Molte bancarelle vendevano scarafaggi vivi o fritti, ThaiNordEstDiario_11.jpgda quelli piccoli come chicchi di riso a quelli lunghi oltre cinque centimetri. Nel pomeriggio, da Nakhon Phanom (46 Chilometri) ho preso un altro bus per Beung Kan: speravo di costeggiare il Mekong, invece siamo passati per Sakon Nakon e Phang Khon. Con un altro bus, in due ore (146 chilometri) sono arrivato a Beung Kan, era già buio e la cittadina assomigliava ad un posto di frontiera. Le strade erano deserte, circolavano solo le coppiette che si dirigevano in moto al cinema “drive in” all’aperto. Ho trovato una stanza in un alberghetto di cui non sapevo il nome, non c’erano scritte in inglese e tutti parlavano solo Thailandese. Annesso all’hotel c’era un karaoke bar con luci soffuse e qualche ragazza, non avevo nemmeno voglia di andare a dare un’occhiata, così dopo avere cenato, sono andato a dormire

Alla mattina, lungo la riva del Mekong era giorno di mercato. Era la fotocopia di quelli visitati nei giorni passati, con malavoglia ho dato un’occhiata, poi ho preso un bus per Ban Siwilai (25 chilometri) e da lì mi sono incamminato, facendo l’autostop, verso il Wat Phu Thawk (montagna solitaria) che dista altri 20 chilometri. Non c’è un regolare servizio di pullman, fortunatamente un furgone mi ha dato un passaggio e mi sono seduto nel cassone. Il paesaggio è secco e brullo, si vedono pochi contadini al lavoro e qualche mucca al pascolo, i campi di riso invece, non sono ancora coltivati. Siamo nella stagione secca e non esistono sistemi d’irrigazione, così si aspetta l’arrivo delle piogge per iniziare la semina. Questa campagna dai colori biscotto, ocra, marrone e rosso ruggine mi accompagna dall’inizio del viaggio: solo lungo le sponde del Mekong predomina il verde. Il viaggio continua in questa Thailandia agricola che non ti aspetti, popolata da gente semplice ThaiNordEstDiario_12.jpge dalla pelle scura, con il suo cibo scontato a base di pollo arrosto e riso, visitando luoghi dove tutti cercano sempre di darti una mano. All’entrata del Wat c’erano venditori d’intrugli a base di funghi, cortecce d’albero ed erbe.

Ho guardato all’insù verso la montagna, verso il Wat costruito su un monolito che domina la pianura piatta: da lontano assomiglia ad una torre di Babele e per arrivare in cima c’è un percorso a spirale. Si sale per ripide scale di legno e pietra e si cammina su passerelle tenute assieme da assi traballanti, sotto di noi c’è il vuoto. Sembra di stare a mezz’aria, le assi scricchiolano, alcune sono schiodate e non è bello guardare sotto, le mani sudano e ci si sente a disagio, vado avanti, ma a fatica. Ti colpisce la foresta, ti sorprendono le enormi radici, le liane, il bamboo e la vegetazione tropicale, l’aria è impregnata dell’odore dei fiori e si suda. Si incontrano sette stazioni, che rappresentano i sette livelli d’illuminazione della psicologia buddista. Ad ognuno corrisponde un tempio, un altare o un luogo per raccogliersi in preghiera. Più si sale, più aumenta il senso di frescura, perché si percorrono cunicoli avvolti nella penombra. S’incontrano anche le case in legno dei monaci eremiti, li invidi per il panorama, non certo per la mancanza delle comodità terrene. Qui viveva il famoso Maestro Ajaan Juan che perì in un incidente aereo mentre si recava a Bangkok in occasione del compleanno regina Sirikit: dopo la sua morte iniziò a serpeggiare, fra i discepoli, la credenza che la regina fosse portatrice di sfortuna. Sono tornato a Beung Kan grazie su un furgone pik up adibito a scuolabus, i bambini, nonostante gli scossoni, dormivano gli uni sulle ginocchia dei compagni, il maestro invece voleva parlarmi, ma si esprimeva in Thai, così la conversazione si è limitata ai convenevoli.

