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Isola di Ko Samui
Sono davanti a
questo meraviglioso tramonto con lo sguardo pieno
daspettative, ma
non so neanche io perché e cosa voglio. Vorrei fissare per sempre questi attimi, proprio
come su una pellicola fotografica, vorrei girovagare per il sud Est Asiatico senza limiti
di tempo fino a quando, ormai sazio, non dica basta, voglio tornare a casa!,
vorrei che invece dellautunno arrivasse la primavera, vorrei avere sempre una
ragazza dolce come una Thai, vorrei fermare il tempo ed avere sempre trentanni,
vorrei mantenere tutta la mia energia fisica e che questa non se nandasse mai,
vorrei smettere di scrivere perché mi stanno venendo gli occhi lucidi, sto piangendo e
non so neanche io perché, vorrei, vorrei
Isola di Ko Samui
Lamai la mattina
presto assomiglia ad una gosth town, tutto è chiuso e prima del
mezzogiorno è difficile trovare anche un caffè. Per le strade, le moto e le auto sono
rare, sembra che gli unici a lavorare siano i muratori che costruiscono e rinnovano bar e
negozi. Costoro fanno sempre una certa impressione, in un Paese dove Internet è la cosa
più normale del mondo, dove i telefoni cellulari impazzano e Bangkok ha più centri
commerciali che Milano e Roma messe assieme, loro lavorano con ritmi, metodi e tecnologie
più da lavoratori terzomondisti che da tigri asiatiche.
Isola di Ko Samui
In moto sono
arrivato al tempio del Grande Buddha, è un posto dove mi piace sempre
tornare. Appena entrato, mentre il sole colorava di giallo la grande statua dorata, ho
sentito nellaria una musica dolcissima e mi sono sentito subito fluido, mi sembrava
di essere sospeso a mezzaria e gli occhi iniziavano ad inumidirsi. Ogni tanto vivo
di questi momenti, come al Ki Gompa in Ladak o ad Angkor Wat, o come quando mi trovo
davanti ad unopera darte che fa breccia nel mio cuore. In questo stato di
felicità totale mi sono messo a leggere il libro dei visitatori, cerano
frasi di tutti i tipi, ma la maggior parte inneggiava alla pace, allamore e
allottimismo. Le parole più ricorrenti erano love, very
beautiful, peaceful e amazing, non mancava nemmeno
lironia degli italiani, un tipo di Venezia aveva scritto Speremo ghe sia la
volta buona, frase che senza altre indicazioni poteva essere intesa in mille modi,
uno svizzero invece, aveva scritto Amo Tim e la Thailandia. Frasi semplici e
capaci di cogliere lattimo, quel momento che arriva così velocemente ed
inaspettatamente tanto da sembrare unico e irripetibile, che un attimo dopo, non cè
più.
Isola di Ko Samui
Tutte le sere
mentre torno verso Lamai, mimbatto in una palestra allaperto
dedicata agli amanti della boxe thailandese (Muay Thai), è un ambiente con un ring,
attrezzi ginnici e grandi sacchi per esercitarsi a dare calci e pugni. Il luogo
rappresenta unattrazione sia per i locali sia per i turisti che si fermano a
curiosare ed a scattare fotografie. Ti accorgi che cè un qualche cosa
dinconsueto per le grida che provengono da qui, non sono tanto urla di dolore, ma
urla causate dallo sforzo e per mantenere la concentrazione. La boxe thailandese è uno
sport molto dinamico e per colpire lavversario si usano tutte le parti del corpo,
quindi la preparazione atletica è fondamentale. Per imparare a tenere la posizione da
combattimento, gli atleti saltano, cercando di restare in equilibrio su grandi camere
daria da camion. Gli allenamenti avvengono allaperto, mancano ventilatori e
aria condizionata, così i corpi che brillano di sudore, ricordano quelli degli atleti
dellantica Grecia. Prendere a calci e a pugni un grosso sacco con
questumidità deve essere proprio faticoso. Gli atleti sono per lo più inglesi o
tedeschi e molti hanno il corpo ricoperto da tatuaggi, cè anche qualche ragazza, da
lodare per limpegno, ma nulla più. Gli adepti sono agli ordini di un team
dallenatori Thai, uno in particolare, con due pettorali da paura e con i
capelli raccolti in una coda di cavallo impartisce ordini e consigli. Sul suo viso
cè un ghigno onnipresente: fra me e me penso che non capita tutti i giorni di
mettere sullattenti un gruppo deuropei, che oltretutto paga profumatamente,
per ricevere tali servigi!
Isola di Ko Samui
Oggi, mentre
tornavo da Na Thon ho visto un gran fermento che proveniva da una
strada laterale dell'isola, incuriosito dal movimento ho abbandonato la strada principale
e mi sono lasciato guidare dal flusso di moto e furgoncini. Ben presto sono arrivato in
una radura, dove, tra gli alberi di cocco, sorgeva una specie di Luna Park.
