In un angolo vendono incenso e banconote di carta: l’incenso è acceso in enormi bracieri situati davanti alla porta principale del tempio, la cartamoneta è bruciata in una fornace. Le banconote sono gettate nel fuoco a piccoli mazzi: bruciare soldi falsi è un gesto propiziatorio e si afferma che porti bene. Sono stato alle torri Chihkan, in origine facevano parte del “Forte Providentia” fatto costruire dagli olandesi nel 1653, oggi rimangono solo due torri in stile cinese, c’è poco da vedere e la cosa più interessante sono le carpe multicolori che popolano lo stagno. Ho poi visitato il tempio di Matsu, una costruzione grande e colorata dedicato alla “Dea del mare” protettrice dei pescatori, accanto alla sua immagine ci sono le statue di due guardiani, la tradizione assicura che i loro occhi “vedano” i pericoli a migliaia di miglia di distanza e le loro orecchie “sentano” la direzione dei venti. In una cappella si venera una statua cui uomini e donne si rivolgono per cercare l’anima gemella. Vicino al tempio c’era una festicciola organizzata da alcune studentesse in occasione del compleanno di una compagna, sono stato invitato ad unirmi e ho aderito con entusiasmo. Mi hanno messo in mano un bicchiere di tè ghiacciato, ho mangiato carne alla griglia e una fetta di torta, ogni tanto è bello sentirsi coccolati. Tra le tante domande mi hanno chiesto di tradurre in italiano “I love you” e “bye bye”, al momento del commiato mi hanno pure preparato un sandwich per il pomeriggio!

In un altro tempio c’era una funzione religiosa, un monaco con una tonaca colore zafferano dirigeva la funzione, accanto a lui alcune monache vestite di nero salmodiavano e suonavano piccoli strumenti: campanelle, piatti e tamburelli, provocando una cacofonia infernale. Il tempio, ricavato tra le case di un vicolo è minuscolo, di fronte a questo baccano la vita scorre indisturbata, c’è chi ride davanti alla TV, chi mangia, chi cuce, chi chiacchiera e chi dorme. Saranno indifferenti al rumore, grazie alla forza dell’abitudine? Ci sono colorate composizioni floreali create con gigli e crisantemi (ho anche bevuto una spremuta ai fiori di crisantemo) e corone di fiori, come quelle che da noi si utilizzano per i funerali, qui però hanno un significato bene augurante. In un angolo ci sono riproduzioni di tartarughe fatte con il riso e adornate di salsicce, sono belle e buffe, creazioni con dolci e frutta a forma di piramide, altre a base di spaghetti di riso e c’è un cesto colmo di panini, ogni tanto qualcuno ne prende uno. Di fronte a riti e simboli totalmente estranei alla nostra cultura rimango perplesso e mi dispiace capirci poco o nulla.

Nel pomeriggio ho camminato per le vie di Taitung e ho mandato e-mail agli amici, poi ho raggiunto il mercato notturno di “Hsiaopei Road” dove vendevano un’infinità di prodotti. Vendevano abiti, CD e soprattutto cibo, sui banchi le pietanze erano cotte al momento o sistemate su un banco caldo: c’erano tofu fritto e in brodo, spiedini di carne e di pesce dalle forme strane e geometriche, salsicce, interiora, sushi, ali di pollo artisticamente modellate che riconoscevi dopo un’attenta osservazione. Le bancarelle più originali erano quelle che cucinavano omelette con molluschi e verdure e un piatto unico con spaghetti di riso e bistecche alla griglia, questo era il piatto che aveva maggiore successo, ricordava una “Wiener Schnitzel” austriaca. Da bere c’erano tè e dissetanti succhi di frutta. Mi divertivo ad osservare la gente che mangiava e le ragazze: alcune erano carine, molte si ossigenavano o si tingevano i capelli con una tonalità di rosso sfumato o ramato (operazione fatta anche dai ragazzi che preferivano il colore biondo o sfoggiare il codino). Molte avevano seni troppo sviluppati rispetto ai loro corpi minuti: saranno i miracoli della chirurgia estetica o l’utilizzo dei reggiseni “wonder-bra”? Le ragazze a passeggio per le strade e le commesse dei negozi amano indossare minigonne e abiti occidentali, molte sono truccatissime, vestono in modo provocante e portano scarpe leggere o da ginnastica con calze bianche corte, un obbrobrio. A Taiwan il modello estetico per acconciature ed abbigliamento è quello delle coetanee giapponesi.

