C’è  sempre  qualcuno  che telefona o gioca con le suonerie e nessuno si pone il problema di importunare i vicini, perché tutti si disturbano a vicenda. In ogni scompartimento ci sono pannelli luminosi che indicano quale sarà la fermata successiva. Ad intervalli regolari passa una donna vestita con un grembiule a quadretti bianchi e rossi, sembra una contadina, ha in mano un sacco dell’immondizia e i passeggeri buttano dentro la spazzatura. Una curiosità è che in carrozza tutti ruttano sonoramente e liberamente. Il controllore si è presentato mettendosi sull’attenti, con tono marziale ha detto qualche parola e dopo un breve inchino ha controllato i biglietti. Oggi Taipei l’ho intravista solo dal finestrino, si vede scorrere una periferia sterminata con case basse ed anonime, costruite male ed alla rinfusa, senza uno stile che ricorda gli edifici della Cina classica come li abbiamo nel nostro “immaginario”, questa sensazione d’assenza d’identità l’avevo avuta anche nella Madrepatria. Sono tante anche le fabbriche, tutte addossate alle case e loro parte integrante, la vegetazione è tropicale con risaie, colline e dolci vallate. All’arrivo in stazione occorre restituire il biglietto del treno, non si può sfuggire a questo controllo e ogni uscita è presidiata da zelanti controllori, in caso di smarrimento bisogna pagare una multa. Per i distratti ci sono cartelli con ideogrammi.

Tainan

A Tainan mi sono fatto portare al “Labourers’ Recration Centre”, in 261 Nanmen Road, uno dei tre ostelli della città dove ho trovato posto in una camera per quattro. Stasera sono l’unico occupante, ci sono la televisione, l’aria condizionata e l’acqua calda, ma non giurerei sulla pulizia delle lenzuola, l’unico inconveniente è che il portone sarà chiuso alle undici di sera. Dopo una doccia, mi sono avviato verso il centro della città. Allo stadio davano una partita di baseball, lo sport nazionale, nonostante la curiosità ho continuato a camminato per i lunghi viali. Quello che salta subito all’occhio sono le migliaia d’insegne al neon, le tante macchine ed il fiume di scooter che beneficia di corsie preferenziali. L’aria condizionata è ovunque, ti rigenera per qualche istante ma quando l’abbandoni è peggio di prima. Solo i ristorantini che si affacciano sulle strade e le botteghe più umili non ce l’hanno: più il negozio è spazioso e luminoso più l’impianto di climatizzazione è efficace. L’umidità è altissima, ti attanaglia e ti taglia le gambe, ho la maglietta perennemente inzuppata.

 Oggi è San Valentino, i Cinesi non lo celebrano il 14 febbraio ma in una data diversa, la ricorrenza è legata alle fasi lunari ed ironicamente cade sempre nel "mese dei fantasmi", quando secondo la tradizione, i fantasmi escono dalle tombe per tornare sulla terra. Ci sono richiami alla festa un po’ ovunque, soprattutto nelle vetrine dei negozi e nei parchi, nel giardino del “Tempio di Confucio” c’erano persone di tutte le età intente a costruire origami colorati, guardavo la loro manualità e restavo a bocca aperta. Attorno era uno sfavillare di luci colorate, di festoni e di lanterne rosse cullate dal vento. C’erano tante bancarelle che vendevano zuppe e strani cibi, ho mangiato spaghetti di riso in brodo e riso tagliato a cubetti, duro come il torrone. Combattere con i problemi della lingua, rivedere gli ideogrammi e riscoprire i sapori di questa cucina mi fa tornare in mente i tanti viaggi fatti con Gianluca, i bei momenti passati assieme, ma anche il pensiero che questi momenti non torneranno più: sono passati sei anni, ma i ricordi delle scorribande per Pechino, per Nanchino o per i deserti dello Xinjang sono ancora vivissimi.

Si è alzata una leggera brezza che subito è diventata vento, stavo ascoltando un concerto di musica all’aperto, quando il vento ha fatto cadere a terra gli spartiti e gli orchestrali hanno smesso di suonare. Mi sono incamminato verso l’ostello, ho fatto appena in tempo ad arrivare in stanza che ha iniziato a diluviare. Fra le “curiosità” annotate oggi, mi hanno colpito i minimaket della catena “7 Eleven” e “Family Friends” aperti ventiquattro ore il giorno, i lussuosissimi negozi pieni di specchi, specializzati nei servizi fotografici e nel confezionare abiti da sposa. Spesso il nome del negozio ha la parola “moda” o “Italia” nella ragione sociale. I semafori sono dotati di un timer che indica quanti secondi rimangono per attraversare la strada, e infine, la lunghezza delle strisce dei rotoli di carta igienica è il doppio di quelle nostrane.