Tuttintorno cera qualche giostra, ma soprattutto bancarelle che vendevano
gelati, pannocchie abbrustolite, spiedini di pesce e di carne, frutti dall'aspetto ormai
familiare, ma dal nome sconosciuto. In fila ad unimprovvisata biglietteria c'era
tanta gente ed un cartello scritto a penna indicava uomini 200 bath,
donne 180 bath. Al di là di un recinto costituito da pali e da tendoni di
colore blu, di lì a poco, sarebbe iniziato un combattimento fra bufali. Questi incontri
sono tipici della Thailandia del Sud ma non è facile assistervi perché le tenzoni non si
svolgono in date stabilite.
Ho pagato 200
bath, una mezza fortuna per un Thai, per uno spettacolo che non volevo assolutamente
perdere. All'interno dellimprovvisata arena c'erano due bufali che stavano brucando
l'erba ed erano divisi da un séparé bianco. Degli uomini continuavano ad
innaffiarli, i due contendenti erano tranquilli e non ho capito se intuissero il destino
che li attendeva. Il recinto traboccava di gente, cerano soprattutto uomini che
"come in preda al demone del gioco" scommettevano animatamente e grandi rotoli
di banconote da 500 e da 1000 bath passavano velocemente di mano in mano. Ben presto il
cielo si è incupito e oltre alle prime ombre della sera sono iniziate a cadere le prime
gocce di pioggia, attorno al ring non cerano né riflettori né luce elettrica,
dentro di me speravo che la pugna iniziasse presto, per non dovere assistere ad un
incontro al buio! Quando ha iniziato a piovere seriamente ho aperto lombrello
pieghevole, sotto il mio rifugio si sono insinuati due Thai e un bambino, gli altoparlanti
gracchiavano e diffondevano musica distorta e messaggi in una lingua incomprensibile.
Dal
mio posto in prima fila, assisto incuriosito alle ultime operazioni, quando hanno tolto il
"séparé' bianco", i bufali hanno iniziato a girare in tondo e a mantenersi dritti ed
eretti sulle zampe. I due sono uno di fronte all'altro, sincornano come pugili
ridotti alle corde del ring, ogni tanto mollano la presa e per qualche secondo stanno
immobili, si guardano e annusano l'aria. Il pubblico, come in una corrida, sottolinea con
gesti e urla dapprovazione le incornate, gli scommettitori invece, agitano le mani
per dare le ultime quote. Il combattimento, più che un "a corpo a corpo",
potrebbe definirsi un testa a testa: i bufali continuano ad incornarsi,
sollevando ventate di polvere che ricordano le mischie di una partita di rugby. Al quinto
minuto del match, le incornate sono sottolineate da boati da stadio, i corpi quasi si
sollevano, ma la fine dell'incontro sembra lontana. I due bestioni ricominciano a
studiarsi ed a girare in tondo, ad annusare l'aria, quasi come ad avere paura dello
scontro risolutivo. I grossi testoni scuri si colorano di rosso, ma sembra che i due non
soffrano per i colpi subiti. Al quindicesimo minuto dell'incontro, siamo tornati allo
"stallo totale", i bisonti annusano il terreno e trottano in tondo, mimano una
goffa danza e combattono in ogni angolo del ring, poi in un attimo, uno dei due ha
iniziato a rincorrere l'altro e questi, come per sfuggire alla carica finale ha iniziato a
trottare velocemente, e inseguito, fra le urla sempre più forti del pubblico, ha
guadagnato l'uscita del recinto e l'incontro si è concluso.
Il pubblico ha abbandonato lo
steccato e tutti sono partiti su motorini o su grossi pick up carichi come boot
people per altre destinazioni, anche io ho inforcato la mia moto e mentre i colori
caldi del tramonto avvolgevano tutto quello che ci circondava, ho ripreso la mia strada,
pensando alla fortuna per avere assistito a questo strano combattimento di boxe tra
bufali.
Bangkok
Vicino al Soi 8 di
Silom road ci sono due cimiteri cristiani, sono recintati da un
alto muro e sarebbe impossibile scovarli, li ho visti grazie alla mia curiosità, mentre
con la coda dellocchio osservavo oltre lo spesso cancello di ferro che si stava
chiudendo. Alcune tombe erano integre, altre erano in cattive condizioni, si camminava per
i viali fra lerba alta, calpestando uno strato di detriti formato da pezzi di lapidi
distrutte. Era una visione surreale, perché al di là dalle mura, il panorama era
dalti grattacieli in vetro e cemento che stagliandosi in un cielo stranamente
azzurro, ti lasciavano a bocca aperta. Linterno del camposanto era il regno di cani
e gatti, di bambini che giocavano sulle altalene ancorate agli alberi e ripostiglio per i
carretti dei venditori di cibo che si riposavano dormendo sulle panchine. In un angolo, un
tassista aveva parcheggiato la sua auto e dormiva sdraiato sul sedile, con i piedi
allungati alla portiera aperta.
