C’erano tanti minibus, carri e camion con i fedeli che tornavano a Pakse, i più ricchi viaggiavano in jeep con l’aria condizionata in funzione, gli altri si ammassavano sui cassoni dei “pick-up”. Era un insieme di gente felice per l’esperienza appena conclusa, alcuni dormivano sotto un sole feroce, altri ridevano e scherzavano, c’erano anche i monaci con i sacchi di juta pieni d’offerte. Provavo un leggero “senso di colpa” per non andare alle “Quattromila Isole", ma avevo un’assoluta voglia di mare e di Thailandia.

Ho fatto un lungo tragitto che mi ha portato prima a Pakse, poi al confine di Chong Mek, a Phibun Mangshan e ad Ubon Ratchatani, dove ho preso il treno per Si Saket. Ho conosciuto due ragazze italiane ed un ragazzo argentino che è in viaggio da otto mesi, gli ho chiesto quando tornerà a casa, mi ha detto: “No problem”, beato lui!

Oggi fa molto caldo, dopo l’ultima “Mirinda” verde smeraldo, ho continuato a bere caffè e latte di cocco affogato nel ghiaccio bollente, a Pakse ho “azzannato” tre baguettes ripiene di verdure e paté dal sapore indefinibile. A Si Saket ho rincorso il bus per Kantharalak che era l’ultimo della giornata. Arrivato in questa cittadina dal nome impronunziabile, mi sono fatto lasciare al “Kantharalak Palace Hotel”, l’unico albergo esistente. Avevano esaurito le camere singole, così ho dovuto ripiegare su una doppia. Questa è una Thailandia che non ti aspetti, una regione rurale con gente semplice e cortese, più simile al Laos che a posti come Ko Samui, Puhket o Pattaya, che in ogni modo, non rappresentano il vero Siam. Quella d’oggi è stata una giornata di grandi spostamenti: stamattina all’alba ero al Wat Phu per vedere la Puja, WatPhuDiario_12A.jpg (7959 byte)poi la giornata è stata tutta un susseguirsi d’avvicendamenti su mezzi motorizzati diversi fra loro. Ho preso una volta il treno, l’autobus ed il battello per attraversare il Mekong, due volte il mototaxi e sei volte dei piccoli “bus camionati” adibiti al trasporto delle persone.

Ho mangiato riso fritto e frutta candita affogata nel ghiaccio bollente, assieme al dessert mi hanno portato una zuppa nella quale galleggiavano pezzi di bambù, tofu e uova molto piccole, probabilmente di quaglia. I sapori e gli odori erano nuovi ed interessanti, tentavo di interpretarli, senza capire che cosa stessi mangiando. Sono appena le nove di sera, se non ci fossero le bancarelle dispensatrici di “delizie alimentari”, Kantharalak sarebbe una città fantasma.

Preah Viharn

Alla mattina ho fatto colazione al mercato, con dolci a forma di palla e caffè ghiacciato, il posto è nel mezzo della sua massima attività e brulica di gente, è bello curiosare tra le bancarelle ed i banchi. I mercati sono sempre un insieme d’odori e di sensazioni appaganti. Ho cercato un mototaxi che mi portasse a Preah Viharn, che dista 34 chilometri da Kantharalak. Ho trovato una Yamaha 125, nei rettilinei correvamo come pazzi, mentre in salita l’andatura era lenta, probabilmente per economizzare sulla benzina. Preah Viharn o Khao Phra Wiharn (in Thai) significa “Montagna del Sacro Monastero”, la parola Khmer “phnom” significa montagna (khao in Thai), la parola “preah” significa sacro (phra in Thai), la parola “wihara” significa monastero o tempio in Sanscrito (viharn o viharn in lingua Khmer e Thai).

Il tempio si trova in Cambogia ma è raggiungibile solo dalla TWatPhuDiario_13.jpg (8358 byte)hailandia, al di là del confine non ci sono strade asfaltate ma solo sentieri, l’esercito cambogiano deve marciare dalle sei alle otto ore per raggiungerlo. Bisogna prestare estrema cautela nel visitare le rovine, senza mai uscire dai sentieri, perché nei campi e nelle foreste ci sono ancora mine inesplose. Lo ricordano i cartelli con la scritta “danger mines”, ma per scaramanzia, sarebbe meglio non raccontarlo a chi vorrà venirci. Dal 1963, questo territorio è stato assegnato alla Cambogia, in virtù del fatto che il complesso archeologico fa parte del patrimonio artistico e culturale Khmer, così ha sentenziato la “World Court”. L’area è stata aperta al pubblico nel 1991, ma è tornata “off limits” dal 1993 al 1997 durante l’offensiva del governo di Phnom Penh contro i Khmer Rossi e riaperta nell’agosto del 1998 dopo la morte di Pol Pot.

Il Wat è costruito su un promontorio ed è diviso su quattro livelli, ognuno caratterizzato da un enorme “gopura (padiglione d’entrata), il percorso è lastricato da grandi massi e dalla cima sita a 657 metri sul livello del mare si ha una vista mozzafiato sull’immensa pianura cambogiana e sulla catena montuosa di Dangrek: qui si respira il vero “Spirito d’Angkor”. Si presume che i lavori di costruzione iniziarono sotto Yashovarman I che regnò dal 889 al 910 e terminarono dopo trecento anni sotto Suryavarman II, l’ideatore d’Angkor Wat, che regnò dal 1113 al 1145. La costruzione dedicata a Shiva, era sia monastero che luogo di pellegrinaggio, come al Wat Phu anche il linga di Preah Viharn era molto venerato.

