Il
posto è fatiscente e decadente come le prime impressioni sulla città, solo la reception Ci sono alcune arterie principali che hanno nomi pomposi e vetusti come Confederation de la Russie Bulevard, Mao Tse Toung Bulevard e Charles De Gaulle Bulevard, dividono Phnom Penh in lungo ed in largo, come le tessere di una scacchiera. Oltre a queste grandi strade che rappresentano l’ossatura, ci sono una miriade di piccole vie trasversali distinte solo da numeri, non sono asfaltate e sono piene di buche, la spazzatura è buttata con noncuranza ai bordi e lasciata a marcire. Ovunque posi lo sguardo, vedi barriere di ferro e in filo spinato alte almeno tre metri, una protezione per giardini e abitazioni. I negozi sono pochi, molti vendono bibite, non esistono frigoriferi e i venditori cercano di mantenerle al fresco in contenitori termici simili a quelli utilizzati nelle scampagnate domenicali. Non è raro vedere i proprietari muniti di grandi seghe, intenti a tagliare i blocchi di ghiaccio per mantenere le bevande ad una temperatura accettabile. Ci sono tanti “Karaoke Bar”, sulla porta d’ingresso chiacchierano ragazze con vestiti dai colori fucsia e sgargianti, qui non si vendono solo canzoni. I venditori di baguette invece, ti ricordano che un tempo c’erano i francesi. Ero uscito con lintenzione di
orientarmi un po meglio e di avere in testa almeno mentalmente la
topografia della città, Ho mangiato una baguette e dellanatra arrosto che ha un bel colore arancione, sono poi entrato in un pub e ho avuto unesperienza celestiale: una Angkor Beer alla spina in un bicchiere gelato, estratto direttamente dal freezer. Le birre sono diventate subito tre, di cui una offertami da Jim il proprietario irlandese: penso di non avere mai avuto voglia di birra ghiacciata come in questo momento. La sera, sono stato prima allo Sharky, un disco pub, e poi al Martini, il locale più famoso di Phnom Penh il cui slogan è Bored, lonely, hungry: we have every thing you need!. Era una specie di discoteca con stranieri e ragazze disponibili, al bar ho conosciuto Joy, le ho offerto noodles da mangiare, la sua era fame vera, poi sono fuggito nella notte verso il Walkabout. La mattina sono andato in mototaxi ai
killing fields, i campi di sterminio
di Choeug Ek, dove fra il 1975 ed il 1979, sono stati ammazzate a bastonate (per
economizzare sulle pallottole) circa 17.000 persone. Abbiamo fatto rifornimento alla moto,
le pompe sono poche e la benzina è venduta per strada nelle bottiglie di plastica da un
litro e mezzo. Il viaggio di diciassette chilometri è durato mezzora: da un centro
città e da una periferia che erano tuttuno, siamo passati ad una campagna secca e
brulla. Mi ha colpito il contrasto tra questo luogo di dolore con i canti dei bambini che
provenivano da una scuola vicina: un contrasto irreale da film horror, Sosta successiva al Wat Phom: la leggenda afferma che nel 1373 una ragazza di nome Penh portò su questa collina una statua di Buddha, ecco da dove viene il nome della città. Phnom Penh significa La collina di Penh, il tempio non mi ha entusiasmato e tutto mi sembra scontato ed uguale, sono in uno stato fisico e mentale da fine viaggio, quando hai già visto tutto e non devi fare altro che riprendere laereo per tornare a casa. E un sintomo preoccupante, perché sono appena ad un terzo del viaggio. Dopo avere mangiato del pollo ossuto al ginger, operazione
nella quale mi sono rotto un dente, sono stato al Phsah Thmei, il mercato coperto, ingentilito
da unarchitettura singolare e Deco ed assomigliante ad una stazione
ferroviaria. Vendevano le solite cose, mi ha incuriosito il gran numero di negozi che
esponevano parrucche da donna, in una bancarella ho comprato dei tessuti finemente
lavorati. Nel pomeriggio sono andato al palazzo reale, la residenza del re Norodom
Sihanouk, ricorda il palazzo omonimo di Bangkok, è un luogo bello e scenografico con i
tetti dorati e spioventi, il prato allinglese e i tanti fiori. Allinterno
cè la Pagoda dargento, Ti viene spontaneo paragonare la Phnom Penh delle strade non asfaltate, della spazzatura accatastata ovunque, dei bambini e degli storpi che non ti danno un attimo di tregua, con la bellezza sublime e lordine maniacale che cè allinterno di questa gabbia dorata e vorresti urlare la tua disapprovazione ai quattro venti: è la solita disparità fra ricchi e poveri. Tutto è perfetto e in antitesi con la realtà quotidiana: solo adesso mi sono pentito dei tre dollari pagati per il biglietto dingresso, che contribuiranno al mantenimento del posto. Sono poi stato al museo di Tuol Sleng: fino al 1975 questa era una scuola, poi Pol Pot lha trasformata in prigione conosciuta con il nome di Security prison 21 (S 21), il maggiore centro di prigionia e di detenzione di tutto il Paese, da qui i prigionieri erano inviati ai killing fields visitati stamattina. La scuola, dallesterno sembra un posto come tutti gli altri, è formata da tre edifici, due ai lati e uno centrale. Questultimo è il più impressionante, con la facciata ingabbiata dal filo spinato, affinché ai prigionieri non venisse linsana idea del suicidio, buttandosi nel vuoto. Allinterno delle aule, i Khmer Rossi (per ottimizzare lo spazio), avevano costruito piccole celle in mattoni, che nella luce del tramonto sono ancora più lugubri. Alle pareti ci sono centinaia dimmagini sbiadite in bianco e nero, di prigionieri incarcerati e mai più usciti, attrezzi agricoli utilizzati come strumenti di tortura e la famosa mappa della Cambogia costruita con teschi e tibie umane. I turisti giapponesi, la loro gioia, i loro gridolini e i ritratti che si fanno, mi mettono ancora più a disagio, mi chiedo se anche loro vedano e provino le stesse sensazioni. Dopo una baguette ed una doccia, sono tornato
al pub di Jim e la serata è volata, ho discusso con un italo australiano che
vive e lavora qui, della Cambogia vista dal suo punto di vista: dello stipendio medio di
uno statale che è di sedici dollari il mese, ma per sopravvivere ne servono almeno
venticinque,
L'indomani sono andato al mercato di Phsah Thmei da dove partono gli autobus per Sianukville (Kampong Som), la corriera era completa e mi sono prenotato per la successiva. Il viaggio per coprire 230 chilometri dura quattro ore e i collegamenti terminano nel primo pomeriggio. Unalternativa sono i taxi collettivi, sono sempre pieni e le compagnie utilizzano ogni spazio disponibile per massimizzare i guadagni. Tornato al mercato, sono rimasto affascinato dalle bancarelle dei venditori di frutta che esponevano manghi, ananas, mele, ed altri, dei quali non conoscevo il nome. Il reparto più intrigante era quello dei venditori di cibo, con cuochi e camerieri in fervente attività. Dagli wok uscivano pietanze incredibili e dagli odori appetitosi, ho ordinato una vera colazione alla cambogiana con noodles, carne e vegetali. Il bus è partito puntuale, la “Strada Nazionale numero 4” era un rettilineo lungo e monotono, il traffico era inesistente (a parte qualche camion) ed il paesaggio era verde e collinoso.
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