Phnom Rung e Muang Tam

Per la mattina seguente, la proprietaria della G.H. mi aveva promesso una moto che aveva affittato ad altri. Un po’ stizzito ho raggiunto il villaggio di Ban Ta Ko e qui, mi sono accordato con un moto tassista per farmi portare alle rovine Khmer di Phnom Rung e Muang Tam. Phnom Rung si trova sulla sommità di un vulcano estinto alto 383 metri e domina la pianura, in lontananza, verso la Cambogia, si vede la catena montagnosa di Dangrek. La strada asfaltata ha iniziato subito ad impennarsi e la moto faceva fatica, attorno, la vegetazione era di un bel verde acceso. Il nome Phnom Rung deriva dalla parola Khmer “Vnam Rung” che significa grande montagna, in Thai invece, montagna si dice “Khao” e “Hin” significa pietra. Il nome completo del sito è “Prasat Hin Khao Phnom Rung”. Il tempio, costruito in quattro periodi, tra il X° e l’inizio del XIII° secolo è rivolto ad est, verso Angkor. Tra i grandi monumenti Khmer, Angkor è rivolta ad ovest, Preah Viharn a nord e Phimai a sud est, ma non se n’è capita la ragione, perché la maggior parte dei monumenti guarda ad est, dove sorge il sole.

Sceso dalla moto, mi sono trovato davanti ad un viale lungo 160 metri, contornato da 67 colonne di pietra che simbolizzano fiori di loto, poi, ho affrontato la scalinata che porta al tempio. Colpisce la ripidezza dei gradini che accomuna molti monumenti Khmer e la perfetta conservazione delle tre terrazze con i naga a cinque teste (una prima della scalinata, la seconda all’entrata del tempio e l’ultima all’ingresso del santuario centrale). La conservazione del tempio sembra buona, il recinto principale, di forma quadrata, presenta quattro gopura e molti corridoiThaiNordEstDiario_7.jpg sono intatti. Il prasat ricorda quello di Phimai, ma la torre di Phnom Rung è dell’inizio del XII° secolo, successiva a quella di Phimai e antecedente a quelle d’Angkor Wat. All’interno del santuario centrale ci sono un linga ed una statua del toro Nandi e si sta a lungo ad osservare i bassorilievi. Nella pietra arenaria sono scolpite scene dell’epopea del Ramayana: il posto è da dieci e lode! Abbondano le immagini di Shiva, Vishnu, Rama, Ganesh e Krishna: la rappresentazione più famosa è quella del “Vishnu Anantasayin”, un bassorilievo trafugato nel 1960 e esposto all’Art Institute di Chicago. Dopo numerose vicissitudini la scultura fu restituita nel 1988. Vishnu è sdraiato su un naga che ha il corpo di serpente e la testa da leone.

La tappa successiva è stata a Muang Tam, il nome significa “città bassa” perché il tempio fu costruito ai piedi di Phnom Rung. Il luogo, dedicato a Shiva, è ben conservato, fu eretto tra la fine del X° e l’XI° secolo nello stile Baphuom ed ha una forma quadrata con un gopura su ogni lato. Mi hanno colpito quattro bacini d’acqua a forma di “elle” all’interno del tempio (nella simbologia Khmer, rappresentano i quattro oceani che circondano il monte Meru) e le porte d’accesso ai bacini con le balaustre contornate da naga. Non avevo mai visto nulla di simile, Muang Tam è l’unico monumento che presenta questa peculiarità. Poco distante c’è il Kuti Rishi Ban Khok Mueang, un ospedale, costruito davanti al baray (bacino d’acqua), oggi rimane solo la cappella, una struttura grezza in laterite. Ospedali e posti di ristoro non erano infrequenti lungo le strade Khmer, nella Thailandia del Nord ne sono stati scoperti 102.

Un camionista mi ha dato un passaggio per tornare a Nang Rong, ho recuperato lo zaino e ho preso ThaiNordEstDiario_8.jpgun bus per Ubon Ratchathani, dove sono arrivato in cinque ore e ho preso alloggio al Tokyo Hotel. La stanza è spartana, ma c’è la televisione con i canali in thailandese. Ero esausto, così dopo una zuppa con vermicelli e palle di carne, sono andato a dormire. Alla mattina ho raggiunto la stazione dei bus per Mukdahan, per ammazzare il tempo, nell’attesa della coincidenza, ho iniziato a camminare per gli assolati viali della città, sono in periferia e non c’è nulla da vedere, a parte le scuole con campi sportivi che ricordano i campus americani. Mancava un mercato dove mettersi a curiosare, così mi sono seduto a bere un caffè, la bevanda, prima di essere servita, era filtrata più volte in un gran colino e l’addetto all’operazione ricordava un alchimista.

