRT” sono andato al “Tempio di Confucio”, costruito tra il 1927 ed il 1955 grazie alle generose donazioni di due facoltosi uomini del luogo (i templi antichi a Taiwan sono pochissimi), nei giardini c’era un “backstage”, una seduta di fotografia con modelle riprese da un gruppo di foto amatori, ne ho approfittato per fare qualche scatto. Dall’altro lato della strada c’è il “Tempio Paoan”, il più antico della città, costruito nel 1765, con stucchi dorati e immagini di divinità finemente lavorate. I templi erano belli, ma era più coinvolgente la visione degli aerei di linea che volavano bassi sopra la testa.

A piedi ho raggiunto il Museo d’Arte Moderna, nella sala d’ingresso c’erano numerosi computer connessi con Internet e una meravigliosa aria condizionata, dopo una sosta che mi ha rigenerato ho deciso di visitarlo: le mostre sono a rotazione e si susseguono ogni due o tre mesi, a meno di non visitare il sito www.tfam.gov.tw/ non si sa mai cosa si vedrà. Molte sale sono dotate di video ad alta definizione e di computer, con il mouse è possibile fare una “visita virtuale” delle tante esposizioni. Ti colpisce la quantità di luce che entra dalle finestre che sembra ingigantire e aumentare la dimensione dei locali. Da qui si ha anche una vista mozzafiato sulla “skyline” della città, l’unico neo è anche qui trillano i telefoni cellulari. Le retrospettive più curiose erano quelle di Cheng I – Hsin che aveva creato in una sala buia, un labirinto a forma di spirale, con tantissime candele accese e tremolanti e un altro con giornali arrotolati; Li Sunatta invece si distingueva per la pittura su abiti come T – shorts, calzoni e biancheria intima. Fra le mostre internazionali ce n’era una sul design europeo promossa dal Ministero della Cultura Francese con creazioni di architetti italiani, era anche esposta parte della collezione di articoli da cucina disegnati da Alessandro Mendini e da Enzo Mari, distribuita in Italia dalla ditta Alessi.

Un museo da non perdere è il Museo Nazionale di Taipei che raccoglie la più vasta collezione al mondo d’arte cinese che nemmeno la Madrepatria possiede: 720.000 pezzi che abbracciano 5.000 anni di storia. Nel museo ci sono spazi per esporre solo 15.000 pezzi, così ogni tre mesi vengono cambiati e in un anno se ne vedono “solo” 60.000, la rotazione dell’intera collezione avviene in dodici anni! Durante la dinastia Song (960 – 1279) l’imperatore Dai Cong iniziò a collezionare dipinti, calligrafie antiche, libri rari, sculture e ceramiche, la collezione crebbe ulteriormente sotto la dinastia Quing (1644 – 1911).

Queste opere d’arte erano conservate nella “Città Proibita” di Pechino e potevano essere ammirate solo dall’imperatore e da una ristretta cerchia di dignitari. Nel 1924 il governo nazionalista provvisorio lasciò due ore di tempo all’ultimo imperatore Manciù Pu Yi e alla sua corte per lasciare la Città Proibita. In seguito, il palazzo fu trasformato in museo. Dopo l’occupazione giapponese della Manciuria del 1931 la collezione fu imballata in ventimila casse e trasferita prima a Nanchino e poi a Shanghai. Nei sedici anni successivi fu spostata in diverse città della Cina per sfuggire prima ai giapponesi, poi ai comunisti. Nel 1947 Chiang Kaishek (alla vigilia dell’avvento dei Comunisti e di Mao Tse-Tung) riuscì a recuperare parte della collezione e la fece mettere al sicuro a Taiwan nelle grotte di Wufeng, dal 1965 è esposta al Museo Nazionale. Dopo la scissione tra la Cina Nazionalista e la Cina Popolare la collezione è rimasta sull’isola, la Madrepatria reclama il ritorno in Patria dei suoi tesori, Taiwan si rifiuta, si ricordando lo scempio perpetrato dalle Guardie Rosse alle opere d’arte nel corso la “Rivoluzione Culturale” degli anni sessanta.

