Ho preso un bus verso le grotte di Perak Tong, si trovano a sei chilometri da Ipoh, in direzione di Kuala Kangsar. Queste grotte calcaree furono trasformate in templi buddisti a partire dal 1926, da un monaco cinese e rappresentano la principale attrazione nei dintorni della città. All’interno, ci sono tante pareti affrescate e statue, al centro della grotta principale c’è un’immagine dorata del Buddha seduto, misura quasi tredici metri in altezza ed è la più grande del Paese. E’ un posto originale, le grotte affrescate si susseguono una dietro l’altra e a mano a mano che si prosegue diventano sempre più piccole, poi si percorre una scalinata di 385 gradini che porta fino alla parte superiore della caverna: mentre ci s’inerpica, se si guarda all’insù, si vede una lama di luce che fuoriesce dalla spaccatura della roccia. Le scale costruite attorno al ventre della montagna sono ripide e minuscole, il percorso assomiglia a quello di una piccola “muraglia cinese”. Quando si arriva in cima e si esce all’aria aperta, si continua a camminare, è un susseguirsi di pagode bianche e rosse con i tetti arancioni e si ha una vista a 360° su Ipoh e sulle colline circostanti. I visitatori sono per lo più cinesi che parlano il mandarino, ancora una volta, mi chiedo se mi trovo in Cina od in Malaysia.

Nel tardo pomeriggio sono partito per le Cameron Highlands, per questa stazione di villeggiatura ubicata a 1.524 metri d’altitudine, voluta da un funzionario di governo, Lord William Cameron che la “scoprì” nel 1885. In questi altopiani, gli inglesi crearono piantagioni di tè, di frutta ed ortaggi e i proprietari delle piantagioni e gli alti funzionari si fecero costruire case per trascorrervi i fine settimana. Ci sono numerosi sentieri che si addentrano nella giungla e bisogna prestare una certa attenzione perché è facile perdersi. Qui nel 1967 si persero le tracce del magnate americano della seta Jim Thomson che costruì le proprie fortune in Thailandia. Ancora oggi si favoleggia sulla sua scomparsa, su di lui sono stati scritti alcuni libri e ci sono diverse teorie sulla sua presunta morte: ucciso da commercianti rivali, mangiato da una tigre od eliminato perché era una spia comunista. L’ultima tesi dice che fu investito accidentalmente da un camionista malaysiano che poi n’occultò il cadavere.

Cameron Highlands

Le Cameron Highlands si trovano nello Stato del Pahang, ma sono raggiungibili solo dal Perak, in sequenza, s’incontrano Ringlet, Tanah Rata e Brinchang, i tre villaggi delle Highlands. Dalla pianura si passa alle colline immerse nella vegetazione tropicale, con foreste di conifere, palme della giungla, grosse felci e canneti di bambù. Quando siamo arrivati, l’aria era frizzante e bisognava indossare il golf. Dopo numerose ricerche ho trovato un letto al dormitorio del “Daniel’s Lodge”, in 9 Lorong Perdah, dall’esterno il posto assomigliava ad un cottage inglese, la stanza invece, con i letti in fila uno a fianco dell’altro e con i vestiti degli ospiti un po’ ovunque assomigliava (per la confusione), a quella di Pippi Calze Lunghe. Alle pareti, “allegri cartelli” indicavano “No food!!! No Rats!!!”.

Alla mattina l’aria era frizzante e primaverile, ho prenotato un tour guidato, che in minibus mi porterà nei luoghi principali dell’altopiano. Continuo a guardarmi attorno e a stupirmi per il paesaggio: per le colline verdi e il cielo blu, ma la sorpresa maggiore l’ho avuta al risveglio, per essermi ritrovato in questo posto montano, così diverso da autentiche “città fornace” come Ipoh o Georgetown. La prima sosta è stata al tempio buddista di San Pho che si erge su una collinetta ed è in stile cinese, è bello e colorato, ma dopo la visita al tempio di “Kek Lok Si” e quelli di Taiwan (visitati appena pochi mesi fa) sono stufo e non ne posso più. Abbiamo visitato un vivaio di rose e d’altre piante floreali, ho camminato per i terrazzamenti fino ad arrivare ad un punto panoramico con vista sulle coltivazioni d’ortaggi attorno a Brinchang. Siamo poi andati a visitare una piantagione di fragole, una di tè (dove gli occhi si perdevano all’infinito tra i bassi cespugli), un’apicoltura, un allevamento di farfalle (le più belle erano di colore blu scuro ed avevano un’apertura alare di oltre dieci centimetri) ed abbiamo terminato il tour con la visita al mercato della frutta, qui ho acquistato alcune mele delle Cameron (sembravano melanzane) e i Tamarilli, strani frutti rossi a forma di goccia che ho ritrovato al supermercato della mia città: apprendendo così che anche un supermercato può essere fonte di conoscenza.

