Ho raggiunto  il   “nuovo centro”, cisono due zone centrali, una vicino alla stazione ferroviaria (dove alloggio) e una nuova chiamata “Chungkang Area” nei pressi di Taichungkang Rd con centri commerciali, hotel “cinque stelle”, ristoranti e uffici governativi. Una via alla moda è Chingming 1 Rd, un’area pedonale con bar e tavoli all’aperto, quando sono arrivato pioveva e mi sono divertito a guardarmi attorno. Curiosare ed “introdurmi” nella vita dei taiwanesi mi appassiona, è bello vedere come queste città così anonime e grigie, con il calare delle tenebre si trasformino in un luna park coloratissimo. L’unico cruccio è per il tempo atmosferico, da ieri piove ininterrottamente ma per fortuna, anche con la pioggia, non ci si annoia mai. Ho incontrato due pastori di una chiesa protestante americana e mi hanno detto che qui sono bene accetti, non ho detto loro cosa penso dei “Testimoni di Geova” quando vengono a suonare alla porta di casa alla domenica mattina.

Stasera ho visto un locale specializzato in sushi, gli avventori erano seduti davanti ad un nastro trasportatore e le portate passavano continuamente davanti ai loro nasi, i minuscoli piattini erano scelti come in un self service, mi sono trattenuto dall’entrare perché li avrei provati sicuramente tutti. In altri locali i commensali erano seduti attorno ad un lungo tavolo rettangolare, in alcuni cucinavano essi stessi usando minuscole pentole, in altri uno chef cucinava davanti ai loro occhi quello che più desideravano. Mangiare a Taiwan può essere molto economico e un piatto di riso o di spaghetti di riso consumato per strada può costare un’inezia, invece nei locali più alla moda si possono spendere cifre astronomiche. Il locale più curioso era un capannone con all’interno una piscina, intere famiglie munite di canne pescavano gamberi. Dopo la pesca, tutti si spostavano in un'altra area, dove c'erano tavoli tipo quelli da pic-nic, qui i “pescatori da città” cucinavano il loro bottino ittico su griglie elettriche.

Ho mangiato “dim sum” cotti al vapore, sono preparati all’istante e messi a cuocere sotto ampi sbuffi di vapore in cestelli di bambù rotondi, una volta cotti assomigliano a dei piccoli panini appena lievitati. La preparazione, sia per la pasta sia per il ripieno (di solito carne con verdure) è fatta manualmente, ma piatti e bacchette sono “usa e getta”: anche nel campo culinario il vecchio ed il nuovo si rincorrono sempre. Sui marciapiedi c’è una tacita convivenza: trovi il ristorantino a gestione famigliare con il proprietario in ciabatte e canottiera che è sia cuoco sia cameriere, con magari accanto un lussuoso ed elegante “sushi bar”, in Italia simili convivenze sarebbero impossibili. Ho sgranocchiato una pannocchia la cui preparazione era degna di nota. Ognuna era confezionata singolarmente nel cellophane e sembrava più finta di quelle provenienti da piante transgeniche. Era abbrustolita grazie a un marchingegno pieno d’ingranaggi che la faceva girare su un forno elettrico. Una volta pronta, assomigliava a tutto fuorché ad un ortaggio.

Sono tornato in albergo, felice per non trovarmi nella stanza maleodorante della sera precedente. Mi sono concesso non una doccia ma un vero bagno e non volevo più uscire dalla vasca. Alla TV si vedono “telenovele” di produzione locale, telegiornali dove la politica è trattata con grand’enfasi ed il presidente Chen Shui-Bian è sempre contornato da persone che lo applaudono entusiasticamente, ma i programmi più trasmessi sono quelli delle “televendite”. Mi ha incuriosito la pubblicità di una crema rassodante: la ragazza era a seno nudo e sui capezzoli c’erano dei cerotti rotondi per non mostrare quello che già si vedeva!

Peikang

All’indomani ho fatto colazione con una zuppa marrone con verdure e carne, nella ciotola galleggiava anche un uovo sodo, poi ho comprato un biglietto del treno per Chiayi, da li raggiungerò in bus Peikang. Oggi è “il quindicesimo giorno del mese della settima luna”, il giorno più importante della “Festa dei Fantasmi”, questa ricorrenza è celebrata sia da taoisti sia da buddisti, i primi festeggiano il compleanno dell’Imperatore Chinghsu (il Dio delle tenebre) e per ingraziarsene lo spirito fanno offerte di cibo ai templi. I secondi chiamano questa festa “Ullambana” e ricordano il viaggio fatto negli inferi da Maudgalyayana, un discepolo del Buddha Sakyamuni per salvare l’anima della madre. A Taiwan la religione è una miscela di pratiche e credenze che derivano dall’animismo, dal culto degli antenati, dalla tradizione confuciana, dal pensiero taoista, dall’idea della reincarnazione buddista e da tante altre credenze popolari che spesso si mescolano con disinvoltura nei vari luoghi di culto. Si crede che in questo mese siano aperti i cancelli dell’aldilà e gli spiriti dei morti ritornino sulla terra per fare visita ai parenti: non è consigliabile viaggiare, nuotare, aprire una nuova attività, occorre fare offerte di cibo agli “spiriti” affamati, accendere incenso e bruciare finto denaro nelle fornaci dei templi. Le offerte servono ad impedire atti vendicativi da parte degli spiriti (che non hanno parenti in vita) contro le abitazioni dei vivi, addirittura chi muore in questo mese, sarà seppellito solo in quello successivo.

