Ho fatto questo viaggio fra l’agosto ed il settembre del 2001: partendo da Taipei sono arrivato a Tainan, l’antica capitale rinomata per i suoi templi, sono stato a Kenting, il punto più a sud dell’isola, a Taichung e al tempio Chaotien di Peikang, dove ho assistito alle celebrazioni in occasione della “Festa dei Fantasmi”. Attraverso la “Central Cross Island Highway” ho raggiunto le gole di Taroko e da Hualien sono tornato a Taipei.

I quindici giorni di permanenza sono volati, con “il senno di poi” sarei rimasto una settimana in più per visitare la costa ovest, più scenica rispetto a quella est, con pochi centri abitati, tanto verde e coste frastagliate, l’altra invece, è una “città continua”: Taichung, Tainan, Kaohsiung. Taiwan mi è piaciuta per l’ospitalità e la disponibilità della gente che come in tutta l’Asia ti regala sempre un sorriso. Penso che questo Paese possa non piacere a tutti, lo consiglierei ai “malati d’Asia”, a persone che magari abbiano già visitato un po’ di Sud Est Asiatico.

Di fronte alla domanda “perché mai si dovrebbe venire a Taiwan” non è facile rispondere: dal punto di vista naturalistico ci sono numerosi parchi nazionali, sorgenti d’acqua calda e montagne, quelle che superano i tremila metri sono addirittura una settantina. I templi più antichi risalgono al 1700 ma si contano sul palmo della mano. Non ci sono luoghi d’arte degni di nota, a parte il Museo Nazionale di Taipei che raccoglie la più vasta collezione d’arte cinese al mondo, che nemmeno la Madrepatria possiede: 720.000 pezzi che abbracciano cinquemila anni di storia. Il Paese è relativamente giovane, la Repubblica Nazionalista Cinese è stata fondata nel 1949, i primi stranieri ad arrivare nel 1624, furono gli olandesi che rimasero fino al 1661, dal 1684 al 1887 l’isola fece parte della provincia del Fujian sotto la dinastia Manciù, infine i giapponesi la occuparono dal 1895 al 1945. Esistono ancora tribù native dell’isola ma hanno conservato le tradizioni soprattutto ad uso e consumo del turismo. La Taiwan moderna resta un bastione dei valori della tradizione cinese, nella sua cultura e nello stile di vita dei suoi abitanti tutte le popolazioni e le religioni della Madrepatria sono rappresentate. Nonostante le divisioni politiche, non sono state intaccate né le abitudini né i costumi: le tradizioni classiche cinesi sono diventate il simbolo dei nazionalisti.

Sono venuto a Taiwan perché volevo visitare “l’altra Cina”, ero curioso di vedere le differenze tra la Repubblica Nazionalista Cinese e la Cina Popolare. Con la Madrepatria ci sono poche affinità, sono evidenti le similitudini con le religioni Tao e Buddista e con il cibo (in Cina c’è più scelta ma fondamentalmente si mangiano piatti con gusti e sapori simili), uguale è l’uso della particolare mimica delle mani per contare (utilizzata soprattutto nei mercati), il ciabattare o l’indossare la canottiera alzata sopra l’ombelico e il restituire il biglietto quando si scende dal treno o dal bus. Anche le differenze sono tante, innanzi tutto a Taiwan non siamo nel 2001 ma nel 90: l’anno zero è il 1911, l’anno in cui il Dr. Sun Yatsen ha fondato la R.O.C. (Republic of China), che si distingue dal P.R.C. (Pepole’s Republic of China) ossia la Madrepatria. In Cina tutti utilizzano le biciclette, qui sostituite da una marea di scooter; in Cina tutti bevono tè bollente e le persone vanno in giro per strada con vasi trasparenti (tipo quelli per le confetture) con dentro foglie di tè e acqua bollente, qui si beve tè ghiacciato e si utilizzano bicchieri di plastica, in Cina tentano di applicare il doppio prezzo (uno per i turisti e i Cinesi d’oltremare e uno per i locali), qui per tutti il prezzo è sempre lo stesso, talvolta in Cina alle biglietterie o alle reception degli alberghi le persone erano scontrose o scortesi, qui tutti sono gentili e disponibili. Dall’ultima volta che sono stato nella Madrepatria sono passati sei anni e anche lì molte cose saranno cambiate, la Cina si sta aprendo sempre più all’occidente, nel 2008 ospiterà le Olimpiadi e vorrà dare al Mondo una nuova immagine. Forse le differenze principali stanno nella diversa concezione che i due Paesi hanno sulla Democrazia, sui diritti civili e politici, sulle libertà individuali e sulla pena di morte: queste sono solo brevi riflessioni e non voglio andare oltre, il mio è un diario di viaggio.

