La mattina successiva, in compagnia delle israeliane sono andato alle grotte di Pak Ou, il barcaiolo ci porterà in gita sul Mekong e visiteremo grotte e villaggi tribali. A poco a poco, alle nuvole grigie e basse si è sostituito un bel cielo blu e il Mekong, finalmente sotto un cielo poco monsonico, sembra mitigare il suo colore rosso mattone, per assomigliare ad un fiume dal colore caffelatte. La navigazione è stata lunga e piacevole, la vegetazione è rigogliosa ed i colori variano dal verde pisello a toni più cupi, si vedono piroghe fragili come aeroplani di balsa e pescatori, i bambini giocano in acqua e sembra che non vogliano più uscire. In un'ora e mezza abbiamo percorso 25 chilometri e siamo arrivati alle grotte, situate dove s’incontrano il Mekong e il Pak Ou.

Le grotte sono due: quella di “Tham Ting” contiene Buddha di tutte le dimensioni. Da Buddha piccoli come pacchetti di sigarette, a Buddha grandi come statue equestri, a Buddha reclinati e nello stile Luang Prabang. Quella di “Tham Phung” invece, è buia e profonda, arriva fino al cuore della montagna e occorre che l'occhio si abitui alla semioscurità. Sull'altra sponda del fiume, siamo stati ad un villaggio della tribù Hmong. Abbiamo mangiato il cibo servitoci in un gran piatto a centro tavola e utilizzavamo le mani per servirci. Al villaggio, i locali avevano approntato dei banchi con souvenirs e cercavano di fare affari con dei “Backpakers” come noi, che però non compravano nulla.

Il cielo era sgombro di nubi e un caldo umido e soffocante saliva dal terreno, LaosDiario_13.jpg (15132 byte)sulla via del ritorno, mi sono rimesso ad osservare il Mekong e le due rive. Al centro del fiume si formavano grandi gorghi, il barcaiolo era esperto e faceva abili manovre per evitare detriti e rami galleggianti. Talvolta sfrecciano le “Speed Boats”, le barche veloci dal detestabile rumore, che ti ricordano quanto sei distante dall'Italia e come stai bene lontano dai ritmi frenetici della vita di città. Rappresentano anche un monito: il viaggio è solo una parentesi e alla fine si torna alla realtà quotidiana. Mi ha colpito una frase del libro d’Andrea De Carlo "A noi tre" che sto leggendo: "Cerca di vivere in modo interessante, perché guarda che questo viaggio finisce ad una velocità prodigiosa", il viaggio non è inteso come "vacanza", ma l'autore si riferisce al viaggio come "vita". Mi piacerebbe che la vita fosse colorata ed interessante come i miei viaggi.

Siamo andati a vedere il tramonto al “Phu Si”, inerpicandoci per la collina e per i 328 gradini, l'ascesa non era dura ma lottavamo con l'umidità e i vestiti sembravano un foglio di carta moschicida appiccicato al corpo. La vista sulla città era superba, ma il sole, prima di tramontare, è beffardamente sparito all'orizzonte sotto una folta coltre di nubi. Dopo la discesa, ho bevuto una specie di “Nettare degli Dei”, un “Fruitshake” con banana, limone, ananas e mela: da quel momento ho giurato eterno amore per i frullati alla frutta. Poi ho fatto una doccia: stai bene solo sotto l'acqua corrente, quando esci anneghi in un lago di sudore. Con Karen, Sharon e Annie siamo andati al ristorante francese “Potiron”, terminando la serata al “dancing” del Rama Hotel. Allo scoccare delle ventitré e trenta precise, all’ora di chiusura, la band LaosDiario_14.jpg (14304 byte)ha smesso di suonare e il posto si è svuotato in pochi secondi. Il portone d'ingresso alla Guest House era sbarrato e così ho dovuto scavalcare l'ostacolo: ho fatto uno squarcio nei pantaloni, trapassati dagli spuntoni aguzzi della cancellata.

La mattina seguente sono andato al “That Makmo”, per la sua forma è chiamato “Stupa del Melone”, è l'unica costruzione Laotiana che s’ispira ad un'architettura indiana. Al “Wat Winsulat” invece, c'erano antichi Buddha lignei, impolverati e accatastati su vecchie assi. Ho fatto aggiustare i calzoni ed ora ho un bel rattoppo a forma di "elle" sul davanti, poi ho salutato le mie amiche che oggi andranno alle cascate di “Kuang Si”, io invece prenderò l'aereo per Phonsavan per raggiungere il "Piano delle Giare". Ho scelto questo mezzo di trasporto perché la strada più corta passa per la “Route 7”, attraversa la Provincia dello Xieng Khuang e ci sono attacchi ai convogli. I Lao accusano i banditi, ma si tratta di ribelli delle tribù Hmong e spesso ci sono morti e feriti. La “Route 1” invece è sicura, ma si allunga il percorso e c'è poco da vedere: sono due giorni di cammino, su vie non asfaltate, martoriate dalle pogge monsoniche.