Oggi dovevo essere a Keelung, alla festa di Chung Yuan che si conclude con la liberazione d’enormi lanterne fra i flutti dell’oceano, ma ho deciso di vivere questa ricorrenza a Peikang, una città a metà strada tra Kaohsiung e Taichung dove c’è il tempio Chaotien, il più grande ed antico, ma anche il più curioso e stravagante dei 383 templi dell’isola dedicati alla Dea Matsu. Il pirata guerriero Koxinga attribuiva alla protezione di Matsu il merito dell’attraversamento dello stretto di Taiwan e della conquista dell’isola: da allora la divinità gode di una particolare venerazione. Keelung si trova sulla costa est vicino Taipei e raggiungerla avrebbe di nuovo scombussolato i miei programmi, infatti, domani voglio arrivare a Taroko attraverso la “Central Cross Island Highway”. Il tempio è il più “ricco” dell’isola perché è quello che riceve più offerte dai fedeli ed è visitato ogni anno da più di tre milioni di fedeli, è della metà del 1600, tutto attorno è assediato dalle case e a malapena sopravvive in un oceano di cemento. C’è una costruzione impressionante, un edificio quadrato con un giardino pensile all’ultimo piano con bonsai, pini, bambù e piccoli padiglioni a forma di pagoda, nel mezzo troneggia un’enorme statua di marmo della Dea Matsu, sembra di essere a Disneyland e non in un luogo di culto. Sono entrato nel tempio che è grande e bello, quello che colpisce è il tetto, formato da un’intricata e colorata composizione di figure policrome che si confondono tra riproduzioni di montagne, pagode, palazzi e alberi che si rifanno alle leggende ed alle tradizioni popolari dell’isola.

Un po’ dovunque ci sono bracieri per l’incenso, i fedeli fanno numerosi inchini tenendo i bastoncini fra le mani fino quasi a toccarli con la testa. Nella cappella principale invece, la gente getta a terra due oggetti che assomigliano a grossi fagioli con una superficie piana, il gesto va ripetuto per tre volte consecutive, l’operazione ha un significato divinatorio e la posizione assunta dagli oggetti serve per avere risposte a domande tipo: “andrà bene l’esame?”, “lui mi ama ancora?” “avrò fatto la scelta giusta?”. In grandi ceste ci sono da sessanta a cento bacchette numerate simili a quelle del gioco dello Shanghai, sono infilate in un tubo che è agitato davanti all’altare, si prega e si scuote il contenitore fino a farne cadere una a terra. Dal numero del bastoncino si risale al responso divino che è indicato su un tabellone, nella speranza che sia propizio e di buon auspicio. Anche io mi sono fatto contagiare da quest’atmosfera e come tutti ho comprato incenso e cartamoneta da bruciare: ai guardiani del tempio si pagano dollari veri per averne in cambio di falsi! Ho chiesto informazioni sui festeggiamenti, tutti dicono di parlare un po’ d’inglese, ma è già tanto se capiscono “yes”, un giovane intraprendente ha estratto un traduttore elettronico e cercava di dirmi che ci trovavamo al tempio di Matsu, i suoi amici lo prendevano in giro e mi fingevo interessato per la sua buona volontà.

La gente arriva alla spicciolata, tutti portano qualche cosa: pacchi di soldi di carta, cesti di frutta, piatti con svariati tipi di cibo, dolci, bottiglie di birra e di bibite, sacchi di riso, insomma qualunque cosa sia commestibile. Creano altari improvvisati e depongono il tutto su lunghi tavoli predisposti appositamente per la festa, anche davanti ai negozi ed alle case hanno allestito piccoli altari con i medesimi prodotti. Nelle strade ci sono bracieri artigianali ricavati da bidoni, si bruciano banconote e sembra che gli adulti tornino bambini, ma il massimo del divertimento è quello di sparare mortaretti o fuochi d'artificio.

Nel tardo pomeriggio alcuni monaci vestiti d’arancione hanno iniziato a sfilare lungo le tavole imbandite, si fermano in prossimità degli altari e recitano preghiere suonando piatti, gong e piccoli tamburi. Una piccola folla di fedeli li segue ed ad ogni sosta accende bacchette d’incenso: anelli di fumo bianco e profumato si dissolvono nell’aria impregnata da quest’odore e si respira a fatica. Fra i tavoli e all’interno del tempio tutti telefonano o rispondono al cellulare con gran naturalezza, sacro e profano si mischiano ancora una volta. Terminate le benedizioni i monaci sono entrati in una “struttura futuristica” che al posto del tetto ha tre cubi dorati con una gran balconata, che ricorda il palco degli imperatori romani, da qui conducono la cerimonia con canti e preghiere. Il “capo monaco” indossa un berretto rosso simile a quello in uso presso le popolazioni mongole e con le mani fa strani gesti, come alla cerimonia di Taichung capisco poco.

