Settembre 2003

YunnanDiario_1.jpgLa regione dello Xishuangbanna è un luogo entusiasmante. Questa non è la vera Cina: la fisionomia delle persone ricorda il sud est asiatico, i templi fanno venire in mente le pagode Birmane e i Wat Thailandesi, mentre la natura lussureggiante, con le coltivazioni di the e caucciù fa pensare alla Malesia.

E’ un posto capace di destare meraviglia e stupore, dove i campi terrazzati ti lasciano a bocca aperta e pensi che siano l’ottava meraviglia del mondo. Ho apprezzato meno il sud est dello Yunnan: Tonghai non offre molto, Janshui con il tempio di Confucio e le antiche abitazioni è stata una piacevole sorpresa, Jejiu intrigava per le luci che si specchiavano nel lago artificiale. Traumatico è stato ritornare, dopo undici anni, a Lijiang e Dali e vedere posti radicalmente cambiati e impossibili da riconoscere. Solo nelle zone più remote si materializzavano i ricordi di una Cina dai ritmi pacati e lenti, non ancora fagocitata dal “vento del rinnovamento” che nel nome del progresso, spazza tutto. Il progresso implica la cementificazione selvaggia e l’abbattimento d’interi quartieri per lasciare posto a centri direzionali, ammodernamenti ed abbellimenti che, come colpi di spugna, cancellano il passato. Nelle città, noti i contrasti con la Cina rurale, con paesini senza fognature e case di mattoni impastati con paglia e terra. Come undici anni fa, ho ritrovato nel popolo cinese una mentalità poco aperta, unita alla paura di confrontarsi con lo straniero. Ho apprezzato le gite in bicicletta e la varietà della cucina, che ha sempre un qualche cosa di misterioso e niente a che vedere con il pollo alle mandorle e gli involtini primavera.

YunnanDiario_2.jpgM’ingegno a passare il tempo tra la lettura dei giornali quotidiani, un panino al prosciutto e una tazza di noodles. Guardo svogliatamente i corridoi di quel luogo asettico che è l’aeroporto di Bangkok, regno della moquette e dell’aria condizionata. In questo posto che ricorda un acquario, i passi delle persone sono felpati e il trillare dei telefonini sembra più discreto del solito. Penso che anche loro abbiano un’anima. In un attimo mi sono ritrovato a Kunming e ho preso un minibus per arrivare a Tonghai, nel sud est dello Yunnan. Il paesaggio è anonimo e il cemento si sta impossessando d’ogni spazio di una brutta periferia con case basse e negozi cubicolo approntati in ex garage, l’unica nota di colore la regalano gli enormi cartelloni pubblicitari con gli ideogrammi. Abbandonata la città, sono comparse serre con la copertura in cellophane, risaie di un colore verde tenero e colline colore ruggine. I contadini coltivano girasoli, riso e granoturco, alcuni vendono gli ortaggi ai bordi delle strade.

Tonghai

A Tonghai ho affittato una stanza al Tonghai Hotel, un edificio con vetri azzurrati che ricorda un centro direzionale. E’ a gestione familiare ed il locale della recepiton, è utilizzato come parcheggio per le biciclette. Le stanze sono spaziose e la mia, sembra lo studio ovale della Casa Bianca. Wow! Per strada circolano taxi quadrati, una via di mezzo tra un tuk tuk thailandese ed un Ape Car italiano. Affiancati ai negozi che vendono attrezzi agricoli e abbigliamento stile “Anni sessanta”, trovi quelli d’elettronica, sono un’attrazione e fanno sognare la gente del posto. Ho ordinato un piatto di noodles, erano scotti e poco appetitosi, poi ho assaggiato i “Si bei ja”, la specialità del posto, biscotti, il cui ingrediente principale sono i fagioli, con aggiunta di sesamo, miele e rose. Sotto la mia camera, alcuni ospiti dell’Hotel giocano d’azzardo, lo sento dal rumore di fiche, dadi e carte. Hanno continuato a fare baccano fino a notte fonda, poi hanno acceso la televisione, impedendomi di dormire.

Alla mattina sono andato al Parco Xiushan che occupa un’intera collina disseminata di templi e pagode, costruite sotto le dinastie Tang e Ming. E’ considerato l’attrazione del posto ed è il motivo principale per cui sono venuto qui, per visitare uno dei maggiori siti buddistiYunnanDiario_3.jpg della Cina del sud. Si percorre un fitto reticolo di sentieri e scalinate che portano ai templi e ai padiglioni, cade una pioggia fastidiosa e c’è un clima autunnale con poca luce, filtrata a malapena dalla vegetazione. Sul percorso si incontrano molti anziani che utilizzano i padiglioni per giocare a majong, a carte o alla dama cinese, c’è chi chiacchiera, chi beve il the conservato nei barattoli di vetro, chi malinconicamente fissa il vuoto,  insomma è un centro d’aggregazione per la terza età. Dalla cima si vedono la città ed il lago Xingyun, chiamato “Oceano dalle ampie onde”.