Dopo un ultimo frullato alla frutta, mi sono fatto portare all'aeroporto. Siamo otto passeggeri, ma metà cabina è occupata da sacchi, riso, stoffe, copertoni per auto e attrezzi agricoli. Sto leggendo un articolo sulla “Lao Aviation” con notizie preoccupanti sulla sicurezza dei voli. Mi ha colpito la frase: "Le statistiche sulla sicurezza della Lao Aviation non sono mai state rese pubbliche". Poiché da Luang Prabang a Phonsavan è effettuato il volo a vista senza il radar, ho trovato interessante anche questo passaggio: "Quando il cielo è molto nuvoloso e la visibilità è minima, gli aerei sono costretti a girare in circolo, nell’attesa che la situazione migliori. LaosDiario_15.jpg (16672 byte)Quando il carburante inizia a scarseggiare, i piloti tornano all’aeroporto di partenza o a quello più vicino. Dopo avere fatto il pieno, ripartono e fanno un altro tentativo!". L'aereo è uno “Yun -12s”, un bimotore cinese ad elica da quindici posti. La flotta della “Lao Aviation” è composta da dieci velivoli: un “ATR –72”, un “Antonov 24”, quattro “Yun - 12s” di cui uno solo è operativo, mentre gli altri tre sono utilizzati per i pezzi di ricambio, quattro “Yun - 7s” e un elicottero “ME – 8”.

 

 

Phonsavan

In un battibaleno siamo arrivati a Phonsavan e il volo dura quaranta minuti. Ho fatto amicizia con il francese Gerard, lo scozzese Tom e l'inglese Philip, che come me, sono qui per visitare il “Piano delle Giare”: l'unione fa la forza e noleggiare una jeep in quattro costa meno. Ci siamo fatti lasciare al “Phonsavan Hotel”, l'unico posto che aveva ancora camere libere, un albergo decadente che odorava di stantio. Sono andato a mangiare con i miei nuovi compagni d’avventura, subito definiti "Compagni di giare". Ho ordinato carne in agrodolce con riso e Beerlao: quando mangio, sembra che tutto abbia lo stesso sapore, con un retrogusto d’insalata di papaya. Anche il brodo con verdure galleggianti e il the giallo non zuccherato, che continuano a versare nei bicchieri, hanno un sapore simile.

Sono ore che io e i miei "Compagni di giare" siamo incollati alle sedie del ristorantino, fuori diluvia e la tettoia amplifica all'infinito il battito delle gocce, scambiamo qualche battuta o fissiamo il vuoto, a poco a poco si è fatta notte. La strada da poco trafficata è diventata deserta, i rari negozi aperti hanno chiuso, LaosDiario_16.jpg (23134 byte)in questo “deserto urbano” il ristorantino emana una luce simile a quella di un faro che calamita i naviganti. La musica proveniente dal vecchio mangianastri del locale è stata sopraffatta dalle ruggenti note di canzoni Lao, e dalle stonature d’improbabili cantanti, che si esibivano e si mortificavano, in un valzer di canzoni, provenienti da un “Karaoke bar”.

Gerard legge la sua guida del Laos, ho scoperto che da giovane faceva l'archeologo ed ora è professore di lingue antiche all'Università di Parigi, a vederlo, per l'abbigliamento un po’ retrò con la camicia a righe “stile anni sessanta” e gli occhiali dalla montatura e dalle lenti spesse, assomiglia a Walter Mathau. Parla con passione del suo lavoro, dell'Asia e dei suoi viaggi in Italia. Tom invece m’incuriosisce, ha sempre con se un grande ombrello che lo rende un po’ ridicolo, ha l’aria di uno che non ha mai chiesto niente alla vita e non vuole nulla in cambio, indossa un camicione "Goa style" e s’immedesima nel ruolo di Hippie da “Ultima frontiera”. Philip è un ingegnere ed ha da poco terminato un lavoro in Corea, ora viaggerà "On the road" per un anno, racconta quello che ha visto e quello che l'attenderà, suscitando in me un'invidia smodata.

Ci hanno offerto un whisky di riso, il “lao – lao”: Gerard l'ha solo annusato e l'ha sdegnosamente rifiutato, mentre noi tre l'abbiamo mandato giù tutto di un fiato. In lontananza si sentiva della musica dal vivo, incuriosito, ho seguito le note, provenivano da una festa di matrimonio. All'interno di una gran sala addobbata con lampadine, c'era una lunga distesa di tavoli e sedie, tutti mangiavano e ballavano. Le donne indossavano i bei vestiti tradizionali, gli uomini, l’abito della festa: sono stato invitato ad unirmi ai festeggiamenti e dopo numerosi bicchieri, di quel velenoso intruglio che è il “lao – lao”, sono tornato in albergo.

 

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