Se mi mandano del denaro, sono felice di utilizzarlo per curareYunnanDiario_24.jpg i malati di questa cittadina, in questo modo ho curato più di 35.000 persone.” In altre lettere si parlava di guarigioni dal cancro alla prostata e dalla tubercolosi. Il dottore continuava a mostrarmi articoli e m’invitava a leggerli, non terminando mai nell’elogiare la sua infaticabile opera. Da un cassetto ha estratto un pacco di lettere in italiano e una copia del libro di Chatwin “Che ci faccio qui”, dove c’è un capitolo dedicato a Baisha.

Tra un articolo e l’altro mi ha offerto mele e banane, invitandomi a pranzo. Mi ha consigliato di cuocere gli spaghetti nell’acqua del suo the e mi ha parlato delle erbe medicinali che, ancora oggi, raccoglie personalmente sulle pendici della “Montagna innevata del dragone di giada”. E’ davanti a noi e tra le nuvole che si rincorrono, s’intravedono la cima e il grigio dei ghiacciai. Poi è arrivato Ho Shulong, il figlio del dottore che ha seguito le orme paterne. Invece di parlare d’erbe medicinali, ha dato un saggio sulle sue conoscenze della lingua italiana: “Ciao, bello, arrivederci, buono”.

Come undici anni fa ho scattato una foto con il dottore, lui, con consumata abilità, si è messo in posa, non trascurando, come allora, la pratica di lisciarsi barba e baffi. Per fare rivivere l’incontro, avevo portato una foto fattami scattare con lui. Rispetto allora, indossava un nuovo camice, senza la croce fatta con il nastro adesivo, appuntata vicino al cuore. Siamo poi passati nella stanza dove teneva le erbe medicinali, qui mi ha preparato una confezione del suo mitico the.

Con il libro di Chatwin come guida, ho continuato a ripercorrere questi luoghi. Pedalando per le faticose strade in salita sono arrivato al Monastero Yufeng Si (Monastero del drago di giada), chiamato anche “Monastero dei diecimila fiori di camelia”, perché si dice che in primavera la fioritura sia moltoYunnanDiario_25.jpg abbondante. L’albero fu piantato intorno al 1470 sotto la Dinastia Ming, trecento anni prima della costruzione del Monastero. Ci vive un monaco che si salvò dalla Rivoluzione Culturale nascondendosi qui: volevo rivederlo, ma l’abate era a Lijiang. Il posto, rispetto ad undici anni fa si era radicalmente trasformato: c’era una strada asfaltata nuova di zecca che sostituiva il ripido sentiero, un biglietto d’ingresso, tante bancarelle, guardiani e monaci sfaccendati. Il Monastero, a parte l’albero di camelie, non era più quello dei miei ricordi.

Tornato a Lijiang sono andato ad ascoltare un concerto di Musica Naxi. Inizialmente, questa musica rituale (chiamata Dongjing) era utilizzata dai taoisti e dai discepoli di Confucio per ricercare la pace interiore. E’ definita come la vera musica classica cinese, ispirata ai poemi letterari e alle poesie create sotto le dinastie Tang, Song e Yuan. Queste melodie raggiunsero la massima popolarità tra il tredicesimo ed il quattordicesimo secolo, poi scomparvero e trovarono casa a Lijiang.

Dal 1981 Xuan Ke ha creato un’orchestra di Musica Naxi, formata da un gruppo d’artisti che si distinguono per tre caratteristiche: il tipo di musica, gli strumenti e l’età. La musica è antica più d’ottocento anni, molti strumenti hanno più di cent’anni e c’è una Pipa che ne ha più di quattrocento, 20 membri su 24 sono d’etnia Naxi e la loro ètà va dai 54 agli 84 anni.

Undici anni fa, i concerti si tenevano in una piccola sala e Xuan Ke intratteneva amabilmente i presenti. Ora le rappresentazioni si tengono in un teatro da duecento posti e il gruppo è stato in tournee in America ed in Europa. Vedendo questi vegliardi ti viene da sorridere, sembrano nonYunnanDiario_26.jpg autosufficienti, li immagini seduti davanti al focolare, dediti al gioco del mahjong o a riposare, invece ti stupiscono. Hanno un’aria solenne, la pelle colore della porcellana, i capelli bianchi e le barbe “alla Confucio” ben curate e vestono con tuniche di seta rilucente abbellite con motivi geometrici. Il palcoscenico ricorda la corte dell’imperatore: i viola, i rossi, i marrone e i blu, sono una chiazza di colore nel buio del teatro.