Un Wat simile è a Phnom Rung, che si trova in Thailandia a 120 chilometri da quiWatPhuDiario_14.jpg (6512 byte) e giace sulla sommità di un vulcano estinto: Phnom Rung, Preah Viharn ed il Wat Phu si distinguono anche per la sorgente sacra (stah) ubicata in cima alla montagna che li ospita. L’architettura Khmer identifica le torri dei templi (prasat) con il monte Meru, montagna mitica e casa degli Dei, asse del Mondo attorno alla quale sono disposti continenti e oceani. I muri che circondano il Wat simbolizzano la terra ed il fossato più esterno (baray), rappresenta gli oceani.

I templi che i Khmer costruirono tra il nono ed il tredicesimo secolo sono di due tipi, concentrici come ad Angkor Wat, Banteay Samre, Bapuon e Phimai e di tipo assiale come il Wat Phu, Preah Viharn, Phnom Rung e Phnom Chisor. Attorno al sito archeologico c’è un Parco Nazionale, la strada che lo attraversa è un percorso obbligato per arrivare a Preah Viharn. Occorre pagare un biglietto: “una servitù di passaggio”, un furto legalizzato, una gabella imposta dalle autorità Thai cui non si può sfuggire. Dopo avere parcheggiata la moto, ho proseguito a piedi: non c’è controllo passaporti, solo un cartello indica “Benvenuti in Cambogia”. Attorno si vedono soldati cambogiani e bambini che vendono souvenir e cartoline.

Ho iniziato a percorrere un’irta scalinata di 163 gradoni, alcuni sono stati intagliati nella montagna, ai lati due leoni di pietra fanno da guardiani. In cima a questo livello c’è una lunga spianata dove due “naga” lunghi trenta metri fanno anch’essi da guardiani: il volto è rivolto a nord ed il lungo corpo guarda a sud. Ho affrontato un’altra scalinata e sono arrivato al primo “gopura”, della costruzione originaria rimangono solo le colonne portanti ed il tetto è inesistente, su di un lato c’è la carcassaWatPhuDiario_15.jpg (7061 byte) di un elicottero Russo precipitato nel 1998. Ho iniziato a percorrere un’altra via lastricata, un’imponente strada in leggere salita lunga 275 metri, in lontananza si erge maestoso il secondo “gopura”, anch’esso non in buone condizioni. Da qui si ha una bella vista sulla parte inferiore del complesso, sulla destra c’è il bacino sacro (srah) dove i fedeli facevano le abluzioni prima delle cerimonie, poi si arriva al terzo ed al quarto “gopura”, ed infine al santuario centrale dove sono ancora intatti i corridoi esterni, le gallerie, il tetto e le arcate, mentre la parte centrale non è ben tenuta.

Se si esce da una delle tante finestre delle gallerie che formano un quadrato attorno al tempio, si passa da un ambiente chiuso, ricco di storia e di fascino ad un ambiente aperto. Davanti ti si parano i rilievi della catena di Dangrek e in lontananza le montagne danno spazio alla pianura. E’ una pianura sterminata, gli occhi ci sì perdono dentro e non se ne vede la fine, è una visione che ricorda i parchi africani: ti stupisci per il verde e per le tante montagne in quest’angolo sperduto di sud est asiatico. Mi sono seduto a contemplare il panorama e dentro di me sto bene, ho poi guardato l’orologio ed è già l’una, sto camminando fra questi massi da stamattina ed il mio autista mi starà aspettando con impazienza. Preah Viharn è imponente, il bello è che non lo vedi mai interamente per tutta la sua lunghezza: ne hai una visione ed un’esatta percezione solo quando arrivi ad uno dei quattro livelli. E’ una sensazione simile a quella che si ha visitando Angkor Wat, dove solo da lontano hai una visione d’insieme e n’apprezzi la totalità salendo i tre livelli. Ho affrontato il mio autista con un sorriso e con un “sorry” WatPhuDiario_16.jpg (5872 byte)e mi sono fatto portare alla stazione dei bus di Kantharalak.

A Si Saket, nell’attesa della corriera per Korat ho camminato per la cittadina e sono entrato in un “KFC”, un ristorante “fast food” tipo “McDonald’s”. Ho ordinato pollo piccante con una salsa alle verdure e una all’aglio, la gioventù locale è calamitata da questo posto, “sciami di studenti” sono intenti a trangugiare pollo fritto e Coca Cola. Sul bus per Korat la musica era altissima, c’era un’aria condizionata da brivido ed ogni posto a sedere aveva una coperta, dopo avere bevuto una Coca Cola ghiacciata, penso che potrei rischiare una congestione. Il bus viaggia lentamente, dal di fuori sembra un modello “deluxe“ e ti fai l’idea che faccia poche fermate, invece ogni cinque minuti fa delle soste lunghissime e si accendono le luci, dormire è davvero impossibile, è un viaggio allucinante e rimpiango di non avere preso il treno. Tutti i passeggeri, me compreso, sono avvinghiati alle loro coperte come il cane Snoopy del fumetto di Linus o come un bambino aggrappato al seno materno. Per le nostre buffe coperte a quadretti gialli e marrone sembriamo una tribù d’Indiani d’America.

In sei ore e mezza l’autobus è arrivato a Korat, era notte fonda e non sapevo cosa fare: se fermarmi qui, andare a cercare un letto o continuare a viaggiare. Sono andato alla biglietteria per informarmi sugli orari dei bus per Pattaya, c’era una coincidenza ed il mezzo stava per partire, il bus successivo ci sarà solo domani pomeriggio, così mi sono deciso. Mi sono diretto verso il mare senza vedere né Korat né le altre rovine Khmer di Wat Phimai, di Phnom Rung e di Muang Tham, ma presto, spero molto presto, ritornerò nell’Isan.

 

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