Ho mangiato tofu fritto nell’olio bollente accompagnato da foglie di cavolo in salamoia e salse piccanti, servito su uno strano piatto quadrato in stile giapponese, tutto era scenico da vedere ma per nulla appetitoso, così, sia per quest’assaggio, sia per il miscuglio di odori che arrivava dalle bancarelle ho perso l’appetito. Altri spazi erano adibiti al gioco del domino e del majong, fra i venditori d’abiti ho osservato che le taglie erano piccole per i nostri standard. Una bancarella vendeva gechi, dei rettili un po’ più grandi delle lucertole, che stanno immobili per ore sui muri delle abitazioni e si dice che la loro presenza porti fortuna. Quelli che ho visto non erano stati fortunati, ormai passati a migliore vita, essiccati e infilati su spiedi in modo da restare piatti. Sono mangiati nelle zuppe, messi a macerare nel vino e polverizzati per ricavare medicinali. Dopo due ore sono tornato all’ostello e ho dovuto cambiare camera. Stasera non ero più solo, nella nuova stanza c’erano un Cinese d’oltremare, un “overseas” che aveva vissuto per venti anni in Argentina e un uomo di Shanghai di nome Wuang: il primo era un ottuagenario che nonostante la millantata permanenza nel paese della Pampa non parlava una parola di spagnolo ed era la fotocopia del maggiordomo del gioco “Tomb Rider” con Lara Croft, il secondo passava tutto il tempo a fumare in camera (sigh!) e a parlare d’affari al cellulare (non ho approfondito che tipo d’affari trattasse e visto il losco aspetto che aveva, la discrezione era obbligatoria). La stanza era disseminata da calzini, mutande, magliette, i due uomini tenevano la canottiera bianca alzata sopra l’ombelico e ciabattavano proprio come nella Madrepatria. Il più anziano ha passato la notte a scoreggiare ed a battere la testa contro l’asse del letto, alle cinque di mattina i suoi segnali d’irrequietezza sono aumentati, ha acceso la TV e ha iniziato a scatarrare, a vagare per la camera ed ad entrare ed ad uscire dal bagno facendo continuamente scorrere l’acqua corrente. Poi verso l’alba ci ha abbandonato, in direzione di Taichung, così ha detto Wuang.

Dopo questo “fuoriprogramma notturno” ho preso un taxi e mi sono fatto portare alla stazione dei treni, ho comprato un biglietto per Kaohsiung e da lì cercherò un bus per Kenting. Ho abbandonato l’idea di giungere a Taitung attraverso la “South Cross Island Highway” perché la strada è interrotta a causa degli smottamenti. In mezz’ora sono arrivato a Kaohsiung, la seconda città dell’isola che vanta un milione e mezzo d’abitanti e sembra una Tainan dieci volte più grande, è un enorme polo industriale, sede della “China Steel Corporation” e della “China Shipbuilding”, è il secondo porto al mondo per la dimensione delle banchine ed è il quarto per il suo molo container.

Il bus per Kenting ci sarà nel pomeriggio, così ho iniziato a camminare per Chungshan 1 Road, la città sembra una “gosth town”, oggi è un giorno lavorativo e non c’è in giro anima viva. E’ umido ed il cielo è sgombro di nuvole, la vastità di questa città ti stordisce e allora è meglio fuggire verso il mare. Ho mangiato in un ristorantino: riso, pollo al ginger e verdure color giada. Il paesaggio dal bus è un ammasso di case basse brutte da vedere e fabbriche dai mille comignoli, ogni tanto al cemento si sostituisce una vegetazione tropicale con belle palme. A poco a poco il sole è scomparso e le nuvole basse si sono trasformate in un prorompente temporale, le scie d’acqua delle auto ricordano quelle dei bolidi di “Formula Uno” nelle giornate di pioggia. A Taiwan il tempo è molto variabile e in pochi minuti si può passare da un cielo blu ad un cielo nero carico di pioggia. Un proverbio popolare dice: “Il tempo di Taiwan è come l’umore di una donna”. E’ variabilissimo come il paesaggio: semi tropicale al nord ed in montagna e tropicale al sud ed in pianura. Ci sono solo due stagioni, quella calda da maggio ad ottobre e la fredda da novembre a marzo, l’umidità non scende mai sotto l’80%, ma come adesso, può capitare che sole e pioggia si alternino, senza preavviso.

Kenting

In tre ore sono arrivato a Hengchun, ho cambiato bus e sono arrivato a Kenting, il tempo è terribile e sono scoraggiato. Il posto merita d’essere visto per le bellezze naturali: il Parco Nazionale, le tante baie, Oluampi (il punto più a sud dell’isola), il lago Lungluan, le cascate Chikung e le sorgenti termali di Szechunghsi. Appena sceso dal bus mi hanno avvicinato un sacco di persone per propormi un “taofang”, una camera che i locali affittano ai turisti. Sono andato al “Catholic Kenting Student Activity Center”, un ostello lindo e pulito, la stanza aveva due letti a castello ed ero in compagnia di Chen Li Hao, un ragazzo di Hualien. Questo continuo utilizzo degli ostelli mi faceva venire in mente le vacanze da liceale passate in Grecia e le notti trascorse nei dormitori delle università cinesi. Kenting è una cittadina sviluppata ai bordi della strada costiera e si sviluppa per una lunghezza di nemmeno un chilometro, tutto ruota qui attorno: da una parte c’è l’oceano, dall’altra le colline. A Kenting c’è ancora un qualche cosa di grezzo e di genuino che ti sorprende, tanti sono anche i resort e gli hotel “cinque stelle” integrati nell’ambiente naturale e gli alberghetti a misura d’uomo.