Gli strumenti sono buffi: ci sono arpe lunghe e rettangolari, mandolini allungati a forma di goccia, violini con la cassa armonica simile ad un piccolo tamburo, flauti intrecciati con canne di bambolo e un antico liuto persiano. I vegliardi suonano più strumenti, durante le pause sembra che dormano o che meditino come il Buddha illuminato. Un musico, tra un brano e l’altro, introduce il successivo e ne spiega il significato. Tra il pubblico ci sono tanti cinesi e stranieri, ma i giapponesi cercano di rubare la scena alla musica. Danno il peggio di loro stessi: si scatenano nel fotografare tutto e tutti, si piazzano in piedi davanti al palcoscenico e coprono la visuale agli spettatori. Alcuni, soddisfatti dopo la scorpacciata di foto, si alzano e se ne vanno, altri giocano con i cellulari, uno dorme.

La serata è stata entusiasmante, mi sono lasciato trasportare dalla musica e dalla sua storia: undici anni fa, invece, non era stato così, avevo vissuto la serata tra gli sbadigli. Con un po’ di malinconia sono tornato in albergo, pensando che se mai ritornerò qui, incontrerò ancora il Dottor Ho, rivedrò l’albero di camelie e ascolterò il concerto di musica Naxi, e così, come oggi, rivivrà ancora in me, l’antico spirito di Lijiang.

Il giorno successivo non ho fatto incontri, ma mi sonoYunnanDiario_27.jpg (52710 byte) dedicato agli acquisti, tutto è bello e non hai che l’imbarazzo della scelta. Poi, leggero nelle tasche e con lo zaino pesante come il piombo, ho preso l’autobus per Dali e da 2600 metri siamo scesi a 1600. Anche qui ero stato undici anni fa, ma il posto, come allora, non mi è piaciuto.

Dali

Dali si sviluppa lungo una strada pedonale che la taglia in due da nord a sud. Una in particolare, la Huguo Lu è la favorita dai turisti perché trovi qualsiasi cosa, dai souvenir alla cucina internazionale, con i menu che propongono pancake, cappuccino, “pepperoni pizza” e burritos. Questa è anche la città del marmo e si vendono oggetti di tutte le fogge, dai calzascarpe a grandi riproduzioni di pagode. Ho alloggiato alla “N° 4 Guest House”.

Il lunedì a Shaping è giorno di mercato, si tiene in un villaggio sul lago Erhai, a trenta chilometri da Dali. Ero scettico, perché pensavo che il mercato fosse una trappola per turisti, invece mi sono ricreduto. Nel reparto degli animali, le anatre erano stipate in grandi sacchi di juta, dai quali sbucavano il collo ed il becco, in questo modo il venditore le poteva trasportare sulla schiena senza fatica. Nelle ceste di bamboo invece, si agitavano piccoli maiali e galli dalle penne colorate. Nei ristorantini, si raschiava il tofu, ricavato da grossi pani, grazie all’utilizzo di uno strumento simile ad un pettine. Questi spaghetti erano conditi con salse a base di peperoncino, non mancavano vermicelli in brodo, verdure saltate negli wok e budini di tofu. Gli ortaggi esposti sui banchi, complice la tanta pioggia, avevano colori brillanti ed incredibili: c’erano rape bianche e rosse, melanzane viola shocking, radici del ginger, ceppi di lattuga, cipollotti e sedani giganti.

Le donne indossavano iYunnanDiario_28.jpg vestiti tradizionali che identificavano l’etnia d’appartenenza, cercavano inutilmente di proteggersi dall’acqua e dal vento, con buste di plastica sistemate sui cappelli tribali o di paglia. Nelle viuzze infangate dalla pioggia si faticava a camminare e si creavano buffi ingorghi pedonali, causati dell’ingombro delle ceste di bamboo trasportate sulle spalle.  Poi è stata questione di un attimo: è passato un funerale, tutti erano vestiti di bianco ed alcuni avevano in fronte una benda del medesimo colore, quello del lutto. La bara nera era portata a braccia da uno stuolo di portantini che si muovevano velocemente. Gli uomini stavano davanti, le donne dietro, ad intervalli erano sparati mortaretti.

Nel pomeriggio ho fatto una crociera sul lago Erhai, salendo su una barca arancione a forma di pagoda e aggregandomi ad una comitiva di nuovi ricchi cinesi armati di fotocamere digitali. I pescatori locali sono famosi per la pesca con i cormorani, ma come undici anni fa non li ho visti in azione. L’uccello dal lungo becco si tuffa sulla preda, ma grazie ad un anello o ad una corda di paglia che ha al collo, non riesce ad inghiottire il pesce. Anche Marco Polo lo nomina nel Milione e nel capitolo 117 dice: “Quivi è un lago che misura cento miglia in tondo, nel quale abbondano grandi pesci, i migliori del mondo e di tutte le fatte”. La prima sosta è stata al tempio Laotai e da qui, la vista spazia su tutto il lago. Dali e le montagne sono incappucciate e il cielo è nero come pece. La salita alla pagoda è costellata dalle bancarelle dei mercanti che imboniscono i visitatori offrendo oggettistica religiosa, pesce secco dall’odore pungente, pesci da friggere tenuti vivi in grandi catini, gamberettiYunnanDiario_29.jpg e patate arrosto. Non mancano i noleggiatori d’abiti ed è possibile farsi fotografare nei vestiti tradizionali Dai. L’ultima tappa è stata all’isola di Jinsuo, famosa per le grotte sotterranee ricche di stalattiti, chiamate “Palazzo del dragone di giada”, un’attrazione che fa impazzire i cinesi che amano farsi fotografare qui.

