La strada era buia, era aperto qualche ristorantino dove nessuno mangiava, tutti erano ipnotizzati davanti alla TV, in altri locali si giocava a biliardo. Il mio albergo, avvolto nell'oscurità, sembra ancora più fatiscente: la scalinata che porta alle camere è tappezzata con scritte che ammoniscono di stare “attenti alla testa", un cartello ricorda che la corrente elettrica c'è solo ad orari prestabiliti e che la direzione si scusa per la possibile, ma “reale” mancanza d’acqua corrente. La camera è in condizioni precarie, le lenzuola hanno un colore indefinibile (fortunatamente ho il sacco a pelo), il letto è formato da quattro assi messe in croce, ci sono calcinacci un po’ dappertutto e il quadro degli interruttori e delle spine è un groviglio di fili. Fatico anche ad addormentarmi, per la musica "live" proveniente dal matrimonio.

All'alba sono stato svegliato dai galli e dalla luce che entrava nella camera, mancava ancora l'acqua corrente, così mi sono trasferito al “Vanhaloun Hotel” dove la camera costava anche meno. Sono poi andato alla “Lao Aviation” per confermare il ritorno a Luang Prabang, l'ufficio si trova in un edificio simile ad una baita di montagna in stato d’abbandono, l'unico impiegato affoga in un mare di fogli scritti a penna: sono le liste dei passeggeri.

Dopo una colazione con uova al tegamino e caffè dolcissimo, sono partito con i miei "Compagni di giare", per l’escursione più “enigmatica” di tutto il Laos. Sono già stati scoperti una ventina di siti con le giare, ma solo tre sono visitabili. Non si sa quale fosse la funzione delle giare: LaosDiario_18.jpg (16332 byte)c'è chi ipotizza che fossero dei contenitori per il riso o per fare fermentare il vino, oppure dei sarcofagi, ma nessuna teoria è confermata. Dovrebbero avere circa duemila anni, ma l'assenza di sostanze organiche al loro interno (come ossa o cibo), ne rende impossibile qualsiasi datazione. Una leggenda locale afferma che nel sesto secolo, un eroe locale chiamato Khun Jeuam le fece costruire per festeggiare la vittoria su Chao Angka. Le giare che contenevano il vino per brindare alla vittoria, sarebbero fatte con pelle di bufalo, sabbia e zucchero di canna, e sarebbero state cotte in una grotta vicina.

Con la Jeep siamo partiti per il “Sito numero uno” chiamato “Thong Hai Hin”, è il sito più grande e ci sono circa duecentocinquanta giare di pietra, il loro peso varia dai seicento chilogrammi alla tonnellata e la più pesante supera le sei tonnellate. E’ strano vedere tutte queste giare, per la maggior parte sono sotterrate a metà, non ce n’è nemmeno una dritta, sono tutte oblique e pendono verso destra o verso sinistra. Il sito potrebbe essere visto come un'accozzaglia di massi di granito, ma il bello del “Piano delle Giare” non è il vedere queste giare d’ogni forma e dimensione: la cosa che affascina è l'alone di mistero che aleggia tutto attorno, il non sapere quale fosse il loro uso, soprattutto in un’epoca come la nostra, dove esistono solo “certezze”, e tutto è tecnologia e razionalità.

Una particolarità di questa provincia, lo Xieng Khuang è che ci sono una quantità imprecisata di bombe e mine inesplose, eredità della guerra del Vietnam: ogni anno muoiono dalle sessanta alle ottanta persone, di cui il 40% sono bambini che ci finiscono sopra o che maneggiano incautamente gli ordigni.LaosDiario_19.jpg (15419 byte) Durante la guerra del Vietnam, gli americani sganciarono nel Laos del nord 1.9 milioni di tonnellate di bombe, l’equivalente di dieci tonnellate per chilometro quadrato, o mezza tonnellata a testa per ogni persona che vive nel Paese. Nei dintorni del “Sito numero uno”, abbiamo visto molti crateri provocati da bombe e ordigni inesplosi abbandonati nei campi. Il fatto di camminare qui, ed il pensare che sotto di noi ce ne possano essere d’inesplose, provoca in me uno stato di paura e d’eccitazione.

Abbiamo pranzato in un villaggio, con le banane che ci ha procurato Donghom, la nostra guida: sono così dolci che ricordano la frutta candita. Davanti alle abitazioni c’erano bombe d’ogni grandezza (ormai inoffensive), nella scuola c'era una parete intera con disegni che spiegavano come comportarsi davanti ad ordigni inesplosi. Siamo poi stati al “Sito numero tre”, dove c'erano altre Giare, abbiamo costeggiato i verdissimi campi di riso, di canna da zucchero, d’avocado e banane e abbiamo raggiunto a piedi la cima di una collina da dove si dominava la pianura. Gerard imprecava e borbottava perché da quassù si gustava solo un magnifico panorama e non c'erano giare. Mentre mi arrampicavo ho rotto definitivamente i calzoni e stasera li eliminerò.

