Ho
fatto questo viaggio nel marzo del 2000: partendo da Bangkok, ho raggiunto in aereo
Angkor, lantica capitale dellimpero Khmer, poi navigando sul Tonlè Sap sono
stato a Phnom Penh e da Sianukville (Kampong Som) sono tornato in Thailandia. Il volo Milano Amsterdam è trascorso
rapido e veloce: nellattesa della coincidenza per Bangkok ho visitato i negozi del
Duty Free Shop, la fame è ai massimi livelli, non so se questa
sensazione, sia dovuta allabbandono del ristretto regime alimentare o da altre
cause. Ero attanagliato dai crampi allo stomaco e rimanevo incantato nel guardare la
vetrine traboccanti dogni ben di Dio: formaggi olandesi, aringhe affumicate,
cioccolato Droste e Godiva. Poi limbarco, i sedici
grammi di noccioline e la birra servita dopo il decollo, non hanno eliminato la
sensazione di fame. Appena ho iniziato a dormire hanno servito la cena: una
sottospecie di lasagna in salsa di besciamella con contorno di cavolfiori. Quando siamo arrivati, ho guadagnato luscita, conquistando un carrello per gli zaini. Ho fatto a passo di carica il lungo tunnel che porta allarea dei voli nazionali, dove cè la biglietteria della Bangkok Airways e ho acquistato il biglietto aereo per Siem Reap: avevo deciso di arrivare ad Angkor in volo, non via terra dal confine di Poipet. Oggi è Domenica, lambasciata cambogiana è chiusa e sarei dovuto rimanere a Bangkok un giorno in più. Da Bangkok al confine ci sono cinque ore dautobus, da Poipet a Siem Reap ci vogliono più di dieci ore per fare meno di duecento chilometri ed è impossibile fare il percorso in giornata. Non avevo intenzione di perdere tre giorni per arrivare a destinazione. Ma le comodità hanno il loro costo, ho pagato senza battere ciglio i centocinquanta Euro del biglietto di sola andata, e sono ritornato agli internazionali per fare il chek in. Dopo nemmeno unora ho lasciato la Thailandia, ma una volta tanto, abbandonavo il Don Muang per andare in un paese limitrofo e non per tornare in Italia. Sono salito sul bus che porta
allATR 42, laereo simbolo della Bangkok Airways e ho
abbandonato quel castello fatato che è laeroporto con laria
condizionata sempre al massimo. Si sono appannati gli occhiali e mi ha avvolto un caldo
umido Vista dallalto la Thailandia è verde e rigogliosa, mentre la Cambogia è brulla e ti ricorda il deserto. A mano a mano che laereo degradava verso il suolo, ho iniziato a scrutare lorizzonte, nella speranza di vedere i famosi templi. Cerano terra rossastra e pochi alberi, prima di atterrare ho intravisto in lontananza i prasat, le torri dAngkor Wat, ma non ho avuto nemmeno il tempo di imprimere limmagine nella mente che siamo atterrati. Con uno scatto da centometrista, sono riuscito a presentarmi per primo allufficio visti, davanti a me erano seduti cinque poliziotti che ricordavano una commissione desame, era una catena di montaggio dove il passaporto passava di mano in mano ed ognuno aveva un compito preciso, come il guardare la foto e spillarla sul modulo. Fra timbri e firme, il documento arrivava allultimo addetto, che in cambio del timbro dentrata, riceveva venti dollari. Tempo delloperazione, nemmeno due minuti. Siem Reap Dopo avere ottenuto il visto dingresso, ho
chiesto al banco dei taxi una moto per arrivare a Siem Reap. Durante il percorso, In questo viaggio non avevo guide perché quelle in commercio contenevano informazioni troppo datate, avevo solo fotocopie, frutto delle ricerche sul w.w.w. Ian mi ha fornito un sacco dinformazioni utili e Yuth, il mio autista, è stato promosso driver ufficiale per la permanenza a Siem Reap. Sono stato al mercato: sarà per la giornata domenicale, ma la vita sembra molto tranquilla, cè un quieto vivere che fa bene al cuore, è il benvenuto dopo i mesi di gennaio e febbraio vissuti caoticamente. Tutti ti regalano un sorriso ed è già un buon inizio. Questimpatto mi ricorda lo scorrere del tempo nella valle Himalayana dello Spiti, dove avevo riscoperto che i ritmi della giornata erano scanditi dallorologio biologico che cè in noi. Non provavo nessuna emozione negativa, per le ore passate ad aspettare un autobus o nel trascorrere la mattina a mangiare prugne selvatiche guardando le montagne. Ho saziato il
brontolio dello stomaco con una sosta al Singapore Asian Restaurant, volevo
iniziare a scoprire la cucina cambogiana, Sono stato al Museo delle mine, creato con i reperti provenienti dal periodo di Pol Pot, raccolti dal fondatore, il Sig. Aki Ra. Costui mi ha raccontato che alletà di cinque anni i suoi familiari furono uccisi dai Khmer Rossi e che fu costretto ad abbandonare il villaggio, per andare a lavorare nei campi. Quando si era arruolato nellesercito Vietnamita, aveva minato i campi nei quali aveva lavorato e dopo la guerra, li aveva bonificati. Aki Ra ha concluso la chiacchierata dicendomi che un giorno tutte le mine saranno eliminate dalla Cambogia, questo è il motivo per cui ha voluto il museo, che nello stesso tempo deve essere un monito ed un ricordo per le generazioni future. Il museo è allaperto e i reperti sono allineati sotto una struttura in bambù, ci sono ordigni di tutte le nazionalità, soprattutto mine, da quelle vietnamite (rozze e somiglianti a delle pentole), a quelle cinesi, russe e americane, ci sono anche razzi, bombe ed armi da fuoco.
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