Bangkok
Avvinghiato
dallumidità di Bangkok ho iniziato a camminare per Khao San Road. La strada era un
fiume di gente: cerano giovani stranieri, frikkettoni, turisti giapponesi, ragazze
thai, insomma un melting pot, difficile da descrivere. Davanti ad una birra
ghiacciata guardavo la gente che passava, osservavo il via vai di questa Bangkok che non
è Bangkok, di questo posto costruito ad uso e costume dei backpakers occidentali. Khao
San Road è un contenitore, un format modello programma televisivo. Mi ha
colpito questa mescolanza tra asiatici ed europei, il vedere e farsi vedere. Mi chiedo se
i giovani Thai si divertano o se piuttosto vengano a curiosare come in uno zoo.
Wat Viharasien
In moto ho
raggiunto il Wat Viharasien (Anek Kusala Sala) e chissà mai che
vorrà dire, un enorme complesso monastico taoista composto da templi, pagode e torri,
tutto immerso nel verde in riva ad un lago. Ognuno di questi monumenti aveva uno stile
architettonico ben preciso, cerano richiami allIndia, alla Birmania e ai
templi Khmer, mancavano solo quelli al cattolicesimo. Davanti allentrata, un
cartello in caratteri cinesi ricordava che bisognava aiutare la gente a trovare la
felicità, oltre il gran portone rosso cera un drappello di guardie con divise
colore kaki, sul braccio avevano una fascia con una svastica (uno dei simboli della
religione Tao), mentre alla cintura sfoggiavano pistola e manette. Nel parcheggio
cerano minibus sulle cui fiancate era rappresentato il cerchio del Tao, sembrava di
stare in un film.
Nei cortili interni mi si è presentata una visione da caos primordiale
con statue gigantesche lugubri e nere, erano rappresentati Dei, spiriti, demoni e
folletti, era una specie dincubo, dove tutto era realistico. Allinterno del
Tempio principale cera unaccozzaglia doggetti che dovevano dare un
saggio dellarte cinese, dallantichità fino ai nostri giorni: pitture nello
stile delle grotte di Dunhuang (che si trovano nella regione cinese del Gansu),
rappresentazioni degli otto Immortali e del Buddha, statue (originali) provenienti
dallarmata dei soldati di terracotta di Xian, una riproduzione della grande muraglia
cinese, quadri, mandala, draghi scolpiti nel legno e nella pietra, animali e sculture
bronzee dallaspetto sinistro. Proseguendo nella visita ho iniziato a dare alcune
risposte alle domande che si insinuavano nella mia testa: ho scoperto che gli otto
Immortali non erano gli eroi di un cartone animato giapponese ma coloro che avevano
attraversato loceano per raggiungere il paradiso Daoiosta (che non è una corrente
pittorica). Ho scoperto che questo Wat fu costruito nel 1998 da un benefattore di nome Sanga Kulkobkiat
che aveva donato sette rai di terra (una misura agricola come lettaro), che Wat
Viharasien significa Palazzo dove dimorano gli Dei, che in inglese Anek
Kusala Sala si traduce con multi purpose pavilion e che in italiano non
può certo significare padiglione dai tanti scopi!
Il Wat fu costruito per
dimostrare la gratitudine del popolo cinese e thai nei confronti della monarchia del Siam.
Cè la sala del trono, sul quale si sedette Rama IX, lattuale re della
Thailandia, forse per la par condicio, ci hanno messo accanto anche un trono
identico a quello che si trova nella Città Proibita di Pechino. Ai lati ci sono grandi
sedili nei quali ci si può sedere comodamente in tre, statue e zanne delefante
montate su piedistalli dorati. Al primo piano del tempio si giunge ad uno spiazzo
allaperto dove ci sono ancora statue: da quelle degli imperatori delle dinastie
cinesi, a quelle degli Dei e cè perfino un esercito che rappresenta i monaci
Shaolin, tutti in posa guerresca, immortalati nel bronzo mentre mimano le posizioni del
Kung Fu. Sembrano veri e pronti alla pugna, come se si erigessero ad estremo baluardo a
difesa degli Dei: fanno roteare braccia e gambe, alcuni hanno in mano aste, bastoni e
spade. Uscito da questo posto infestato da statue, ho raggiunto gli altri templi in riva
al lago, erano assolutamente normali e privi di sorprese clamorose, come
quelle incontrate allinterno del Wat Viharasien.
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