Sianukville

Sianukville sembra  una città di frontiera con tanti alberghi, ristoranti, casinò e “Karaoke Bar”.CambogiaDiario28.jpg (6406 byte) Per la notte ho scelto l’Angkor Inn, una guest house semplice ma decorosa, poi sono andato a Soka Beach”, una delle spiagge consigliate per lo “snorkelling”, ma l’acqua era torbida. In questa spiaggia affacciata sul golfo di Thailandia le infrastrutture sono inesistenti, c’è solo qualche capanna in bambù che vende bibite calde, noci di cocco e pesce fritto, sdraio rudimentali e turismo locale.

Ho conosciuto Bernard, un francese che mi ha parlato del suo concetto di Cambogia vista come l’ultimo “Eldorado asiatico” da sfruttare: ha esordito dicendomi che per gli occidentali ci sono grandi opportunità, ma poiché lo straniero non può operare autonomamente, ha davanti a sé due strade. Sposare una Khmer e fare una società con lei (un matrimonio di comodo), oppure creare una società con cambogiani, dove loro possiedono il 51% e tu ne detieni il 49%. Bernard voleva acquistare i diritti per una piantagione di pepe e mi ha illustrato quanto può rendere dal primo anno, fino al periodo della massima produzione. Che differenza con i racconti e le impressioni dell’italo australiano, nelle sue parole c’erano rabbia e rincrescimento per questo popolo e per l’impossibilità di cambiare le cose, mentre le parole di questo avventuriero sono sprezzanti. Bernard intravede solo la possibilità di fare business sfruttando la gente locale che “secondo lui” si accontenta di poco o nulla.

Seduto davanti al mare, mentre una radiolina inondava l’ambiente di musica Khmer, ho mangiato una insalata di papaya e ho bevuto il succo di una noce di cocco. Anche qui, come nel resto del Paese l’assenza di frigoriferi è sintomatica, si utilizzano contenitori termici e grandi pezzi di ghiaccio. La sera ho conosciuto Alan un neozelandese che mi ha elencato le magnificenze CambogiaDiario29.jpg (7148 byte)della Cambogia: le bellissime fanciulle (e qui concordo anche io), la possibilità di trovare ragazze nei bordelli di Phnom Penh al costo di un dollaro e che con trecento si può averne una illibata, con il certificato di verginità compreso nel prezzo! Sono quattro anni che Alan continua ad emigrare in un paese confinante, quando gli scade il visto cambogiano, per poi tornare quando ne ha ottenuto uno nuovo. Mi ha detto: “La Cambogia è il massimo e se paghi puoi trovare qualunque cosa” e che il mese scorso aveva perso tutto al gioco d’azzardo. Mi ha salutato dicendomi: “Fare i soldi è difficile, spenderli è più facile”. 

Sono entrato in un “pub”, all’Anchor Arms, per soddisfare la mia voglia di birra ghiacciata e questi strani incontri sono continuati: il mio vicino di sgabello, un inglese, si stava rimpinzando con un nauseabondo piatto di “Italian spaghetti” in salsa di carne e fagioli (il menu recitava così), mentre un americano di New York mi ha fatto una “testa quadra” sulla grandezza del pugile Tyson. Al tavolo davanti a me c’era un tedesco che teneva teneramente per mano una ragazzina: di fronte a questo schifo, ho tirato un sospiro di sollievo nel vedere che sul canale vietnamita della TV, davano in diretta Milan – Juventus.

L’unica cosa che mi ha soddisfatto da Phnom Penh in poi è stato il piacere nel provare i piatti della cucina locale e le sue varianti, ma che tristezza “appoggiarsi al cibo” per non pensare al resto. Stasera ho cenato in un ristorantino con tagliatelle alle verdure e con uno sformato di carne, da bere c’era il tè bollente con l’aggiunta di ghiaccio che ti portano appena ti siedi. Ho concluso le mie “esperienze alimentari” CambogiaDiario30.jpgcon un frullato alla frutta: c’erano papaia, ananas, durian, pomodoro, latte condensato e un liquido dolce e trasparente. Sono deluso da queste ultime esperienze: Angkor da sola vale il viaggio ma provo rabbia per come sono sfruttati i cambogiani, per il motivo per cui vengono qui alcuni viaggiatori, per i loro discorsi così assurdi da sembrare inventati ma che sono veri.

