Penso che questo
primo approccio con i fantasmi del periodo di Pol Pot sia un macabro
Angkor Wat Risalito in moto sono partito per Angkor Wat che dista sette chilometri da Siem Reap, prima di arrivare, cè un posto di blocco dove occorre acquistare il biglietto dentrata: è consigliabile acquistarlo direttamente alla biglietteria e non incaricare altre persone. Sono numerosi i racconti e gli aneddoti sul riciclo dei biglietti scaduti rivenduti dai locali agli ignari visitatori, cambiando la data di validità stampata sul biglietto. Il costo è di venti dollari per un giorno, quaranta dollari per tre giorni e sessanta dollari per una settimana, ho scelto per il biglietto da tre giorni, che se è acquistato dopo le quattro del pomeriggio vale per tre giorni e mezzo. E unoccasione da non perdere, perché questo bonus, può essere utilizzato per iniziare ad esplorare Angkor Wat con la luce intensa del tardo pomeriggio, quando variano i colori delle pietre e le sfumature dei bassorilievi. Questo festival di sensazioni visive trova il suo apice allora del tramonto. Finalmente ho intravisto le famose torri dAngkor Wat e sono riuscito a coronare un sogno del viaggiatore che è in me: avevo sognato di percorrere la Via della Seta, di vedere Bukara e Samarcanda, il Mekong e le Pagode Birmane ed ora finalmente eccomi ad Angkor. Quando ho iniziato a percorrere il viale maestoso che porta al tempio, mi venivano le lacrime agli occhi, per avere finalmente raggiunto questo luogo sul quale avevo fantasticato tanto e che fino a qualche anno fa sembrava inaccessibile: un tempo, la soluzione meno azzardata era un mordi e fuggi con il volo aereo da Phnom Penh a Siem Reap. Per coloro che arrivavano a Siem Reap in barca o che si spingevano verso Banteay Srei o Battambang si parlava dassalti e rapine, di rapimenti ed ammazzamenti ad opera dei banditi o dei Khmer Rossi, di turisti scomparsi e mai più ritrovati. Da due anni a questa p Questo
pomeriggio il libro non lho voluto aprire, volevo godermi le sensazioni e le prime
impressioni senza fretta, volevo gustare il tramonto rosso fuoco che si stava disegnando
davanti a me, volevo recepire il più possibile senza dovere capire per forza
quello che mi trovavo davanti, volevo saziare i miei occhi curiosi con impressioni che non
trovavano collegamenti e conferme con i periodi storici, i metodi di costruzione, gli
stili e le architetture: parole come asura, banteay,
baray, deva, gopura, naga, preah, prasat, non mi dicevano nulla. Volevo godermi i
tanti bassorilievi ispirati ai poemi indiani del Ramayana e del Mahabarata e le scene di
guerra che trasmettono bellezza, intensità, potere e grandiosità. Volevo soffermarmi ad
ammirare le Apsara, le ninfe celesti, scolpite
un po ovunque che tappezzano e occupano, come piante rampicanti, interi
muri. Le Apsara sono tutte diverse fra loro, Sono salito su una delle cinque torri centrali per assistere al tramonto, il sole era una rossa palla di fuoco che con fatica è sparito allorizzonte. Ero appollaiato su un masso reso rovente dal calore, al mio fianco cerano tanti backpakers che osservavano in religioso silenzio la giornata che si spegneva, mi sembrava di essere nel mezzo di una cerimonia New Age ed ogni piccolo rumore o bisbiglio, sembrava spezzare questa sorta dincantesimo. Le orde di turisti motorizzati se nerano già andate, si sentivano solo i rumori della foresta e dei bambini che giocavano in lontananza. In me, per lincontro con Angkor, cè un turbinio di pensieri che combatte con le emozioni. Cè stupore
per questo posto del quale conosco poco, penso ad ieri quando ero in Italia, mentre adesso
mi trovo in questa realtà indocinese. In cielo cè la luna piena, le
prime ombre della sera fanno spazio ad una luce bianco latte che avvolge
tutto, napprofitto per scattare qualche foto, mentre la luna sale in cielo con una
velocità spaventosa. Tornato a Siem Reap ho cenato al Bayon II, consigliato