Mi hanno affascinato le città, a Taiwan non ci si stufa mai: in ogni via, ad ogni angolo di strada, davanti ad ogni negozio è sempre bello curiosare, osservare (magari senza capire) cosa succede e annusare l’aria per carpirne gli odori. In Italia per svagarsi accendiamo la televisione, qui basta camminare per strada ed osservare. Mi sono piaciute le luci delle città e le insegne dei negozi che rendono le notti sfavillanti e fanno venire in mente Hong Kong e Las Vegas, i “supermarket tecnologici” colmi di lettori DVD, di schermi ultra piatti e webcam, dove vorresti comprare tutto e non compri nulla, i tanti “Department Store” con le commesse del reparto cosmetici, bellissime e truccatissime che indossano orribili calze corte. L’aspetto culinario è un viaggio nel viaggio stesso, talvolta però non si capisce cosa si sta mangiando. La scelta è vastissima: riso, dim sum, noodles, wonton, verdure colorate, alghe, tofu, sushi, dolci delicati e frutta candita ricoperta da polvere di ghiaccio.

Viaggiare e spostarsi è semplice, se ci si limita al periplo dell’isola il treno è il mezzo migliore: rapido, veloce, sempre in orario e dotato di una deliziosa aria condizionata. I bus invece sono meno frequenti, qualche difficoltà si può avere nel raggiungere le località meno turistiche o montane. Il budget giornaliero si aggira sui quaranta Euro, in ostello si dorme con dieci Euro, nei ristorantini per strada si mangia con cinque Euro, la differenza la fanno i trasporti (soprattutto il treno): ad esempio da Taipei a Tainan (poco più di trecento chilometri) si spendono venti Euro. Per i costi, ma solo per quelli, Taiwan è più europea che asiatica.

Finalmente si parte! Una persona normale profferirebbe in esclamazioni di gioia miste ad eccitazione, sono felice di partire ma mi trovo in uno stato “neutro”, il viaggio lo vedo come un’appendice della vita, un “rito” o un accadimento “scontato” come l’avvicendarsi delle stagioni. Andare all’aeroporto, è un po’ come andare a prendere un caffè al bar ed il viaggio aereo lo ricordo perché non mi permette di dormire come vorrei! Questo non è un lamento o peggio una “insana” assuefazione al viaggio, però mi vengono in mente le prime trasvolate, dove il solo mettere piede in aeroporto provocava in me un’eccitazione simile a quella dell’apertura dei regali di Natale. Dovrei smettere di viaggiare? Certo che no! Fortunatamente, dopo il decollo, il mio stato da “neutro” si trasforma sempre in pura eccitazione. Invece è sempre immutabile la voglia masochista di vagare per il “Duty Free Shop”, di guardare tutto, di entrare in ogni negozio e di non comprare nulla, anche il solito male ai piedi è un crescendo, proprio come in un’opera Rossiniana.

Inizia a crescere la fame, questa non è subito soddisfatta perché si aspetta con trepidazione l’imbarco dove ti saranno offerti cibi nefasti: verdure dagli improbabili colori e inquietanti fette di torta “plastificata” che a casa non degneresti nemmeno di uno sguardo. Sono incredibili i nomi e le raffinatezze dei menu che ti annunciano “cibi sopraffini per palati fini” che in realtà sono l’opposto. Ricordo piatti dai nomi altisonanti come “boeuf bourguignon”, “filets de flétan grillés aux fines herbes”, “lapin à la mostarde”, “poulet aux champignons ” o “feuilletés de saumon aux asperges” che stimolano l’immaginario, le papille gustative e la salivazione, provocando mostruose visioni alimentari. Ma diciamocelo, il bello di un volo aereo sta proprio in questo momento, dove sei sopraffatto da una “fame atavica” che non soddisfi. I bagni degli aeroporti sono tutti identici: l’erogazione dell’acqua avviene azionando un bottone o un sensore, occorre trovarlo e capire come funziona. Le sedie della sala d’aspetto invece hanno i braccioli: è impossibile sdraiarsi a patto di non essere contorsionisti, si potrebbe anche tentare di dormire, se non si rischiasse un anchilosamento generale. Perché i “no global” non si preoccupano di questi problemi di normale sopravvivenza aeroportuale?

Il volo della “China Airlines” per Taipei è partito in orario, l’aereo è un Airbus 340 nuovo di zecca: le indicazioni, i giornali e i programmi TV sono in cinese, penso con divertimento all’approccio con la lingua degli ideogrammi. A bordo ci hanno offerto delle salviette tiepide che ho molto apprezzato, un “drink” con birra e noccioline e poi finalmente la cena: per tutti i pasti del viaggio sarò deliziato da uno “special meal”, un pasto rigidamente vegetariano, un “pensiero squisito” riservatomi dall’amico Gianluca al momento dell’emissione del biglietto aereo. Avevo tentato di sfuggire al menu vegetariano affermando che c’era stato un malinteso e l’hostess, forse impietosita, mi aveva assicurato che se qualcuno non avesse mangiato, si sarebbe ripresentata da me per il cambio. Dopo un po’ l’hostess è tornata con un “codfish sicilian style” che avrei assaggiato con curiosità, le ho detto “grazie”, ma ci deve essere stata una qualche incomprensione perché è scomparsa con il pranzo non vegetariano, lasciandomi stupito ed impreparato, incapace di rincorrerla lungo il corridoio per impossessarmi della vaschetta. Il menu vegetariano era dignitoso, ma rimpiangevo un “plebeo” panino alla mortadella. Dal finestrino vedevamo il deserto del Sahara e il Nilo, poi è stata la volta del Mar Rosso, non c’è una nuvola e guardare fuori dall’oblò è come consultare un atlante geografico interattivo. Sembra impossibile che tutte queste località ti passino davanti agli occhi così velocemente, stai volando, ma non ne sembri molto convinto, sotto sotto ti sembra di sognare.

