Un “Tuk-tuk” mi ha poi portato al “Pha That Luang”, il wat più sacro di tutto il Paese, simbolo della religiosità Buddista e della sovranità Lao. Dall’esterno assomiglia ad una fortezza quadrangolare: è stato appena ridipinto d'oro e ricorda un'attrazione Disneyana. Sembra un luogo asettico e non un fervente luogo di culto. Qui ho conosciuto Bounianh, un novizio diciottenne che mi ha portato nella sua cella per mostrarmi libri e foto.

Sono poi andato in un ristorantino all'aperto sulla riva del Mekong e ho mangiato "tam maak-hung" (insalata di papaya): i suoi ingredienti (papaya acerba, succo di limone, aglio, peperoncino e vegetali) erano sminuzzati e pestati in un gran mortaio per poi essere serviti. Mentre aspettavo, ho assaggiato una specialità locale: salatini croccanti fatti con la pelle del maiale. Il cielo è nero che più nero non si può, il fiume è del solito colore mattone e le nuvole divorano la luce con una velocità pazzesca, in lontananza sta scomparendo anche l'ultimo raggio di sole e sembra che debba arrivare la fine del mondo. Il vento sta rovesciando stoviglie e bicchieri, le pagine del mio quaderno si agitano e la pioggia mi arriva addosso da tutte le parti: anche l’umore è altalenante come il tempo atmosferico.

Tornato alla Guest House mi sono addormentato. Fuori piove, ma il rumore dell'acqua mi ha risvegliato: vorrei uscire ancora un po’, ma l'intensità della pioggia, l'idea di fare un continuo slalom nelle strade poco asfaltate e piene di pozze, mi fanno desistere.  Mentre pensavo a come concludere la serata, LaosDiario_7.jpg (15354 byte)ho fissato un cartello affisso alla porta della stanza: ricordava che era vietato il gioco d’azzardo, l’uso di droghe e introdurre prostitute in camera. I contravventori sarebbero stati puniti con la prigione. Intimorito dal messaggio sono tornato a dormire e mi sono svegliato l’indomani.

Oggi lascio Vientiane, andrò verso il nord del Paese, destinazione Vang Vieng: il viaggio di 160 chilometri è durato quattro ore, la strada correva veloce ed era ben asfaltata. Il tempo è clemente, con nuvole basse e qualche squarcio di blu nel cielo, il paesaggio è un continuo susseguirsi di risaie, alberi di banane e arbusti di bassa statura, in lontananza appaiono le prime colline, tutte verdissime. Nei canali c’è qualche pescatore, alle case in muratura iniziano a sostituirsi quelle in bambù con il tetto in paglia: poggiano su palafitte e sembrano sospese nel vuoto.

Vang Vieng

La maggiore attrazione di Vang Vieng sono le colline calcaree, i tunnel e le caverne che si trovano lungo la riva del fiume Nang Song. Ho noleggiato una bicicletta e mi sono diretto alla caverna più famosa, la “Tham Jang”, con stalattiti e stalagmiti. Per il fresco che c'è al suo interno, sembra che ci sia l’aria condizionata, invece quando si esce si è assaliti dall'umidità. Ci sono molte sorgenti d’acqua cristallina e ne ho approfittato per fare un bagno. Vang Vieng, la sua gente, l'assenza di mezzi motorizzati, sono un posto ideale per rilassarsi.

Scrivo davanti ad una bottiglia di Beerlao che è un po’ il simbolo del Paese, infatti, in tutti i negozi e sui “Tuk-tuk” ci sono adesivi che la reclamizzano: la Thailandia è ricordata come “Il Paese del sorriso”, la Birmania per i templi d'oro, il Laos lo ricorderò per la Beerlao. Si potrebbe parlare del Sud Est AsiaticoLaosDiario_8.jpg (17135 byte) per le sue birre: in Indonesia c'è la Bintang, in Birmania la Mandalay, nelle Filippine la San Miguel, a Singapore e in Malesia la Tiger, in Thailandia la Singha, in Cambogia l'Angkor, mentre in Vietnam si beve Saigon Export e Biere Larue, nei menu si legge una parola misteriosa, "Bia Hoi" che significa birra alla spina.

Ho scritto un po’ di cartoline e ho adempiuto a questo rito noioso, cui non riesco mai a sottrarmi: chi mai le avrà inventate? Il centro di Vang Vieng è una strada con negozi e ristorantini, ma un centro vero e proprio non esiste. Nel buio del tardo pomeriggio (alle sei di sera è già notte), ogni posto sembra uguale all'altro, sono entrato a caso in uno di questi, e ho cenato con riso e vegetali. Prima di andare a dormire mi sono fermato a parlare con la proprietaria della “Nana Guest House”, l’alberghetto dove alloggio. Fuori ha iniziato a piovere seriamente, ma se di notte piove e di giorno c'è il sole, non mi posso lamentare.

L’indomani ho deciso di fare un tour nelle grotte, n’esistono tantissimi, organizzati da Guest House e ristorantini, ho scelto quello del “Nang Boat Restaurant”. La pubblicità che promuoveva il tour diceva: "Il mio nome è Mr. Keo, sono la guida migliore è più professionale, con me passerai una giornata indimenticabile!". Mr. Keo ci ha caricati su un “Tuk-tuk” e siamo partiti con delle grosse camere d'aria da camion sistemate sul tetto. La giornata si concluderà con la discesa del fiume Nang Song, con l’ausilio di questi strani mezzi di navigazione. Ci siamo incamminati a piedi per le campagne: attorno c’erano tante colline calcaree ricoperte da una vegetazione tropicale, si attraversavano le risaie, che con la luce del sole,LaosDiario_9.jpg (10993 byte) variavano continuamente colore. Passavano dal verde tenero, a sfumature sempre più accese e decise, come i verdi dei quadri di Van Gogh. Abbiamo attraversato il fiume con una piroga che ci ha traghettato sull'altra sponda: dall’altra parte c’erano la “Grotta dell'Elefante” (Tham Xang Cave) che conteneva una stalattite simile ad un pachiderma e una grande impronta del piede di Buddha, poi abbiamo proseguito, incontrando numerosi villaggi Mon.