Nong Khai

Ho preso un autobus per Nong Khai, 185 chilometri e poco più di due ore di viaggio. Sono sceso al Sala Kaew Ku, chiamato anche Wat Khaek, un parco creato nel 1978 grazie alla selvaggia immaginazione del Venerabile Maestro Luang Puu Bunleua Surirat. Costui era una via di mezzo tra uno Yogi braminico, un prete e uno sciamano e fondò il suo credo su concetti filosofici e mitologici. Ci sono centinaia di statue in cemento di tutte le dimensioni, quelle più alte misurano 25 metri. Non si trovano aggettivi per definire il posto che è sorprendente: guardi quest’insieme di figure tratte dalla cosmologia Hindu e Buddista con un misto di divertimento, perplessità e compassione. L’attrazione più bizzarra è “La ruota della vita”, una grande scultura circolare che ne rappresenta le fasi. L’esistenza umana è rivisitata dal principio alla fine: dalla fanciullezza alla morte, fino al raggiungimento del Nirvana. Alcune statue ti lasciano basito, come quelle sull’uomo mafioso, la donna d’affari o lo yuppie. In mezzo al parco, sorge la dimora del Venerabile, ha le cupole a cipolla ed è contornata da due file d’obelischi, che ricordano i pedoni del gioco della dama. Un anziano capitano in congedo dell’esercito Thai, mi ha fatto da cicerone e mi ha mostrato la residenza: anche qui è un delirio di statue accatastate a centinaia in prossimità degli altari. Passando davanti alle foto del Venerabile ho suonato numerosi gong e campane. All’ultimo piano del palazzo, attorniata da finti alberi di pesco in fiore, c’è la sua salma. Si trova su un catafalco ricoperto di perline e brillantini luccicanti. Il Venerabile riposa sotto una bara trasparente a forma di cupola, la scena ricorda un film di fantascienza.

A Nong Khai ho trovato una stanza alla Mut Mee Guest House, davanti al MekongThaiNordEstDiario_14.jpg che scorre tranquillo e placido. La prima cosa che viene in mente è di ordinare una birra ghiacciata e di metterti a sedere davanti al fiume. Al di là dalla riva c’è il Laos, domani varcherò il confine, sarà solo un “mordi e fuggi”, un capriccio per togliermi lo sfizio di ordinare a Vientiane una baguette e una Beerlao. All’ora del tramonto ho preso una barca, il sole è diventato una rossa palla di fuoco e ha arroventato il cielo: è un crepuscolo da cartolina, sembra “confezionato” apposta per chi si trova qui. Gli altoparlanti del barcone diffondono musica thai e il mio bicchiere continua a riempirsi di birra, più passano i minuti, più il Mekong diventa bello, è di un colore rosa salmone con sfumature delicate, questo è un attimo che vorresti fermare, da condividere con qualcuno che ami, perché ti senti in pace col Mondo e vorresti abbracciare tutti quelli che incontri. In questo stato di benessere assoluto, la birra ha iniziato a fare i suoi venefici effetti, mi sentivo fluido e sono andato in uno dei tanti baracchini lungo il Mekong a mangiare qualcosa, poi sono andato a dormire.

All’alba, i miei due compagni di stanza, un tedesco e una russa si sono svegliati, ho abbandonato la ragazza russa che faceva Tai chi davanti al Mekong, per raggiungere il Wat Pho Chai, il tempio più famoso di Nong Khai, con la facciata bianca e il tetto rosso e dorato che luccicava per il tanto sole. All’interno ti colpivano il grande spazio vuoto, le pareti affrescate con scene della vita del Buddha, feste e processioni. A fianco del Wat ho visitato il mercato, era mattina presto e c’era gran fermento, a quest’ora la gente comprava soprattutto cibo: ti colpivano i grandi pesci di fiume che boccheggiavano nelle vasche d’alluminio. Alcuni uomini facevano colazione con untuosi dolci di forma rotonda o quadrata che inzuppavano nel the o caffè, ThaiNordEstDiario_15.jpgaltri avevano la testa china nelle ciotole e mangiavano fumanti zuppe di verdure o vermicelli in brodo. Il mercato era bello, ma ormai, come tutte le cose viste troppe volte, mi affascinava un pò meno.