Mukdahan

Tornato alla stazione, mi sono accorto che il bus era appena partito, alla biglietteria c’era stata una qualche incomprensione sull’orario di partenza, così ho preso un tuk tuk che l’ha inseguito. In tre ore e dopo 170 chilometri sono arrivato a Mukdahan. Dopo avere preso una stanza al Saensuk Bungalow mi sono incamminato verso il Talaat Indojiin, il “Mercato Indocinese” che si tiene in riva al Mekong. Sull’altra sponda del fiume c’è Savannakhet, ed è già Laos. Il nome del mercato è appropriato perché si vendono merci thailandesi, laotiane e cinesi. Si notano le bottiglie di vino di maow (un piccolo frutto rosso che assomiglia ad una bacca) e quelle di “Chateaux de Songkawe”, un vino d’uva dal sapore anonimo e dolciastro. Non ero interessato all’acquisto di vini esotici, ma soprattutto contrario all’idea di trasportare bottiglie nello zaino! Predominava la merce “made in China”, mi hanno colpito una “Poly Station”, una imitazione del gioco della “Play Station” e i flauti dell’Isaan: sono di tutte le misure, ThaiNordEstDiario_9.jpgda quelli tascabili a quelli lunghi più di un metro. I Lao invece, vendono vestiti e belle stoffe intarsiate con fili dorati. Le bancarelle più curiose esponevano radici, cortecce, tuberi e pillole colorate, sicura panacea e rimedio per ogni malessere. Era impossibile avere spiegazioni perché le indicazioni erano in thailandese. Fra i cibi c’erano riso cotto alla piastra avvolto nelle foglie di banano, radici bollite, frutti dell’albero del tamarindo, uova alla brace infilzate su stecchi di legno vendute a quattro per volta, banane mignon arrostite, pollo, salsicce agrodolci, biscotti gialli e verdi a forma di grosso bottone. Attirato da questi odori, ho mangiato riso arrostito e uova cotte alla brace: erano porose e poco appetitose, forse per l’assenza di sale.

Sotto un sole implacabile ho preso un songthaew (un taxi collettivo) per raggiungere il Parco Nazionale Phu Pha Thoep (roccia bellissima) che si trova a 17 chilometri da Mukdahan in direzione di Don Tan. Ho iniziato a camminare su per le colline, non c’era un sentiero o una strada, ma si saliva per le colate di lava solidificata. Le pendenze ricordavano quelle di una pista da sci: per il tanto sole immaginavi di sciare in primavera, ma la lava era nera, e scacciavi questa fantasia! Il parco, famoso per le rocce dalle forme strane e colorate non mi ha entusiasmato. Concrezioni laviche e massi giganti sono stati plasmati dallo scorrere del tempo, i Thai, ci vedono rappresentazioni di animali. Un pik up mi ha dato un passaggio fino a Mukdahan, al tramonto sono salito sulla alta torre a forma di fungo, costruita nel 1996 in occasione del 50° anniversario dell’incoronazione dell’attuale Re di Thailandia, è obbrobriosa, ma dalla sua cima la vista è impagabile. Il livello del fiume è basso ed affiorano numerose isolette sabbiose, utilizzate come spiagge. ThaiNordEstDiario_10.jpgDopo una meritata doccia sono andato a mangiare al mercato notturno, è grande e ti diverti a curiosare: ho comprato carne di maiale arrosto, la pelle era croccante e ricordava quella della porchetta allo spiedo, poi sono tornato al Saensuk Bungalow.

That Phanom

Alla mattina ho preso un bus in direzione di That Phanom, una cittadina bagnata dal Mekong, famosa per il Wat Phra That Phanom, caratterizzato dall’enorme chedi (stupa) in stile Laotiano. Il Wat è uno dei simboli dell’Isaan, è venerato dai Buddisti di tutto il Paese, ed ogni anno, a metà febbraio, si celebra una importante festa religiosa. Il chedi che è alto 57 metri e ricoperto da 110 chili d’oro, dovrebbe avere più di 1500 anni. Assomiglia ad un missile che svetta nel cielo azzurro, su ogni lato c’è il disegno di un albero stilizzato e dai suoi rami pendono fiori di loto. Il Wat è molto grande, ci sono le abitazioni dei monaci e templi in stile Thai, in uno c’erano le spoglie di un venerabile Maestro, facevano impressione, perché il corpo era refrigerato in una bara di cristallo piena di condensa.

Dopo essere passato davanti all’arco di trionfo che ricorda quello di Vientiane, sono  andato al mercato che si tiene tutti i lunedì e mercoledì sulla riva del Mekong: i venditori sono Thai e gli acquirenti Laotiani. Non c’è nulla di speciale, ma è interessante osservare quello che avviene lungo il fiume. Tante barche aguzze lunghe e strette, erano ormeggiate lungo la riva, era un continuo attraccare, caricarle e ripartire verso la sponda opposta per poi ricominciare i traffici. Il livello del Mekong è basso e per arrivare alla riva (sommersa dall’acqua nella stagione delle piogge) occorre affrontare un ripido dislivello di oltre venti metri, in alcuni punti si coltivano orti rigogliosi. Il reparto della ristorazione non era invitante e il contenuto dei grandi pentoloni non risvegliava l’appetito, anche per un entusiasta della cucina Thai come il sottoscritto.

 

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