Non amo passare per i villaggi delle minoranze etniche, mi sembra di invadere la loro “privacy” e di essere in uno zoo. Costeggiando campi di riso e canali d’irrigazione, siamo arrivati ad un'altra grotta immersa nell'acqua. L’abbiamo visitata nuotando, poi abbiamo pranzato con del riso: come contorno c’era un'alga che le tribù Mon raccolgono nei canali. Per raggiungere l’ultima grotta, ci siamo arrampicati su per una collina, all'ingresso, a chi non aveva la torcia elettrica è stato data una candela e nella semi oscurità è iniziata l'esplorazione. Abbiamo camminato per quasi un chilometro, nella grotta scorreva un fiume e l'acqua arrivava oltre la cintola, arrivati in fondo c'era una pozza ed era possibile fare il bagno. Un neozelandese del gruppo ha perso una ciabatta e ha dovuto terminare il percorso a piedi nudi.

E’ poi iniziata la parte più frizzante della giornata: la discesa del fiume con le camere d'aria fino a Vang Vieng. Ho sbagliato approccio con il mio mezzo di navigazione, infatti, tutti stavano seduti a cavalcioni, io invece l'ho indossato come un salvagente e facevo fatica a tenermi in equilibrio, per non toccare le rocce del fiume. La discesa è stata emozionante: potevo guardare con occhi privilegiati, LaosDiario_10.jpg (12441 byte)sia il fiume che le montagne, e ascoltare il rumore dell'acqua e i suoni che provenivano dalla foresta. Per cena avevo appuntamento con i ragazzi del gruppo, ma non ho trovato il ristorantino, a malincuore ho mangiato solo. Ho terminato la serata davanti ad un “Banana milkshake”: nel frattempo, come da copione, ha iniziato a piovere, è la solita pioggia dirompente e rumorosa che sembra debba spaccare il mondo, invece porta solo refrigerio.

Alla mattina, dopo avere rifatto lo zaino, sono partito per la stazione degli autobus, destinazione Luang Prabang: la proprietaria della Guest House mi ha regalato acqua e banane per il viaggio. Il tempo è nuvoloso e le nuvole basse avvolgono le colline, ai lati della strada ci sono case in bambù sorrette da palafitte. La strada è ben tenuta con poche buche. Piove fitto e spesso si viaggia immersi nelle nuvole. Stiamo attraversando il tratto della “Route 13” vicino Kasi, dove occasionalmente ci sono attacchi perpetrati dai guerriglieri Hmong. Ci sono molti posti di controllo dell'esercito Lao e case, dove i soldati vivono con le loro famiglie: mi hanno spiegato che una tecnica contro la guerriglia, è quella di mantenere bassa l'erba ai bordi della strada, per evitare imboscate. Passando per i villaggi, i bambini agitano continuamente le loro manine, è un continuo e cantilenante "sabaai-dii sabaai-dii" esce dalle loro piccole bocche. Ci siamo fermati per pranzare, nei ristorantini nessuno cucina e tutti acquistano krekers e patatine.

Luang Prabang

In sette ore abbiamo coperto 280 chilometri, mi sono fatto lasciare alla “Souan Savan Guest House”. Luang Prabang consta di ben trentadue templi sui sessantasei costruiti prima della colonizzazione francese. LaosDiario_11.jpg (16705 byte)Il suo cuore è una penisola, lunga circa un chilometro e larga duecentocinquanta metri, dove confluiscono il Mekong e il Khan. In quest’area ci sono bei templi con i tetti dorati, c’è il palazzo reale, case in stile Lao e edifici coloniali: dal 1995 Luang Prabang è stata promossa “World Heritage” dall'Unesco. Nel 1909 la francese Marthe Bassene l'ha definita così: "Luang Prabang è un paradiso che invita al “dolce far niente”. Luogo protetto da fiumi e da foreste, lontano dalla civiltà del progresso e dall’ambizione. In un secolo in cui predominano le conquiste della scienza, il profitto e la sete di denaro, è un rifugio per sognatori, per amanti e cantori di poesie d’amore.”

Anche qui ti colpisce la tranquillità del posto e la gentilezza della gente. Da molti templi risuonano echi di preghiere cantilenanti: queste nenie e la luce calda delle lampade che si riflettono sulle pareti dorate dei templi, rendono tutto un po’ magico. Sono entrato al “Wat Xieng Thong”, il tempio più bello, dove i giovani monaci stavano salmodiando, poi mi sono seduto sui gradini del wat. Vicino a me c'erano tre israeliane che contrattavano con un barcaiolo il prezzo per una gita alle grotte di Pak Ou. Poiché l’uomo parlava solo francese mi sono intromesso nella discussione e abbiamo fatto conoscenza. Karen, Sharon e Annie studiavano in Cina ed erano qui in vacanza, parlavano un ottimo inglese, in certi frangenti mi ubriacavano per come discutevano velocemente e perdevo il filo del discorso. Dopo cena, scortato dalle tre fanciulle ho raggiunto la Guest House, ma non l'ho subito trovata, ad un certo punto ho detto: "Ok, sono arrivato!", tutte si meravigliavano del posto dove alloggiavo, così le ho invitate ad entrare, ma mi sono accorto che la Guest House non era la mia. Ho ribattuto: "Mi sono sbagliato!", e tutto si è concluso con una risata.

 

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