La strada era buia, era
aperto qualche
All'alba sono stato svegliato dai galli e dalla luce che entrava nella camera, mancava ancora l'acqua corrente, così mi sono trasferito al Vanhaloun Hotel dove la camera costava anche meno. Sono poi andato alla Lao Aviation per confermare il ritorno a Luang Prabang, l'ufficio si trova in un edificio simile ad una baita di montagna in stato dabbandono, l'unico impiegato affoga in un mare di fogli scritti a penna: sono le liste dei passeggeri. Dopo una colazione con uova al tegamino e caffè dolcissimo, sono
partito con i miei "Compagni di giare", per lescursione più
enigmatica di tutto il Laos. Sono già stati scoperti una ventina di siti con
le giare, ma solo tre sono visitabili. Non si sa quale fosse la funzione delle giare:
Con la Jeep siamo partiti per il Sito numero uno chiamato Thong Hai Hin, è il sito più grande e ci sono circa duecentocinquanta giare di pietra, il loro peso varia dai seicento chilogrammi alla tonnellata e la più pesante supera le sei tonnellate. E strano vedere tutte queste giare, per la maggior parte sono sotterrate a metà, non ce nè nemmeno una dritta, sono tutte oblique e pendono verso destra o verso sinistra. Il sito potrebbe essere visto come un'accozzaglia di massi di granito, ma il bello del Piano delle Giare non è il vedere queste giare dogni forma e dimensione: la cosa che affascina è l'alone di mistero che aleggia tutto attorno, il non sapere quale fosse il loro uso, soprattutto in unepoca come la nostra, dove esistono solo certezze, e tutto è tecnologia e razionalità. Una particolarità di
questa provincia, lo Xieng Khuang è che ci sono una quantità imprecisata di bombe e mine
inesplose, eredità della guerra del Vietnam: ogni anno muoiono dalle sessanta alle
ottanta persone, di cui il 40% sono bambini che ci finiscono sopra o che maneggiano
incautamente gli ordigni. Abbiamo pranzato in un villaggio, con le banane che ci ha procurato Donghom, la nostra guida: sono così dolci che ricordano la frutta candita. Davanti alle abitazioni cerano bombe dogni grandezza (ormai inoffensive), nella scuola c'era una parete intera con disegni che spiegavano come comportarsi davanti ad ordigni inesplosi. Siamo poi stati al Sito numero tre, dove c'erano altre Giare, abbiamo costeggiato i verdissimi campi di riso, di canna da zucchero, davocado e banane e abbiamo raggiunto a piedi la cima di una collina da dove si dominava la pianura. Gerard imprecava e borbottava perché da quassù si gustava solo un magnifico panorama e non c'erano giare. Mentre mi arrampicavo ho rotto definitivamente i calzoni e stasera li eliminerò. Abbiamo raggiunto un altro gruppo di giare, in una di queste c'erano più di cinquanta Buddha di terracotta, tutti somiglianti e alti non più di quindici centimetri. Donghom li ha tolti dalla giara che li conteneva, con il coltello scavava e continuava ad estrarli. La lama non era lideale e venivano alla luce con le teste mozzate. Poi li ha risotterrati: alla nostra domanda sul nesso fra Buddha e giare, ci ha detto che nessuno lo sapeva. Volevo portarne a casa uno come ricordo, ma dietro l'ammonimento di Philip: "I Buddha appartengo ai Lao!" ho desistito. Infine siamo stati al Sito numero due, dove le giare erano più grandi che nei due siti precedenti. Donghom ha ricominciato a scavare e ha trovato ancora statuette, continuando a decapitarle. Dopo l'overdose di
giare siamo tornati a Phosavan, abbiamo cenato al Sangah Restaurant,
La mattina sono tornato alla Lao Aviation per avere certezze sul volo per Luang Prabang, l'impiegato ha preso la lista dei passeggeri, ha cancellato il mio nome e mi ha inserito in un'altra, assicurando che il volo sarà nel pomeriggio. Oggi mi congedo dai "Compagni di giare" perché tornano in aereo a Vientiane. Prima di salutarci abbiamo fatto colazione assieme e ben presto, il tavolo si è riempito di cibi nefasti. Ho ordinato uova al tegamino infarcite con ketchup, Tom ha messo nella baguette del bacon e ora la mangia fissando il vuoto, Gerard ha ordinato una semplice omelette e Philip ha fatto la cosa più nauseante che un italiano possa vedere a quest'ora del mattino: uova sode, condite con senape e ketchup, infilate nella baguette. Sono andato al mercato, oltre
ai banchi che offrivano frutta, prodotti cinesi e thai, ho visitato il reparto degli
animali. Piccoli maialini erano "inscatolati" in gabbie fatte di bambù e per la
mancanza di spazio, sembrava che non riuscissero a respirare, la stessa sorte era
riservata ad anatre e polli. In grossi catini pieni d'acqua c'erano pesci simili a piccole
anguille che strisciavano come serpenti, in altri, rane e pesci gatto. Una bancarella
vendeva degli alveari con allinterno larve bianche da mangiare vive.
Ho fermato un “Tuk-tuk” per raggiungere l'aeroporto, abbiamo caricato anche una carriola che ci ha fatto compagnia. La strada è una pista di terra rossastra devastata dalle piogge monsoniche e il mezzo slitta continuamente. Ogni casa possiede come “souvenir” una o più bombe, sembra che tenerne una in giardino sia un segno di distinzione: l’Hotel dove alloggiavo, n’aveva talmente tante che occupavano una parete intera. L'aeroporto ha una sala d’aspetto simile a quella di una stazione ferroviaria di campagna. Non c'è nessun controllo del bagaglio, il pilota, con in mano due sacchetti di verdura si è incamminato verso l'aereo e prima di salire ha fatto pipì dietro un cespuglio. Il tempo è brutto, non è confortante sapere che stiamo facendo un “volo a vista”. Le nuvole non sono bianche e spumeggianti, ma hanno un aspetto inquietante e sinistro, guardo fuori dal finestrino e cerco con gli occhi il Mekong, vederlo, significa essere vicini alla meta.
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