Abbiamo raggiunto un altro gruppo di giare, in una di queste c'erano più di cinquanta Buddha di terracotta, tutti somiglianti e alti non più di quindici centimetri. Donghom li ha tolti dalla giara che li conteneva, con il coltello scavava e continuava ad estrarli. La lama non era l’ideale e venivano alla luce con le teste mozzate. Poi li ha risotterrati: alla nostra domanda sul nesso fra Buddha e giare, ci ha detto che nessuno lo sapeva. Volevo portarne a casa uno come ricordo, ma dietro l'ammonimento di Philip: "I Buddha appartengo ai Lao!" ho desistito. Infine siamo stati al “Sito numero due”, dove le giare erano più grandi che nei due siti precedenti. Donghom ha ricominciato a scavare e ha trovato ancora statuette, continuando a decapitarle.

Dopo “l'overdose di giare” siamo tornati a Phosavan, abbiamo cenato al “Sangah Restaurant”, LaosDiario_20.jpg (15736 byte)con pollo speziato e riso: chiedo sempre "riso fritto" ma mi portano "riso in bianco". Nel menù ho notato un "Fried morning glory" e un’inquietante "Placenta salad". Fuori ha iniziato a piovere, inevitabilmente quando fa notte, diluvia. Tornando verso il “Vanhaloun Hotel” sono finito in un’enorme pozza, bagnandomi da capo ai piedi, era talmente grande che ci si poteva nuotare dentro, lo zaino trasudava d’acqua e nel cratere ho perso il cappello.

La mattina sono tornato alla “Lao Aviation” per avere “certezze” sul volo per Luang Prabang, l'impiegato ha preso la lista dei passeggeri, ha cancellato il mio nome e mi ha inserito in un'altra, assicurando che il volo sarà nel pomeriggio. Oggi mi congedo dai "Compagni di giare" perché tornano in aereo a Vientiane. Prima di salutarci abbiamo fatto colazione assieme e ben presto, il tavolo si è riempito di cibi nefasti. Ho ordinato uova al tegamino infarcite con ketchup, Tom ha messo nella baguette del bacon e ora la mangia fissando il vuoto, Gerard ha ordinato una semplice omelette e Philip ha fatto la cosa più nauseante che un italiano possa vedere a quest'ora del mattino: uova sode, condite con senape e ketchup, infilate nella baguette.

Sono andato al mercato, oltre ai banchi che offrivano frutta, prodotti cinesi e thai, ho visitato il reparto degli animali. Piccoli maialini erano "inscatolati" in gabbie fatte di bambù e per la mancanza di spazio, sembrava che non riuscissero a respirare, la stessa sorte era riservata ad anatre e polli. In grossi catini pieni d'acqua c'erano pesci simili a piccole anguille che strisciavano come serpenti, in altri, rane e pesci gatto. Una bancarella vendeva degli “alveari” con all’interno larve bianche da mangiare vive. LaosDiario_21.jpg (20768 byte)C’erano anche venditori di noodles freschi e secchi, salsicce con chissà quali ingredienti, grossi pezzi d’intestino fumante, interiora d’ogni tipo, lingue di maiale, cuori che sembravano pulsare, reni e polmoni, anatre disposte in fila con le zampe ritte sull'attenti, come se fossero pronte per un macabro balletto. Era un festival alimentare che non stuzzicava il mio appetito. Nel reparto delle verdure, fra immensi ceppi di lattuga, c'era un angolo con erbe, pezzi di corteccia e bacche: sembrava il corredo d’ogni fattucchiera che si rispetti. In quello delle stoffe e delle stoviglie, dopo infinite contrattazioni ho acquistato due borse da "figlio dei fiori" e tre scialli delle tribù Hoon: al momento del congedo, la venditrice mi ha regalato due mele.

Ho fermato un “Tuk-tuk” per raggiungere l'aeroporto, abbiamo caricato anche una carriola che ci ha fatto compagnia. La strada è una pista di terra rossastra devastata dalle piogge monsoniche e il mezzo slitta continuamente. Ogni casa possiede come “souvenir” una o più bombe, sembra che tenerne una in giardino sia un segno di distinzione: l’Hotel dove alloggiavo, n’aveva talmente tante che occupavano una parete intera. L'aeroporto ha una sala d’aspetto simile a quella di una stazione ferroviaria di campagna. Non c'è nessun controllo del bagaglio, il pilota, con in mano due sacchetti di verdura si è incamminato verso l'aereo e prima di salire ha fatto pipì dietro un cespuglio. Il tempo è brutto, non è confortante sapere che stiamo facendo un “volo a vista”. Le nuvole non sono bianche e spumeggianti, ma hanno un aspetto inquietante e sinistro, guardo fuori dal finestrino e cerco con gli occhi il Mekong, vederlo,  significa essere vicini alla meta.

 

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