da Sandra per uno straordinario pesce in noce di cocco, che ho ordinato con
entusiasmo. I camerieri sono incollati ai tavoli degli avventori e sembra che ascoltino e
seguano con interesse i discorsi. Ho pagato il conto in dollari americani, il resto è
dato in Riel (la moneta locale), almeno così,
non si cammina con rotoli di banconote nelle tasche. Tornato alla Guest House mi sono
addormentato. Allalba Yuth era pronto per portarmi ad Angkor Wat, perché volevo vedere il tempio allalba. A poco a poco è iniziato ad albeggiare e le torri dAngkor, che poco prima si distinguevano a fatica, sono diventate più nitide, mentre orde di turisti erano scaricate a frotte da minibus, moto e auto. La magia del posto era attenuata da questo fiume barbaro e chiassoso, irrispettoso per un alba da vivere in religioso silenzio. Il sole è affogato in un oceano di nuvole basse e grigie, tradendo le mie aspettative per unalba da cartolina. Ho circumnavigato le mura del tempio, spingendomi fino allentrata posteriore, da qui mi sono addentrato nella foresta per avere unaltra prospettiva del Wat. Seduto su un masso, che una volta era parte viva del muro portante, mi sono messo a leggere la storia dAngkor Wat: la costruzione (dedicata a Vishnu e terminata in trentanni) è attribuita allarchitetto Visakarman. Iniziata sotto il regno di Suryavarman II, che introdusse il concetto del Re-Dio (dove il Re era un Dio in terra), fu conclusa dopo la sua morte. Secondo la tradizione questa dovrebbe essere anche la sua tomba: opinione rafforzata dal fatto che il Wat è rivolto verso ovest, la direzione che simbolizza la morte nella cosmologia Hindu. Angkor
è una replica in pietra delluniverso e ne rappresenta il modello terreno: le cinque
torri che si ergono al centro, simbolizzano il monte Meru, montagna mitica e casa degli
Dei, asse del Mondo, attorno alla quale sono disposti i continenti e gli oceani. I muri
che la circondano simbolizzano invece la terra ed il fossato più esterno rappresenta gli
oceani. DAngkor Wat colpiscono i numeri: occupa unarea di 210 ettari, Dopo essermi dissetato con il succo di una gran noce di cocco ho deciso di dirigermi verso Angkor Tom, lantica capitale del regno, fondata da Jayavaram VII alla fine del dodicesimo secolo, il centro religioso ed amministrativo dellimpero Khmer. Allepoca del suo massimo splendore ci vivevano più di un milione di persone, una popolazione maggiore che in qualsiasi città europea di quel tempo. Allinterno delle sue mura cerano gli appartamenti reali, quelli dei dignitari e dei sacerdoti, la popolazione invece viveva al di fuori delle mura. Gli edifici erano costruiti in legno e ora rimangono solo quelli in pietra. Ho varcato una delle cinque porte dingresso
alla città, per la precisione quella Sud che presenta un gran gopura
Sono andato al Bayon, il Tempio Montagna che simbolizza il Monte Meru, voluto da Jayavaram VII e edificato esattamente al centro della città, da lontano sembra una gran montagna o una piramide di pietra, da cui spuntano gigantesche teste. Non ti accorgi subito di quello che hai davanti, non ne hai una visione dinsieme ed allinizio rimani perplesso, ma a mano a mano che ti avvicini, gli spazi si fanno più aperti, sintravedono i lunghi corridoi, le scalinate che portano fino al livello superiore ed i bassorilievi. Di colpo tutto sembra diverso, in questo labirinto di pietra ogni attimo è per una nuova scoperta, inizi ad innamorartene e vorresti non andartene più via. Il Bayon è costruito su tre livelli, i primi due contengono gallerie con bassorilievi che descrivono la vita di tutti i giorni, i lavori nei campi, gli attrezzi per coltivare, pescare e cacciare, gli strumenti musicali, le abitazioni, le usanze e gli abiti Khmer: molto è rimasto immutato nei secoli e la Cambogia di un tempo è ancora la Cambogia d’oggi.
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