Sono curioso di vedere Taiwan: Taipei la immagino come una megalopoli da tre milioni d’abitanti, una via di mezzo tra Tokyo e Bangkok con un oceano di fabbriche e di lavoratori dediti a ritmi frenetici, un’isola con tradizioni simili alla Cina ma divorata dal cemento. Avevo voglia di visitare il Giappone o la Corea del Sud, l’oriente tecnologico mi affascina, ma i costi sono proibitivi. Anche dormendo in stamberghe e mangiando pesce crudo rimarrei shockato, oramai abituato ai costi del Sud Est Asiatico. Abbiamo fatto scalo ad Abu Dhabi: i prezzi del “Duty Free Shop” sono astronomici, sugli scaffali (in barba alle leggi craniche), sono esposte bottiglie di liquori, di whisky e di cognac, come sottofondo c’è musica “techno”. Ci sono uomini con lunghi vestiti bianchi e donne intabarrate, l’unica parte visibile del corpo sono gli occhi. Sono stato colpito da una gomma da masticare di marca “Stimorol”, con un nome tanto inquietante da associarla ad una crema vaginale e dalle confezioni da un chilo di latte in polvere acquistate in gran quantità dagli arabi, i Taiwanesi invece, prediligono datteri e frutta secca. Il locale che ospita il “Duty Free” è coperto da una grossa cupola, al centro c’è un pilastro simile al gambo di un fiore che dal piano terra arriva sino al soffitto, sembra che sbocci e fiorisca, alla base è color verde pisello mentre quando raggiunge il soffitto è del colore dei lapislazzuli. Alle pareti ci sono tante tessere colorate, incastonate a mo’ di mosaico, questo posto ricorda tante cose: le opere di Mirò, le tessere del fondo di una piscina, le lampade Tiffany. E’ un posto un po’ naïf e démodé. Il primo giorno di viaggio è passato in viaggio! Sono più di ventiquattro ore che viaggio e non sono ancora arrivato a destinazione, il fuso orario di Taiwan è sei ore in più rispetto all’Italia, invece il volo da Roma (scalo ad Abu Dhabi più fuso) è di ventitré ore, ma le ore di volo effettive sono molte meno, circa quindici.

Quando siamo arrivati, il controllo passaporti ed il ritiro dei bagagli sono stati veloci, (fino ad una permanenza di due settimane non occorre neppure il visto d’entrata), poi ho cambiato un po’ di denaro nella moneta locale, il dollaro di Taiwan. Sono stato all’ufficio turistico dell’aeroporto a prendere mappe, depliant e cartine, mi hanno dato anche un opuscolo sulla “Festa dei Fantasmi” di Keelung che si terrà la prossima settimana. La possibilità di assistere a questo festival ha avuto il potere di sconquassare i miei programmi di viaggio studiati alla perfezione da settimane, oggi sarei dovuto andare sulla costa est e da Hualien raggiungere le gole di Taroko, invece ho scelto Tainan che si trova sulla costa ovest. In pochi minuti ho smontato i punti fissi del viaggio.

L’isola di Taiwan ha la forma di una foglia di tabacco, è lunga 402 chilometri e larga 129 nel punto massimo e i suoi 35.571 chilometri quadrati la rendono paragonabile, per estensione, all’Olanda. Per arrivare a Taipei, che dista quaranta chilometri dal “Chiang Kaishek Airport”, esiste un efficiente servizio d’autobus. L’ho sperimentato, scendendo alla stazione dei treni, un edificio grigio a forma di pagoda. Il cielo è blu, fa un caldo terribile e l’umidità è pazzesca, la sensazione è la stessa di quando apri lo sportello del forno e l’aria calda ti avvolge. Con qualche difficoltà sono riuscito a prendere un biglietto per Tainan, mi ha aiutato un indigeno, scortandomi fino alla piattaforma. E’ stato un colpo di fortuna perché la stazione è enorme, le indicazioni sono in cinese, qualche aiuto può venire nel leggere il numero del treno stampigliato sul biglietto. Ci sono quattro classi: “ziquiang”, “zuguang”, “fuxing” e “putong”, ho un biglietto di classe “ziquiang”, la migliore. I posti sono tutti identici, non si può scegliere tra carrozze lussuose od economiche (tipo prima o seconda classe), quello che distingue le classi è la velocità di percorrenza della tratta, più paghi, prima arrivi. Il viaggio in treno dura tre ore e mezzo, la carrozza è bella con l’aria condizionata, i posti a sedere sono tutti prenotati e per oltre due ore sono stato in piedi, i passeggeri fanno  solo  due   cose,  dormono  o  usano  i  cellulari.

 

                      1   2   3   4   5   6   7   8    | Diari Index