Ho fatto questo viaggio fra l'Agosto e il Settembre del 1999: partendo da Bangkok ho attraversato il confine con il Laos a Nong Khai, ho visitato la capitale Vientiane, ho raggiunto prima Vang Vieng e poi Luang Prabang, sono stato a Phonsavan e infine a Huay Xai, dove Laos, Birmania e Thailandia s’incontrano. Perché il Laos? In tanti me lo chiedevano e me lo chiedono ancora adesso. Innanzi tutto perché non conoscevo l'Indocina: questo è il Paese meno sviluppato e forse il più "autentico" dei vecchi possedimenti Francesi (Vietnam, Laos e Cambogia). L'influenza occidentale non è predominante, c'è una profonda spiritualità, la gente è semplice e disponibile, c'è poco turismo e la natura è splendida. Questo diario è la cronaca di due settimane "On the road", è un insieme d’esperienze, di sensazioni, d’emozioni, di ricordi: è nello stesso tempo un tutto e un niente.
A Nong Khai c'era un'atmosfera cupa e sembrava che fosse già
sera. Finalmente ho visto il Mekong, fiume mitico e misterioso, che aveva sempre
affascinato il mio Mondo di viaggiatore. Ora il Mekong era davanti a me, grande e
maestoso, ma il suo scorrere lento, in questatmosfera tetra e buia e il suo colore
caffelatte, rendevano tutto anonimo. Non c'erano né prospettive né dimensioni e
l'orizzonte era piatto, proprio come in un cartone animato. Il Mekong è il maggior fiume
della penisola indocinese, è lungo 4.500 chilometri ed è il dodicesimo al Mondo per
lunghezza. Nasce in Cina dagli altipiani Tibetani, attraversa la regione dello Yunnan e il
Laos, segna per un tratto il confine con la Birmania e la Thailandia, entra in Cambogia e
bagna Phon Penh, per poi iniziare il gran delta con il quale attraversa il Vietnam, per
sfociare nel mar Cinese Meridionale. Appena sceso dal treno, sono stato assalito dai guidatori di motocarrozzette che facevano a gara, per avermi come ospite pagante sui loro strani mezzi, erano dei veicoli a tre ruote, più grandi dei Tuk-tuk Thailandesi e somiglianti a delle moto con un grosso rimorchio. A fatica sono riuscito a liberarmi di questorda dimbonitori carrozzati e ho preso un taxi collettivo, un songthaew che mi ha portato al "Ponte dellAmicizia", costruito nel 1994 e lungo 1240 metri. Nel percorrerlo, sembra di fare un tratto autostradale: nessuna poesia in confronto alla barca, il vecchio modo per passare il confine. In un battibaleno la dogana thailandese ha messo sul passaporto il bollo triangolare che rappresenta l'uscita dal Siam. Alla dogana Lao, dopo aver pagato trenta dollari, ho ottenuto il "visto". Per il pagamento accettano solo dollari americani, non è possibile utilizzare né i travellers' ceques né le altre divise, quindi se non navrete con voi, dovrete affidarvi ai cambiavalute che saranno la vostra salvezza. Vientiane
Varcata la frontiera, ho preso un altro minibus che mi ha portato a
Vientiane, la capitale, che dista venti chilometri dal posto di frontiera: il minibus era
proprio mini, al suo interno, eravamo tutti "inscatolati" come
sardine, ed ad ogni fermata, la gente che saliva, era maggiore di quella che scendeva. A
Vientiane le strade erano senza cartelli indicatori ed era un problema capire dove mi
trovavo,
Quando sono andato in banca a cambiare cinquanta dollari, ho ricevuto 450.000 Kip in banconote da 1.000, ero meravigliato per questillusoria ricchezza. La situazione all'interno della banca era tragicomica, alcuni impiegati erano impegnati a contare Kip: per tenere legate le mazzette, non bastavano nemmeno gli elastici ed erano sigillate con fasce di nylon. Per le strade e nei piccoli ristorantini si vendono le baguettes: in Laos fino al 1953 c'erano i francesi, i filoni di pane sono un ricordo del tempo che fu. Il francese non lo parla quasi più nessuno, ma nonostante ciò, gli edifici pubblici hanno le targhe bilingui. Le baguettes si chiamano Khao jii pà-teh e si mangiano in ogni momento della giornata. Ne ho mangiate due e le ho trovate ottime. Ho pagato con ventidue biglietti da 1.000 Kip, il che potrebbe sembrare una cifra spaventosa, ma erano solo due dollari e mezzo. Dopo avere contato e ricontato i Kip, ho deciso di comportarmi come i locali: fare delle mazzette da 10.000 e dividerle con un biglietto da 1.000 messo trasversalmente.
Vientiane sembra una tranquilla cittadina di
provincia e se si va a piedi, non ci vuole molto per orientarsi: mancano i grandi palazzi
e i viali maestosi, ci sono poche macchine e moto, qualche Tuk-tuk e poca
gente per le strade. Assomiglia più ad un posto di villeggiatura che alla capitale,
Ho cenato al Semsenthai Restorant e ho ordinato foe khua (noodles di riso), ma non erano nulla di speciale. Volevo fare un mix agrodolce con il contenuto dei barattoli trovati sul tavolo, quando ho aperto quello dello zucchero ho desistito, era il covo di unagguerrita colonia di formiche. Dopo mangiato mi sono incamminato verso il Night-club Vienglatry, il dancing più "in" di Vientiane, dove si fa musica dal vivo, sono andato via perché era deserto. Di notte ha piovuto a catinelle e per la violenza del temporale, sembrava che la Guest House dovesse essere spazzata via.
La
mattina seguente, sono andato a visitare il Museo della Rivoluzione, situato
in un edificio fatiscente che ha avuto gli utilizzi più disparati: residenza reale e del
governatore francese, sede duffici pubblici ed ora è un museo. Le sale
ripercorrevano la storia del Laos: dal periodo della dominazione francese (1893-1945),
alla lotta per l'indipendenza (1945-1954), alla resistenza contro l'imperialismo americano
(1954-1963), fino alla vittoria del comunismo (1975). Tra busti dedicati a Lenin e a
Stalin, bandiere rosse, falci e martelli, mi ha colpito la sezione dedicata alla lotta
contro il colonialismo francese. Le didascalie riportavano spiegazioni di questo tipo:
"Sotto il giogo colonialista, il popolo Lao Nel pomeriggio ho visitato numerosi edifici pubblici, case coloniali e templi, nessuno mi ha particolarmente colpito, a parte il Haw Pha Kaew, perché una volta, ospitava il Buddha di Smeraldo. Non si sa con certezza da dove provenga questa statua e nemmeno chi l'abbia scolpita, la leggenda afferma che sia dorigini indiane e che arrivò in Thailandia da Ceylon. Fu vista per la prima volta a Chang Mai, quando nel 1434 un fulmine distrusse lo Stupa, dove era stata nascosta per impedire ai Birmani di razziarla. Nel sedicesimo secolo i laotiani la trafugarono, portandola prima a Luang Prabang e poi a Vientiane, infine i Siamesi, guidati dal generale Chakri (il futuro Re Rama I), la riconquistarono nel 1778. Oggi la statua si trova al “Wat Pha Kaew di Bangkok, quest’oggetto è molto venerato e simbolizza l'indipendenza, la forza e la fortuna del Paese. I Thailandesi credono che questo talismano religioso contenga “Il potere magico del Re”.
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