Mi sembra di rileggere il libro di Amit Gilboa con la lista della “merce” tanto facile da ottenere: bordelli con ragazze disponibili per due dollari, ristoranti che offrono pizza alla marijuana, mercati dove un grammo d’eroina è venduto a cinquanta dollari ed un chilo di ganja a venti. Da Phnom Penh in poi, le giornate sono state pesanti, non allegre e piene di scoperte come ad Angkor, così in questo clima di “anti vacanza”, domani prenderò il ferry per la Thailandia.

A Sianukville oltre alle spiagge, merita d’essere visitato anche il mercato, mi sono introdotto nel grande edificio quadrato in legno, che assomiglia ad una piccola città. Il settore più interessante è quello dei vegetali, ma anche il reparto ittico è ricco di scoperte, con i grossi pesci neri che ansimano e boccheggiano. Nella zona del pesce secco invece, ti stupisci per come sia manipolato una volta disidratato e per le strane forme che assume: ora a spirale, ora sottile come un foglio di carta velina, ora pressato in grossi blocchi. Ho continuato i miei “esercizi alimentari” con tagliatelle ai frutti di mare e caffè con ghiaccio. I vestiti sono impregnati dell’odore del mercato, ogni zona di vendita ne ha uno caratteristico. Nella zona dei ristoranti predominano quelli del cibo e della legna che arde, in quello della carne e del pesce un odore nauseabondo di “morte consumata”, CambogiaDiario31.jpg (21295 byte)accompagnato dal rumore ritmico della mannaia, in quello delle spezie c’è un’accozzaglia d’odori pungenti, impossibili da identificare. Gli occhi si divertono a spaziare in questo calendoscopico mondo di colori e il tuo “istinto olfattivo” ti guida verso odori sempre nuovi.

Pur nel suo caos primordiale, il mercato sembra un’isola felice rispetto al Paese conosciuto negli ultimi giorni, i sorrisi che tutti mi elargiscono sono un’ondata di freschezza che riscalda l’animo. Anche qui la gente è una grande consumatrice di ghiaccio e dietro ogni banco c’è sempre qualche persona intenta a preparare coloratissime granite: da quelle scure al caffè a quelle grigie, verdi o gialle. Non ho avuto il tempo di assaggiarle tutte.

Mi sono fatto portare al molo dove era ormeggiata la “Royal 6”, una barca uguale alla Khemara, queste barche sono costruite a Sibu nella regione Malese del Sarawak. Uguale è anche l’interno con l’aria condizionata gelida e con il film di “Kung Fu” dal volume troppo alto. Il collegamento fra Sianukville ed il confine Thailandese di Kok Kong è giornaliero con partenza a mezzogiorno, il viaggio dura dalle tre alle quattro ore (vento e mare permettendo), invece la partenza da Kok Kong per Sianukville avviene alle otto di mattina. Arrivati a Kok Kong, abbiamo abbandonato la barca e siamo saliti a gruppi di quattro su delle piccole barche azzurre che ti portavano al posto di frontiera. La barca correva all’impazzata per un dedalo di canali che sembravano identici e davano l’idea di un labirinto contornato da mangrovie. La velocità era elevatissima, come se qualcuno ci inseguisse, nel frangere le onde eravamo sbattuti come piloti di ko kart. CambogiaDiario32.jpg (11189 byte)Mi veniva in mente il film di James Bond “L’uomo dalla pistola d’oro” ambientato proprio in Thailandia, dove c’era un emozionante inseguimento per i canali fra Bond e gli uomini di Scaramanga. Abbiamo poi accostato a riva e il guidatore della barca ha allungato un dollaro ad un soldato Khmer, infine abbiamo affrontato un tratto di mare aperto, per le tante scosse, sembrava di essere in un frullatore.

Scesi a terra il controllo passaporti è stato veloce, abbiamo percorso cento metri a piedi e siamo entrati nel Siam, il posto di confine si chiamava Klong Yai e c’era un mercatino dove le merci più richieste erano vestiti militari usati, orologi, macchine fotografiche e cannocchiali. Ho riordinato le idee, mi sono concesso una birra “Singha” e dopo un’attesa interminabile, sono salito sul primo bus: destinazione Trat.

 

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