Nel pomeriggio sono andato al villaggio di Xing Mangxiang, il cui nome significa “Nuovo villaggio mongolo”, si trova ai piedi della catena montagnosa Feng e ci vivono quattromila anime, i discendenti della spedizione di Kublai Khan, avvenuta più di settecento anni fa. Costoro abbandonarono la vita nomade e si stabilirono nello Yunnan per vivere di pesca, ma il recente abbassamento delle acque del lago Quilu li ha convertiti a contadini e muratori. Il villaggio è povero, le strade sono in pietra e mancano le fognature. Le case in mattoni fangosi impastati con paglia, hanno il tetto a forma di pagoda e all’interno c’è un grande cortile quadrato, abbellito da piante rampicanti. I contadini sono impegnati a trasportare le foglie di tabacco appena raccolte. Le donne indossano l’abito tradizionale: pantaloni neri, camicia  e gilet variopinti e uno strano copricapo nero dal quale pende una cordicella colore fucsia. Gli occidentali non sembrano ben visti, non sono accolto da sorrisi e i cani alla catena mi ringhiano addosso. E’ un mondo di povertà e fatica e forse, i discendenti di Kublai Khan mi guardano storto, chiedendosiYunnanDiario_4.jpg cosa sarà venuto a fare qui un occidentale.

Tornato a Tonghai sono andato a cena all’Albert’s Cafe & Bar, di proprietà di un insegnante d’inglese. Albert mi ha raccontato che in marzo, aveva conosciuto due italiani che stavano viaggiando in bicicletta e si erano fermati al suo ristorantino. Una televisione locale li aveva intervistati ed era stata fatto un video. In primavera, a causa di un caso sospetto di SARS, la città era stata blindata e non si poteva spedire nulla, così Albert mi ha affidato il nastro che porterò in Italia. Ho mangiato un anonimo piatto di riso fritto piccante, spacciato come una specialità di Tonghai e ho provato a fumare la sua pipa ad acqua, poi abbiamo fissato un appuntamento per l’indomani.

Alla mattina, Albert è venuto all’Hotel e mi ha portato al mercato a fare colazione, ho ordinato una ciotola di noodles di riso in brodo, lui ha scelto un qualche cosa di più sostanzioso: noodles con costine di maiale in salsa piccante. Non male per iniziare la giornata! Poi siamo stati a visitare una pagoda che si trova su una delle colline che dominano Tonghai, Albert mi ha spiegato che era stata costruita grazie al contributo di una fabbrica di sigarette, a fianco invece, stavano costruendone un’altra, finanziata con il denaro di una ditta di trasformatori elettrici.

Molta gente armata di falcetti e vanghe saliva verso le colline alla ricerca d’erbe medicinali, altri, per lo più uomini anziani trasportavano gabbie con uccelli. Almeno due volte al giorno vengono qua, perché si dice che l’aria di collina aiuti i pennuti nel bel canto. Le gabbie di legno sono lavorate a mano e nel trasporto vengono coperte con un pesante panno scuro.

Janshui

Dopo avere pranzato al locale d’Albert, ho preso un minibus per Janshui: la strada è un “mangia e bevi” eYunnanDiario_5.jpg si fa su e giù tra colline e pianure. Stanno costruendo un’autostrada e fra breve sarà più facile raggiungere questa regione. Anche qui mancano fabbriche e industrie, ogni centimetro del terreno è coltivato: i contadini vendono per strada i prodotti della terra, soprattutto enormi melograni. In tre ore siamo arrivati a Janshui e ho trovato una camera al Garden Hotel, la stanza è dignitosa ma tutto è lasciato in uno stato di semi abbandono per la mancanza di manutenzione: ci sono tende rotte, lampadine fulminate, paralumi storti. Un ostacolo è rappresentato della lingua perché occorre ingegnarsi per farsi capire. Ho percorso le vie Janzhong Lu, Beizheng Jie e Chaoyang Beilu che formano un triangolo e sono l’ossatura della città. Non ho trovato un ristorantino che stuzzicasse l’appetito, a parte le pasticcerie che offrivano rinfrescanti granite e frullati alla frutta, così mi sono fermato in una bancarella dove arrostivano verdure e altre prelibatezze come locuste e grilli. Il cuciniere continuava a spennellare le vivande con una salsa al peperoncino e mi sono venute le lacrime agli occhi: l’esperienza è stata fiammeggiante e la cena disgustosa.

L’indomani, ho cercato di visitare il Monastero Zhilin, costruito sotto la dinastia Yuan e considerato un capolavoro per la finezza degli intagli lignei. Ho chiesto informazioni e i miei interlocutori continuavano a farmi fare su e giù per la Janzhong Lu. Un cinese, forse impietosito, ha fatto un paio di telefonate col suo cellulare, poi se n’è andato senza dire nulla. A quel punto ho abbandonato le ricerche e mi sono diretto verso il tempio di Confucio, una costruzione del tredicesimo secolo che ricorda quella esistente aYunnanDiario_6.jpg Qufu, la sua città natale, nella provincia dello Shandong. Copre una superficie di 7,5 ettari ed è stata rinnovata più di cinquanta volte! Se si decide di visitarlo entrando dalla Janzhong Lu, ci si trova davanti il lago Xue (mare), sembra enorme ed è ricoperto da un folto tappeto di fiori di loto. Sullo sfondo s’intravede il tempio, è colorato e ricco di porte rosse e padiglioni, ma le brutte case in cemento che l’attanagliano, gli fanno perdere parte del fascino che merita.

Molte case possiedono portoni lignei intagliati, alte mura e un cortile quadrato interno. Sono dell’inizio del secolo scorso o più antiche, è un peccato vedere lo stato d’abbandono in cui versano, ma i proprietari hanno altri problemi cui pensare: primo tra tutti, riempirsi la pancia. Per combattere la sete mi sono difeso bevendo the verde ghiacciato, poi sono stato al giardino della famiglia Zhu, un parco abbellito da stagni, piante esotiche e curatissimi bonsai.

 

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