La sera, in un ristorantino di Dali ho ordinato un pesce, la ragazza l’ha afferrato, ma prima di finire arrostito è guizzato in strada cercando di fuggire. L’ho gustato assieme a funghi, asparagi e zucca fritta. Poi mi sono allontanato dalla Huguo Lu e dalla Fuxing Lu, addentrandomi nella periferia, ricca di bui ristorantini e piccole botteghe. Proprio come a Lijiang, la Cina che mi ero dimenticato, l’ho ritrovata stasera.

L’indomani ho assaggiato alcuni dolci tondi di pasta sfoglia ripieni di frutta candita, preparati in occasione della “Festa della luna”, poi sono andato alle “Tre pagode”, il simbolo di Dali, erette nel nono secolo, da ingegneri di Xi’an. La più grande, chiamata Quianxun è alta settanta metri e le gemelle quaranta, tutto il complesso è recintato da un alto muro che ne impedisce la visione d’insieme. Il posto si apprezza maggiormente da lontano, all’interno c’è poco da vedere e il biglietto scandalosamente alto non invoglia ad entrare. Ho iniziato a camminare lungo la cinta e ogni volta che mi avvicinavo ai varchi a pagamento, zelanti controllori mi allontanavano, non permettendomi nemmeno di scattare qualche foto.

Nel pomeriggio sono andato a Xiaguan e ho preso il bus che in sette ore mi porterà a Kunming. Per il primo tratto c’era una moderna autostrada, poi la strada è peggiorata e si saliva per colline e montagne. Stavano rifacendo il manto stradale e si procedeva a passo d’uomo. Ho comprato crackers alla cipolla, carne secca, gamberetti disidratati piccanti e piccoli frutti che sapevano di mostarda, cibi strani che hanno ravvivato il viaggio.

Kunming

L’indomani, dopo l’abbondante colazione al buffet del Camellia Hotel, mi sono dedicato agli acquisti. C’è allegria per le strade e sulle bancarelle, approntate in occasione della “Festa della luna” si vendono, come in una sagra paesana, funghi secchi, insaccati, dolci e the.  Ho visitato il mercato dei fiori e degli uccelli: i bonsai e le piante grasse sono spettacolari e fanno concorrenza ai pesci tropicali e agli uccelli colorati. Ho comprato alcuni pennelli, adatti per esercitarsi nella millenaria arte della bellaYunnanDiario_30.jpg scrittura. Sono di varie misure, da quelli sottili come spaghetti, a quelli enormi. L’acquisto è stato tragicomico perché il commesso li prendeva ad uno ad uno, poi consultava il prezzo e lentamente lo riportava su un foglio a ricalco, leggero come carta velina, da compilarsi in triplice copia. Questo metodo viene utilizzato ovunque, dalle botteghe ai grandi magazzini. Ho acquistato anche la china e un manuale per potermi esercita nel fare ideogrammi.

Con gli ultimi acquisti sono andato all’aeroporto, qui ho dovuto compilare un modulo dove affermavo di non avere la SARS. Le misure preventive sono minime: tutti gli accessi dell’aeroporto hanno in dotazione una telecamera che scannerizza i polmoni, ma nessuno bada ai monitor, prima dell’imbarco ti misurano solo la temperatura corporea.

Nell’attesa del volo per Bangkok ho conosciuto un commerciante di Vicenza, era qui per acquistare funghi e mi ha erudito sull’argomento. A suo parere i funghi migliori sono quelli rumeni della regione di Carpazi, poi vengono i russi e quelli dello Yunnan: le zone di Simao e Lijiang sono la culla del fungo cinese. Il “misto sottobosco”, vale a dire il prodotto surgelato che si trova nei banchi dei supermercati, viene imbarcato nei porti della regione autonoma di Shenzen e in tre settimane arriva in Italia a bordo di navi container. Una curiosità riguarda i funghi porcini che si mettono sulla nostra pizza: sono cinesi, perché si ritiene che siano quelli che reggano meglio la cottura alle alte temperature. Dalla Cina arrivano molte verdure: aglio e cipolle secche, peperoncino, pistacchi, arachidi, mentre per il riso esistono barriere doganali. Il veneto prova ammirazione per il rigido sistema economico cinese, perché qui si lavora molto e l’economia cresce a ritmi spaventosi. Giustifica i metodi coercitivi del regime e disprezza il sistema occidentale, dove a suo dire, la gente si sente appagata.

Poi, mentre l’aereo decollava, pensavo a com’era volato il tempo e come sempre, non riuscivo a capacitarmi del fatto che tutto stava finendo.

 

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