Seduto in un baracchino ho mangiato spaghetti di riso dolci con frutta candita ricoperti da ghiaccio fumante e osservavo la festa che stava giungendo al suo culmine. Molta gente era ammassata nella zona della frutta, c’erano belle composizioni con uva e prugne che formavano grandi ideogrammi, ma anche mele, pesche, ananas, longan e gli “occhi del dragone”, frutti grossi come ciliegie, che pendevano dal soffitto. Ho capito il perché di tutto quest’interesse, gli organizzatori della festa avevano iniziato a distribuire frutta al popolo festante, la scena ricordava “l’assalto al forno delle grucce” di manzoniana memoria, osservavo divertito, senza partecipare all'assalto. Vicino ad un altare ho raccolto qualche banana, all’inizio nessuno era interessato a questi frutti perché tutti miravano ad un qualche cosa di più “nobile”, poi in mancanza d’altro, la gente, pur di non rimanere a mani vuote, si è consolata anche così. Tutto l’altro cibo che era stato portato per essere benedetto è stato recuperato dalle famiglie dei proprietari: i cesti di frutta, le bibite, i bei piatti di carne, di pesce ed i dolci sono stati caricati ad una velocità fulminea su auto e carretti e riportati a casa per essere consumati al riparo da occhi indiscreti.

In due ore sono tornato in autobus a Taichung, volevo mettere qualche cosa sotto i denti, ma anche qui sono stato attratto dall’atmosfera di festa: le vie d’accesso ai templi erano illuminate con lanterne rosse di carta di riso, ovunque guardavo, vedevo tavoli ed altari con cibo e frutta, nelle strade si bruciava cartamoneta e i più intraprendenti lo facevano direttamente sull’asfalto, per i tanti roghi sembrava di essere nel mezzo di una guerra e l’odore di bruciato si mischiava a quello dell’incenso. Ci sono elaborate composizioni con banconote che formano fiori di loto, barche, piramidi e cestini, altre con lattine di bibite e confezioni di tetrapak, talvolta si vede un maiale (morto) con una mela in bocca. Per strada suonano gruppi di musica tradizionale e complessi rock, i vari tipi di musica si fondono e si sommano agli spari dei mortaretti, non si capisce nulla, è una gara spietata a chi fa’ più rumore.

In prossimità degli incroci ci sono piccoli palcoscenici con luci multicolori e psichedeliche, qui si esibiscono cantanti, cabarettisti e ballerine e gli spettacoli provocano un caos totale perché gli spettatori si ammassano tra i bidoni fumanti e i tavoli con le offerte di cibo. I pedoni si fermano a curiosare, i motociclisti (senza togliersi il casco) si fermano anch’essi ad osservare, le auto vogliono circolare e l’umidità è oltre il 70%. Più in là non ci sono né canti né musica tradizionale, c’è l’esibizione di una ragazza dagli occhi a mandorla che mostra il suo feeling per un palo da lap dance, più avanti all’interno di un garage, ingentilito con drappi bianchi e rose rosse, si svolge una cerimonia con monaci e monache dalle teste rasate. Talvolta mi sento un privilegiato nell’assistere a queste rappresentazioni, in un Paese appena sfiorato dal turismo di massa. Solo a tarda sera ho ascoltato le esigenze dello stomaco e ho provveduto ai suoi brontolii con una scodella di spaghetti di riso ed un pesce cucinato con bacche rosse e foglie verdi, poi sono tornato al Fu Hsing Hotel.

La mattina sono andato alla ricerca di una banca per cambiare i traveller’s chèque, da quando Taiwan ha iniziato ad occidentalizzarsi le banche sono aperte dal lunedì al venerdì e se si ha bisogno di cambiare denaro il sabato o la domenica, l’unica possibilità è rappresentata dalle banche degli aeroporti, altrimenti si è spacciati. Oggi ho visto cose strane ed inusuali: quando sono entrato in banca (prima dell'apertura), gli impiegati in divisa (tailleur scuro per le donne e camicia bianca e pantaloni neri per gli uomini), allineati in fila tra fax, stampanti e computer, erano intenti a fare esercizi ginnici. Era una scena esilarante e comica, tipo quella di un film d’Alberto Sordi o di Fantozzi: i registi si saranno ispirati a questa realtà per i loro film? Come sottofondo c'era un’allegra musichetta che scandiva il ritmo. I traveller’s chèque, sono visti come “strani” pezzi di carta colorata e guardati in modo interrogativo (a Hengchuen la banca nemmeno li cambiava), talvolta penso di fondare una mia “zecca personale” e fabbricarmeli da me, magari nessuno se n’accorgerebbe! Volevo visitare il più grande museo  al mondo del “Guinness dei primati”, ma ero schiavo dell’orologio e non potevo perdere il bus per Lishan che era anche l’ultimo della giornata e così ho abbandonato Taichung.

 

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