Uscito del Museo d’Arte Moderna ho costeggiato il fiume Keelung e sono passato davanti al Grand Hotel, un simbolo della città che ha le fattezze di un antico palazzo. Definirlo immenso è riduttivo, non ci sono aggettivi appropriati per descriverlo: un hotel a forma di pagoda di queste dimensioni non l’avevo mai visto. Poco distante c’è il mausoleo dei “Martiri della Rivoluzione”, costruito per ricordare coloro che morirono per l’indipendenza della Repubblica Nazionalista Cinese. Si trova all’interno di un bel parco immerso nel verde, anche qui sono tanti i padiglioni con le colonne di un rosso scintillante e i tetti a pagoda di colore arancione, è un posto che vive nel ricordo ma sembra un inno alla vita. La brillantezza dei colori, unita al verde delle piante e al blu del cielo, ti ubriaca gli occhi. Ho assistito alla lunga e complessa cerimonia del cambio della guardia (venti minuti di spettacolo). I soldati fanno roteare i fucili con la baionetta innestata e li lanciano in aria, fanno mirabolanti evoluzioni come quelle degli sbandieratori del “Palio di Siena” o dei pizzaioli che lanciano la pizza all’insù prima di metterla in forno: non assomigliano per niente ai paladini, custodi di un luogo, votato alla memoria dei Padri della Patria.

In autobus ho raggiunto la stazione dei treni, c’era un traffico da “grande esodo” e per lunghi tratti non si andava avanti, poi ho preso il “MRT” e sono sceso a Hsimen, un’area pedonale ricca di negozi di scarpe e d’abbigliamento, d’oggettistica per teenager, fast food e centri commerciali come il Sogo, il Mitsukoshi e il Towers Records. E’ sabato pomeriggio e per le strade ci sono migliaia di persone, camminare è difficoltoso, questa marea umana provoca le vertigini e sembra di uscire da uno stadio da ottantamila persone: è un flusso continuo che non s’interrompe mai. Ho comprato wonton fritti che ho divorato nell’umidità di Taipei, molte persone fanno come me e bisogna aspettare svariati minuti pazientemente in fila per mettere qualche cosa sotto i denti o per bere un tè ghiacciato. Per le strade non ci sono cestini per i rifiuti e nonostante l’affluenza, le strade sono pulite.

Ho visto fino a venti persone in fila per ogni “bancomat” disponibile, file da dieci minuti per acquistare il biglietto per il “MRT”, file incessanti e imbottigliamenti sulle scale mobili e nei sotto passi, vigili che dirigevano il flusso pedonale per salire sui vagoni della metropolitana: quest’ultimo giorno a Taipei mi ha sfiancato, ero stanco per l’umidità e per avere camminato ininterrottamente da stamattina. Ho visto molti negozi dedicati a un pupazzo (amato in tutta l’Asia) creato dalla società Giapponese Sanrio che si chiama “Hello Kitty”, è una gatta paffuta con enormi baffi, esistono migliaia di gadget con la sue effigie e ci sono negozi specializzati per i fans. I prodotti sono per tutte le età: da grembiuli o cartelle per la scuola fino a gadget per il giorno del matrimonio, in Giappone le hanno addirittura dedicato un parco chiamato Puroland. Sono tornato in ostello a fare una doccia e ho preso il bus per il Chiang Kaishek Airport, la fermata è davanti alla stazione dei treni e ci sono arrivato in un’ora. Gli edifici del terminal sono in vetro, acciaio e cemento e ricordano pagode futuristiche: mi hanno colpito l’assenza dei passeggeri e gli spazi vastissimi senza persone, tutto sembrava irreale dopo il bagno di folla odierno.

Sto per dire addio a Taiwan, sono rilassato e beneficio di “un’onda lunga” di benessere e positività per i giorni passati e per il tempo che ho ancora davanti a me, sono consapevole di avere ancora due settimane di vacanza per sentirmi bene. Per me “sentirsi bene” significa evitare la quotidianità: l’Italia, la famiglia e il lavoro. Mi sento me' stesso e realizzato solo quando viaggio, quando incontro gente nuova e sono in posti nuovi, quando mi perdo nell’organizzazione degli itinerari e riesco ancora a sognare davanti ad una carta geografica.

Mentre facevo queste riflessioni sono arrivato nel Siam: era notte fonda e non avevo voglia di raggiungere il centro di Bangkok. Ho steso a terra il sacco a pelo e ho tentato di dormire, ma grazie all’aria condizionata che tanto amo, al rumore delle rotelle dei carrelli e alle zanzare che mordevano nonostante il clima siberiano, ho passato il resto della notte in un continuo dormiveglia.

 

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