L’indomani mi ha svegliato la donna delle pulizie che doveva rassettare la stanza, non c’erano cartelli tipo “non disturbare” e così, sia per i suoi modi bruschi che per la mia poca dimestichezza con il mandarino (la lingua), sono andato ad aprire, prima che buttasse giù la porta. Ho iniziato le mie peripezie pedestri: orientarsi non è difficile, occorre una buona carta topografica della città con le vie ed i luoghi da visitare indicati sia in cinese sia in inglese. Le strade principali sono tutte dritte ed è impossibile perdersi, agli incroci ci sono cartelli bilingui. Tainan significa “Sud Taiwan”, è stata l’antica capitale dal 1663 al 1885 ed oggi è la quarta città dell’isola (700.000 abitanti). Per Taiwan rappresenta quello che è Kyoto per i giapponesi e Kyongju per i coreani, è famosa per i suoi templi (ce ne sono più di duecento), non facili da trovare. I più sono nascosti dalle nuove costruzioni o dai cortili, vederli tutti, oltreché indigesto, sarebbe impossibile. Sono tanti anche gli aerei sia militari sia civili sia continuano a passarmi sopra la testa ad una vicinanza impressionante.

Anche oggi l’umidità è altissima e ti costringe a soste forzate per riprenderti, le possibili “oasi” di frescura sono rappresentate da negozi, supermercati e soprattutto dalle banche che sono dotate dell’aria condizionata più gelida e sublime. Quando esci non ne puoi più fare a meno e sprofondi nella prostrazione totale. Occorre anche continuare a bere, la soluzione più rinfrescante è quella di ricorrere al tè che è bevuto ghiacciato. In tutta la città ci sono centinaia di piccoli negozi che lo vendono di tre tipi: “tè nero”, “tè verde” e il più pregiato “tè oolong”. Nei negozi più modesti tè e ghiaccio sono agitati in shaker identici a quelli per fare i cocktail e l’operazione è effettuata manualmente, in quelli più moderni tè e ghiaccio sono mischiati da speciali macchine che sostituiscono la manualità. Quando la bevanda è pronta, il bicchiere di plastica è sigillato con una pellicola trasparente e quando si ha sete occorre infilzare la cannuccia nell’apposito foro. Il “tè nero” (chiamato anche “tè rosso”) è sottoposto ad una fermentazione totale, le foglie, poste in infusione, assumono un colore scuro ed hanno un sapore forte e deciso, invece le foglie del “tè verde” sono subito essiccate dopo la raccolta (per evitare la crescita dei batteri) e arrotolate a mano (per eliminare l’eccesso d’umidità e gli enzimi) e al contatto con l’acqua diventano di un colore verde pallido. Anche le foglie di “tè oolong” sono fermentate, il processo dà alla miscela un colore scuro.

Sono stato al tempio di Koxinga che non è un Dio ma l’eroe nazionale: gli olandesi occuparono Taiwan dal 1624 al 1661 e trentasette anni dopo furono cacciati da Cheng Cheng-Kung, il pirata guerriero conosciuto anche come Koxinga che giunse dalla Cina a Tainan per conquistare l’isola con trentacinquemila uomini e seicento navi da guerra. Alcuni anziani pregano dinanzi alla sua statua e di fronte a questa scena rimango perplesso, uno di questi indossa un vestito grigio come quelli in uso ai tempi del “Grande Timoniere”, ha abbandonato il bastone da passeggio e la borsa della spesa e si è messo dritto e impettito davanti alla statua di Koxinga, da un momento all’altro m’aspetto che faccia karakiri. Ho poi visitato il tempio Fahua e quello delle “Cinque Concubine”, costruito per ricordare le cinque donne che s’impiccarono per seguire la sorte del loro signore, un dignitario della dinastia Ming che si tolse la vita quando l’isola fu consegnata nel 1684 ai Manciù. I templi sono simili a quelli cinesi, con tetti a forma di pagoda, alberi modellati a mo’ di bonsai e giardini curatissimi, hanno anche toilette pulite e ospitali. 

Verso l'una lo stomaco ha iniziato a reclamare, nei ristorantini per strada, chi prende le ordinazioni è anche il cuoco e ti chiede (in cinese) cosa vuoi ordinare o ti porta un menu nella lingua locale. Prima di scegliere, cerco conforto nel guardare quello che gli altri avventori hanno nei piatti, vado in cucina a curiosare, oppure chiedo d’assaggiare il cibo direttamente dalle pentole. Talvolta ti servono qualche cosa di diverso da quello che avevi ordinato o da quello che pensavi che ti fosse servito, ma il più delle volte il risultato sarà una gradita sorpresa, un qualche cosa di nuovo e interessante da assaggiare.