Ci sono locali dai nomi buffi come Linda’s Cafè, Amy’s Cucina, Chingshan Papaya Milk, Warung Didi, Gegko e Dolce Vita Pizza che offrono brunch, buffet, breakfast, cucina Italiana, Cinese e Indonesiana. Tanti sono anche i pub e le discoteche, i MTV (locali “Musica & TV” dove si noleggiano film da vedere in apposite sale), i KTV (locali karaoke), i minimaket “7 Eleven”, i negozietti che vendono abbigliamento in stile polinesiano e collane e braccialetti tribali. Ha smesso di piovere e ho camminato fino al “Howard Resort Hotel”, all’interno ci sono un immenso fast food tipo “McDonald’s” dove è servito esclusivamente cibo cinese, per scegliere, ci sono modelli in gesso dei piatti serviti che sembrano veri. C’è anche un parco acquatico indoor chiamato “Fantasy Word” con molte piscine: c’è quella con le onde per praticare il surf, ci sono grandi vasche per idromassaggi, canali da percorrere a bordo di buffi salvagenti, cascate d’acqua e ruscelli. Il mare, quello vero, si trova a meno di duecento metri di distanza: il posto sembra un angolo di Giappone e penso che i taiwanesi si vogliano uniformare ai gusti di quegli abitanti.

Molti ristorantini propongono prodotti ittici: pesci, aragoste e granchi nuotano intontiti in grosse vasche trasparenti, ho comprato da una bancarella chele di granchio difficili da aprire, poi sono finito in un “KFC”, una tavola calda appartenente ad una catena di “fast food” che offre panini e hamburger di pollo. Ho assaggiato delle sottilissime alghe seccate, dalla consistenza di un foglio di carta, ho provato una grappa di riso ed uno strano liquore (sul fondo della cui bottiglia sedimentavano api morte), entrambe le bevande avevano un sapore incomunicabile per i fogli del mio diario.

Kenting è presa d’assalto nei fine settimana, quando i turisti arrivano dalle principali città dell’isola, stasera c’è poca gente ed è un peccato che non sia sabato o domenica perché un posto così deve esser visto in altro modo. Dopo avere fatto “su e giù” per l’unica strada, sono andato a dormire. Di buon mattino ero “ready to go”, grazie ai movimenti maldestri di Chen Li Hao che stanotte aveva acceso il condizionatore, rendendo la stanza simile ad una cella frigorifera. E’ una giornata grigia e umida, ho cercato di noleggiare uno scooter senza successo, c’erano solo moto per le quali occorreva la licenza di guida internazionale, tutti erano molto fiscali e a malincuore ho dovuto desistere. Avevo pensato di inforcare una bicicletta, ma il tempo atmosferico era troppo instabile, il taxi mi sarebbe costato una fortuna e così utilizzerò il bus di linea. Ho fatto colazione con wonton fritti e tè freddo, poi ha iniziato a diluviare ed il mio viso non riusciva a mascherare la delusione per le avverse condizioni atmosferiche.

Mi sono fatto coraggio e sotto una tempesta d’acqua ho preso il bus per Oluampi, il punto più a sud dell’isola chiamato anche “la coda di Taiwan”. La costa è frastagliata con scogliere e colline piatte, sono entrato ai giardini d’Eulanubi, notevoli per la vegetazione tropicale, c’erano mangrovie e piante dai nomi complicati come l’algaia formosana, la macaranga taxarius, la pouteria obovata e la guettarda speliosa. E’ un posto stupendo, ma reso malinconico dalla tanta pioggia e dalle nuvole basse, il mare invece ha un bel colore turchese scuro. Percorrendo i tunnel ricavati tra la vegetazione tropicale, sono andato al faro chiamato enfaticamente “Luce del Sud Est Asiatico” che si dice essere il più luminoso di tutta l’Asia, è una costruzione bianca alta 21.4 metri collocata all’interno di un fortino e da lontano ricorda una moschea araba. Mentre aspettavo il bus per Hengchuen ho dato un’occhiata alle bancarelle: vendevano quarzi colorati, conchiglie e calamari disidratati. Continua a piovere e penso alla mia “fortuna” per non avere noleggiato lo scooter. Hengchuen ha ancora integre le quattro porte della città, costruite nel 1879 sotto la dinastia Ching.

 

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