Tornato a Tanah Rata ho pranzato in un ristorante indiano, ordinando un’insalata piccante d’ananas e cipolle e del pollo speziato. Nel pomeriggio mi sono incamminato per il “sentiero numero otto” e ho raggiunto le cascate Robinson, il sentiero era stretto e pianeggiante solo per brevi tratti, dal terreno affioravano grandi radici modellate a mo di scalini, molto utili per tenersi in equilibrio. Attorno c’era una fitta giungla e la luce del sole perforava a malapena la foresta. Mentre camminavo, cercavo di guardare dove mettevo i piedi, perché oggi avevo visitato un rettilario con serpenti, “scarafaggi rinoceronte” e scorpioni. Ho fatto merenda in un bar gestito da una famiglia mussulmana con tè e banane fritte, poi alla Guest House mi sono seduto in veranda a leggere i quotidiani malesi. La sezione “esteri” era dedicata all’Indonesia ed in particolare al mondo mussulmano, i quotidiani Thai invece, prediligevano i fatti del Sud Est Asiatico. Ho cenato con “pollo tandori” (chiamato così per via della pentola di terracotta nella quale è cucinato) ed ho pasteggiato con limonata caldissima, come al solito, in Malaysia, accompagno le pietanze con le bevande più assurde. Prima di andare a letto, ho inviato messaggi e-mail in Italia.

La mattina sono tornato ad Ipoh, il bus era al completo, così sono dovuto andare prima a Tapah e poi a Kamunting. La strada attraversava le piantagioni di tè, il paesaggio era interessante. Ad Ipoh ho prenotato il ritorno in Thailandia, la corriera partirà all’una e trenta di stanotte, poi mi sono diretto a Kuala Kangsar che dista cinquanta chilometri (un’ora e trenta d’autobus).

Kuala Kangsar

La cittadina è bagnata dal fiume Perak ed è contornata dal verde e da basse colline, ci sono case in stile inglese e giardini fioriti con aiuole ben curate, nell’aria ci sono odori floreali trasportati dal vento che cambiano continuamente: su tutto predomina un sentore di miele. L’attrazione principale è la “Moschea Ubudiah”, fatta costruire dal ventottesimo Sultano del Perak, sua altezza Idris Murshidul’Adzam Shah (1887 – 1916). Una targa afferma che durante la cerimonia della circoncisione di Raja Khalid (figlio del Sultano Abdul Jahl), due elefanti imbizzarriti del “corteo reale” combatterono proprio qui, sul luogo dove si stava costruendo la moschea e sia il marmo italiano sia gli altri materiali da costruzione andarono in pezzi o rimasero danneggiati. A causa dello scoppio della prima guerra mondiale, le navi provenienti dall’Italia che trasportavano i materiali dovettero allungare il percorso e passare per il Capo di Buona Speranza, così la moschea, iniziata a costruire nel 1913, fu terminata solo nel 1917 da Abdul Jalil Karamatullah Sham, il successore del Sultano Idris.

La moschea assomiglia ad un’attrazione Disneyana con Topolino come protagonista, sembra “finta” ma è reale: al centro della costruzione troneggia una cupola dorata di rame a forma di cipolla, i cortili interni ed i pavimenti sono in marmo bianco e nero, le arcate in stile moresco sono sorrette da colonne marroni. E’ un posto che sorge nel nulla, un luogo fiabesco come quelli narrati in racconti come “Le mille ed una notte” o “Ali Babà ed i quaranta ladroni”. Le vie di Kuala Kangsar sono semi deserte, il sole batte forte ed il traffico è inesistente, ai lati delle strade è tutto un fiorire di buganvillee viola e di fiori tropicali bianchi, qua e là spunta qualche palma. Ho raggiunto il nuovo palazzo del sultano, “l’Istana Iskandariah”, collocata all’interno di un bel parco, contornato da una cancellata invalicabile. Oltre l’inferriata si vede la nuova residenza, una costruzione bianca con le cupole dorate. Poco avanti c’è “l’Istana Kengan” che era l’abitazione del sultano Iskandar Shan, ora è un museo, è tutta in legno e dipinta di giallo e nero.

Costeggiando il fiume Perak sono tornato verso la stazione dei bus, molte persone passeggiano e c’è chi pesca o fa ginnastica, vicino all’imbarcadero ci sono ristorantini e bancarelle all’aperto. Il sole sta tramontando e tutto si colora di rosso, è una situazione idilliaca da giardino dell’Eden ed io sto bene. Kuala Kangsar è stato il posto che mi ha affascinato di più. A tarda sera sono tornato ad Ipoh, non ci sono negozi aperti, sembra di passeggiare in una città fantasma e non mi piace muovermi da solo in questo deserto: sono entrato nell’unico ristorantino aperto e ho ordinato l’ultima cena in terra malese. L’una e trenta di notte è arrivata in fretta, il bus con ampie poltrone simili alla “business class” di un aereo, è bello e comodo.

Alle sei d mattina siamo arrivati in frontiera, c’erano già tanti autobus provenenti dalla Malaysia e da Singapore e mi sono messo in fila al controllo passaporti, i bus tenevano in funzione il motore e ammorbavano l’aria, fuori era ancora notte fonda. A Hat Yai ho preso un minibus per Ko Samui e nel tardo pomeriggio sono arrivato sull’isola.

 

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