Dopo un piatto di riso, sono entrato in un negozio che vendeva materiale informatico, era enorme e paragonabile ad un supermarket, non sapevo fare comparazioni con i nostri prezzi, perché non conoscevo il valore di mercato che questi oggetti hanno in Italia, (lettori DVD, schede video, schermi ultra piatti, webcam), in un angolo c’erano tanti computer per navigare in Internet ed ho iniziato a mandare e-mail, qualche problema lo dava la tastiera con i caratteri in cinese e in inglese, anche la posizione d’alcuni tasti era diversa.  Il pomeriggio è “volato” tra negozi di personal computer, di CD e di scarpe sportive, era un continuo “entrare ed uscire” fino ad arrivare ad un’ubriacatura pedestre da sfinimento. Ero colpito da tutta questa merce tecnologica, dalle luci, dalle offerte promozionali, dalla marea umana che faceva acquisti e dalle ragazze dagli occhi a mandorla. Alcune mi fermavano per strada per chiedermi l’età, la religione e da dove venivo.

Sono entrato in una libreria per acquistare un vocabolario tascabile “Inglese – Cinese” sperando nella sua utilità, l’ho subito sperimentato per capire se ci fosse un pullman per Taitung che passasse per la “South Cross Island Highway”, una strada panoramica di montagna che attraversa l’isola. Ci sono voci sulla sua chiusura per frane e smottamenti provocati dalla stagione delle piogge. A Tainan ci sono tante stazioni dei bus e per oltre mezz’ora ho cercato quella giusta, la gente era gentile e cercava di darmi una mano, ma ben pochi sapevano dove stesse e i più mi comunicavano informazioni sbagliate, facendomi andare inutilmente su e giù per Cheng-Kung Road. Quando l’ho trovata, non era affisso l’orario delle partenze, alcuni affermavano che il bus c’era, altri che era stato soppresso: non sai mai se puoi fidarti, talvolta devi sperare nel tuo intuito o cambiare itinerario! Ho cenato scegliendo con gli occhi: un involtino di carne e verdure avvolte in una foglia di verza e spaghetti di riso in salsa di sesamo, un avventore mi ha parlato del suo amore per il teatro della Scala di Milano e per le opere di Giuseppe Verdi. Tornato in stanza mi sono subito addormentato.

Il giorno seguente ho notato che nell’atrio dell’ostello c’erano delle poltrone di pelle scura simili a quelle pubblicizzate nelle televendite, se ci si siede iniziano ad emettere un sibilo perché sono “a pagamento”, occorre introdurre una moneta in un’apposita fessura e un marchingegno stimola schiena e fondoschiena, tutte le volte che sono passato nella “hall” le poltrone erano desolatamente vuote. Oggi, nel raggiungere il centro città, ho cambiato percorso: ogni strada, ogni negozio, ogni bottega è sempre una scoperta, a volte non riesci a capire che cosa si venda. Mi sono fermato in un parco pubblico, sotto i grandi alberi prendono il fresco tante persone, ci sono anziani di sesso maschile che giocano a dama cinese e a majong e bancarelle che vendono cibo. Il parco sembra una versione asiatica dei nostri “circoli” dove si gioca a carte, si fanno quattro chiacchiere e si legge il giornale. Scrutare nei pentoloni e guardare i cibi è sempre interessante, c’è chi cucina in enormi “wok” teste di pesce, ci sono anatre al forno e pezzi di grasso di maiale, salsicce bianche e rosse, rane, tentacoli di piovra, pesci in salamoia, focacce con uova sode colorate, frutta dolce da accompagnare al ghiaccio grattugiato.

Ho fatto colazione con grossi ravioli ripieni di carne, i wonton. I Taiwanesi amano le uova, simbolo di fortuna e fertilità, la loro forma liscia e arrotondata, priva d’angoli o spigoli è ritenuta l’espressione del benessere. Nelle bancarelle, ad ogni angolo di strada, nei mercati e alle fermate dei bus si vendono uova sode cucinate in modo particolare, come particolare è il loro nome: “uova marmorizzate” (cha ye dan). Il guscio delle uova sode è picchiettato per creare una ragnatela di minuscole crepe, poi dopo la bollitura con acqua, salsa di soia e foglie di tè nero sono lasciate riposare in questo liquido per permettere al colore ed all’aroma di penetrare attraverso le crepe. Senza guscio sembrano proprio di marmo. Ci sono altre “prelibatezze” non facili da trovare: le uova sotto sale (xian dan) che ancora crude sono ricoperte di sale e di terriccio nero bruciato per migliorarne la conservazione e le “uova millenarie” (pi dan) lasciate per un periodo che va dai due ai quattro mesi in una miscela di gesso, cenere e baccelli di riso. In questo modo l’albume assume un colore nero lucido ed ha la consistenza di una gelatina densa, mentre il tuorlo è grigio cenere. La tappa successiva è stata al tempio Kuankung, nel diciassettesimo secolo era frequentato dai funzionari di governo che venivano a fare offerte, oggi è frequentato dagli uomini d’affari locali che affermano che pregare qui, favorisca gli affari.

 

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