Vientiane

In tuk tuk mi sono fatto portare al “Ponte dell’amicizia” che scavalca il Mekong e segna la frontiera tra Laos e Thailandia, è del 1994 e misura 1174 metri. Qui si può ottenere il visto d’entrata, in tutti gli altri posti di confine, occorre averne già uno. Sbrigate le formalità, sono arrivato a Vientiane, la capitale che dista 22 chilometri. Dopo essermi accasato alla Khamvongsa Guest House, centrale e a due passi dal Mekong, ho noleggiato una moto. Avere una moto a disposizione si è rivelata una scelta azzeccata perché la giornata è calda, i piedi fanno male e ci si può spostare a piacimento senza fare fatica. Vientiane è grande poco più di una cittadina e le attrattive non sono tante, dopo un po’ inizi a chiederti cosa ci sei venuto a fare. La risposta, sta nel sorseggiare una Beerlao, bevuta in un bicchiere prelevato direttamente dal freezer e nel mangiare una delle migliori baguette di tutto il sud est asiatico.

Qui c’ero già stato, mi ricordavo le strade da percorrere e cosa visitare: sono andato a Patuxai (l’arco di trionfo), al Pha That Luang (il Wat più sacro di tutto il Paese) ed al Wat Si Saket, dove era custodito il Buddha di Smeraldo che adesso si trova al palazzo reale Bangkok. Ho camminato lungo i corridoi del Talaat Sao, il gran mercato coperto a forma di pagoda con i tetti verdi, ubicato nei pressi della stazione dei bus, poi sono andato in riva al Mekong. Il fiume è in secca, ci sono grandi pozze, dove nuotano i bambini e spiagge sabbiose e sassose utilizzate per giocare a calcio. Si cammina nel letto del fiume per qualche centinaio di metri senza incontrareThaiNordEstDiario_16.jpg acqua corrente. Senza accorgersene ci si trova oltre la metà del fiume, cosicché si è più vicini alla Thailandia che al Laos.

Nel centro di Vientiane, lungo il Thanon Fa Ngum, la strada che costeggia il Mekong, tutte le sere alcuni intraprendenti laotiani s’impossessano del marciapiede e appontano una fila di tavolini per l’ora della cena. Si tratta di ristorantini alla buona e nell’aria c’è un invitante odore di pesce arrosto. All’ora del tramonto ne ho approfittato. Sul tavolo sono comparsi involtini di carne avvolti nelle foglie di banano, all’apparenza, potevi pensare che uno solo poteva bastare, ma quando lo scartavi, vedevi che era minuscolo ma anche così piccante da risultare immangiabile. L’insalata di papaya e le palle di riso fritto risultavano più appetitose, ma il palato, di fronte a questi sapori piccanti implorava pietà. Sono poi stato al mercato notturno: gli acquisti più gettonati erano il pollo fritto ed i dolci. Il cibo sempre uguale, il male ai piedi e la stanchezza per il sole ed il caldo mi avevano debilitato, così sono andato a dormire.

Alla mattina, ho visitato il Wat Si Saket, il più vecchio tempio della città, l’unico risparmiato dall’invasione dai Siamesi del 1828. Dopo avere fatto “su e giù” con la moto per le vie di Vientiane, ho mangiato l’ultima baguette e bevuto l’ultima Beerlao, poi ho preso un minibus verso la Thailandia. Alla frontiera ci sono un sacco di “Duty Free” che vendono sigarette e vini francesi e cinesi. In un’ora e ½ sono tornato a Nong Khai, era pomeriggio e si soffriva per la canicola. Sono andato a farmi fare un massaggio tradizionale thailandese e dopo due ore di manipolazioni dure ed energiche mi sono sentito rigenerato. Ho cenato con un gran pesce del Mekong cotto sulla brace e ricoperto di sale che sembrava un fossileThaiNordEstDiario_17.jpg preistorico, poi sono andato alla stazione dei treni: stasera mi metterò in viaggio verso Bangkok e abbandonerò l’Isaan. Sono stati giorni intensi e pieni di scoperte, da Ubon Ratchathani a Nong Khai ho visto, senza fretta, tutto quello che volevo visitare. Sono rimasto colpito, come sempre, dal sud est asiatico, visitato in una stagione non monsonica, con cieli sempre blu e un caldo secco che difficilmente si trova in estate. Ed adesso “Ciao Isaan”, il mare mi aspetta.

 

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